Infatti, la mano dell’uomo nel passaggio dalla natura al campo, se da una parte ha reso questo “frutto” più gustoso e più adattabile a territori diversi, dall’altra, però, ha comportato una perdita di diversità genetica e la scomparsa di quegli elementi che ne consentivano la sopravvivenza in habitat estremi come aridità, cambiamenti climatici e virus. E, proprio per migliorare la resistenza agli stress del pomodoro coltivato, attingendo ai particolari caratteri di quello selvatico, sono state sviluppate nel tempo procedure di incrocio e selezione tra le due tipologie, senza però che ci fosse una reale conoscenza dei meccanismi genetici del progenitore selvatico.
"Rispetto al pomodoro coltivato - spiega Federico Scossa, uno degli autori della studio, ricercatore del Cra - Centro di frutticoltura di Roma - abbiamo identificato molte differenze nel genoma, specialmente nei geni coinvolti nella risposta agli stress e in quelli che si attivano durante la maturazione del frutto. Abbiamo trovato alcune caratteristiche particolari in un gruppo di geni "mobili", i cosiddetti trasposoni, che potrebbero avere un ruolo importante nella tolleranza del pomodoro selvatico a condizioni ambientali avverse. Ora sappiamo quali sono i geni che controllano i caratteri differenziali tra il coltivato ed il selvatico: allineando i due genomi sappiamo quali sono le differenze genetiche che ne controllano il comportamento nella siccità e quindi possiamo capire qual è il meccanismo di resistenza”.
La conoscenza del genoma di questa specie selvatica consentirà attività più mirate di miglioramento genetico. Ad esempio, sarà possibile trasferire nel pomodoro coltivato caratteri di resistenza alla siccità o altri geni per favorire un migliore adattamento a stress ambientali assicurando al tempo stesso quantità di prodotto costanti.
© AgroNotizie - riproduzione riservata
Fonte: CRA - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura