Scozia indipendente oppure ancora legata alla Corona britannica? Per la risposta bisognerà attendere il prossimo 18 settembre, quando gli elettori scozzesi potranno esprimersi e decidere se porre fine all’unione con la Gran Bretagna, dopo 307 anni.
Percentuali in bilico, secondo gli exit poll per la prima volta il fronte indipendentista sarebbe in vantaggio, con tanto di vip che si dividono fra chi vorrebbe Edimburgo sovrana (il portabandiera, da decenni, è l’attore Sean Connery) e chi invece auspica l’unità del Regno di sua maestà la Regina Elisabetta.
Fra questi, due cantanti simbolo come Mick Jagger e Paul McCartney, entrambi però inglesi. Pur di non perdere la Scozia, il premier britannico David Cameron sarebbe pronto a concedere maggiore libertà – soprattutto di natura economica e fiscale – alla Scozia.
Si vedrà fra dieci giorni quale sarà il responso delle urne. Quello che è certo, è che a fare il tifo per la vittoria del sì vi saranno altre realtà che anelano di ottenere l’indipendenza dal paese al quale oggi appartengono, come la Catalunya, le Fiandre, la Cornovaglia, ma anche per Lombardia e Veneto che, quantomeno sul piano economico, chiedono maggiore autonomia.

E il mondo agricolo? Il National Farmers Union of Scotland, il sindacato agricolo degli agricoltori scozzesi nato ufficialmente il 1° ottobre del 1913, guidato da Nigel Miller, resta su una linea di imparzialità e non avanza alcun suggerimento. In ogni caso, ha coinvolto in numerosi incontri i propri associati, in modo che potessero formarsi una propria libera opinione.
Ma sotto si muove un magma che vede gli agricoltori divisi nelle due fazioni favorevoli e contrari all’indipendenza. E così, ecco la comparsa di “Farmers for Yes” e “Rural Better Together”, il primo movimento favorevole all’indipendenza, mentre l’altro schierato per mantenere l’unità con Londra.
“C’è molto interesse, chiaramente – racconta Alison Mann, giornalista a The Scottish Farmer, magazine fondato addirittura nel 1893 – molto di più ad esempio dei risultati delle ultime elezioni nazionali, che nel 2012 raccolsero il 39,8% di affluenza. Già lo scorso anno, quando il primo ministro scozzese Alex Salmond incontrò gli agricoltori in occasione del Royal Highland Show, il padiglione registrò il tutto esaurito a livelli inimmaginabili”.

IL FRONTE DEL NO
Schierati per il “no” all’indipendenza ci sono alcuni agricoltori di peso, come sir Ian Grant, ex presidente del sindacato agricolo scozzese fra il 1984 e il 1990, Peter Stewart (vicepresidente fra il 1999 e il 2003), Peter Chapman (vicepresidente nel 1998-2000) e Donald Biggar, ex numero uno del “Quality Meat Scotland” e allevatore molto conosciuto.
Le ragioni principali per non volere l’indipendenza, secondo il comitato del no, sono queste, come hanno dichiarato a Gordon Davidson, giornalista di The Scottish Farmer: “Manteniamo la sterlina e l’unione monetaria, che è essenziale per le imprese agricole; manteniamo sull’agricoltore una moderata pressione fiscale e politiche amichevoli in tal senso, come le esenzioni fiscali sulla terra ereditata, l’aliquota Iva a zero sui prodotti alimentari, il gasolio agevolato e le esenzioni fiscali sulla mandria; evitiamo perturbazioni per i nostri grandi volumi di esportazioni di prodotti alimentari all’interno del nostro mercato nazionale del Regno Unito, costituito da 63 milioni di consumatori”.
Non è tutto. Votando no all’indipendenza, affermano, “proteggiamo i nostri pagamenti stabiliti dall’attuale Pac e potremo contare su una maggiorazione dei pagamenti nel 2017, quando il processo sulla convergenza degli aiuti nel Regno Unito sarà completato; possiamo inoltre ottenere il meglio da entrambi i mondi, facendo leva da un lato sul fatto che l’agricoltura è considerata una priorità per i parlamentari scozzesi, i quali hanno il potere di modellare un futuro prospero per l’agricoltura e l’economia rurale, ma dall’altro possiamo continuare a beneficiare di un sistema di condivisione dei rischi di un grande mercato e il prestigio e la maggiore influenza sullo scacchiere mondiale del Regno Unito”.
Favorevole a rimanere legato al Regno Unito è anche un settore tradizionale come quello della produzione di whisky. Appaiono molti i cosiddetti “unionisti” – ma il condizionale è d’obbligo, anche perché, come detto, gli exit poll hanno visto prevalere negli ultimi giorni il fronte indipendentista - che temono la confusione normativa che deriverebbe dall'indipendenza e una più debole rappresentanza sui mercati internazionali rispetto invece al “peso” del Regno Unito.

IL FRONTE DEL SÌ
David Steel, di “Farmers for Yes” chiede agli agricoltori di “estraniarsi dalle questioni di partito e di lasciarsi trasportare dal buon senso. “Di chi dovrebbero fidarsi maggiormente gli agricoltori scozzesi per il futuro, del Governo scozzese o del Dipartimento dell’Agricoltura del Regno Unito? Chi può prendersi meglio cura dell’agricoltura scozzese? Chi sta offrendo la migliore visione e le migliori prospettive per il settore, in Scozia?”. E ancora: “La Scozia potrebbe negoziare un accordo migliore sul Secondo pilastro della Pac? Importa che uno Stato sia grande o piccolo per ottenere i contributi della Pac? E vuoi anche dire che ai nuovi Stati membri della Pac è andata peggio rispetto ai Paesi di più lungo corso dentro l’Unione europea?”.
Nei regolamenti comunitari della Pac 2015-2020 c’è scritto, prosegue Steel, che “tutti gli Stati membri dovrebbero raggiungere almeno il livello di 196 euro per ettaro, a prezzi correnti, entro il 2020; la convergenza sarà finanziata in proporzione da tutti gli Stati membri con pagamenti diretti al di sopra della media dell’Ue. Tale processo sarà attuato progressivamente in sei anni, dall’esercizio finanziario 2015 all’esercizio finanziario 2020. Questo significa che il pagamento minimo per tutti gli Stati membri sarà di 196 euro all’ettaro, mentre oggi all’interno del Regno Unito la scozia è ferma a 129 euro all’ettaro, il pagamento più basso in tutta l’unione europea”.
In caso di indipendenza, invece, “nel 2020 cominceremo dal minimo di 196 euro/ha, piuttosto che dalla nostra posizione attuale di 129 euro. Il voto per l'indipendenza è un’opportunità una volta per iniettare miliardi nell’economia rurale scozzese nel corso dei prossimi 12 a 15 anni”.

“La Scozia è un paese che guarda all’esterno ed è una parte integrante dell’Europa, che è un mercato di 500 milioni di persone per i nostri prodotti. Non vi è alcun motivo di ritenere che la Scozia non possa diventare un successo come molti altri piccoli Stati – dice Steel - e abbiamo potuto vedere noi stessi esportatori di successo di prodotti agricoli e alimentari di qualità, come le carni suine danesi, l’agnello della Nuova Zelanda o i suoi prodotti lattiero-caseari, il vino australiano”.
Il messaggio a favore del sì è netto: “Si tratta di scegliere di governare noi stessi, scegliendo le priorità per la Scozia”.

Sul voto è intervenuto anche l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava. “Comprendo molto bene le ragioni degli agricoltori che chiedono di poter essere padroni a casa loro, gestendo liberamente le proprie risorse – afferma Fava -. Sarebbe senza dubbio l’affermarsi del principio sacrosanto del diritto di autodeterminazione dei popoli, con tutte le conseguenze, anche economiche e finanziarie, del caso. Anche la Lombardia sta organizzando un referendum, per il 2015, per chiedere ai lombardi se sono favorevoli a uno statuto speciale, esattamente come hanno la Sicilia, il Trentino-Alto Adige, la Sardegna, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta, in modo che le tasse rimangano sul territorio. E se gli scozzesi decideranno per l’indipendenza, per quanto mi riguarda saranno i benvenuti in Europa e continueranno ad essere amici della Lombardia”.