A dirlo sono i dati del Sinab, riportati nel volume Bioreport 2013, realizzato nell’ambito del programma Rete rurale nazionale 2007-2013 dall’Inea, in collaborazione con il Mipaaf, l’Ismea e il Sinab stesso.
Il voume traccia anche un ritratto delle aziende agricole italiane e della loro diffusione sul territoio: giovani, ampie, orientate all'innovazione e diffuse su oltre la metà del territorio italiano.
Il 61,8% degli 8.077 comuni italiani, infatti, presenta almeno un’azienda biologica sul proprio territorio, maggiormente concentrate nelle regioni centrali e in quelle meridionali. Tra questi comuni si distinguono Noto (Sr), con 446 aziende, Corigliano Calabro (Cs), con 242 unità, e Poggio Moiano (Ri; 241).
Le aziende biologiche sono localizzate prevalentemente nei territori collinari (61%) e montani (21%), dove le più sfavorevoli condizioni pedo-climatiche inducono verso una più spinta azione di valorizzazione dei prodotti, anche mediante la certificazione biologica. Sono mediamente più ampie delle aziende convenzionali (27,7 ha di Sau contro i 7,9 ha di Sau del totale aziende), ma si differenziano anche per altre caratteristiche e per i risultati economici conseguiti.
I dati del 6°censimento dell’agricoltura confermano la loro più bassa intensità di lavoro: 20,7 ha/Ula (unità lavorative annue) a fronte dei 14,4 ha/Ula relativi al totale aziende. Sono guidate da giovani (il 22% ha un capo azienda di età compresa tra i 20 e i 39 anni, a fronte del 9% relativo al totale delle aziende), in possesso di un titolo di studio mediamente elevato (diploma).
Importante l'attenzione prestata all’innovazione: informatizzazione di una o più attività aziendali, diversificazione delle attività produttive (agriturismo, attività ricreative e sociali, fattorie didattiche etc.) e dei canali commerciali attivati (e-commerce). Anche il livello di produzione standard è maggiore nelle aziende biologiche rispetto al totale con una maggiore concentrazione nelle classi relative a una produzione standard compresa tra 8.000 e 100.000 euro (65,3% contro 42,6%).
Nel 2012, si sono registrati incrementi degli operatori: con un +3% rispetto al 2011, essi si attestano a 49.709, di cui l’81% circa produttori esclusivi. In aumento anche il mercato: con un giro d’affari di 1,7 miliardi di euro l’Italia si colloca al quarto posto in Europa, dopo Croazia, Olanda e Danimarca, per maggiore incremento del mercato. Gli acquisti domestici di prodotti biologici confezionati nei canali della grande distribuzione moderna sono cresciuti nel corso del 2012 del 7,3% in valore, a fronte di una spesa alimentare rimasta stazionaria (dati Ismea).
Complessivamente l’agricoltura biologica risulta essere maggiormente attenta alla sostenibilità ambientale rispetto a quella convenzionale, confermandosi come esempio di buone pratiche e come metodo in grado di assicurare un contributo nella riduzione della pressione sugli ecosistemi e sull’ambiente. Le aziende biologiche presentano un minor carico di bestiame a ettaro, utilizzano più diffusamente sistemi a migliore efficienza idrica (il 74% rispetto al 62% per le aziende miste e al 56% per quelle convenzionali), contribuiscono alla cura degli elementi non coltivati del paesaggio, vendono direttamente i loro prodotti, accorciando la filiera produttiva e la distanza tra il luogo di produzione e il consumatore. L’1,3% delle aziende convenzionali si dedica alla produzione di energie rinnovabili, quota che raggiunge il 3,7% per quelle biologiche e il 6% per quelle miste.
Il volume approfondisce l’esame delle filiere relative al settore lattiero-caseario e a quello delle piante officinali. L’analisi del comparto lattiero-caseario conferma la vocazione delle aziende biologiche alla diversificazione delle attività e alla scelta di strategie produttive improntate alla crescita della superficie aziendale e alla trasformazione diretta del latte prodotto piuttosto che alla intensificazione. L’analisi del settore delle piante officinali mette in luce il ruolo non marginale della produzione biologica: le aziende biologiche rappresentano il 23% del settore, mentre la quota di superficie biologica investita incide per oltre il 40%.
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Fonte: Inea