Matteo Bartolini è il nuovo presidente del Ceja, il Consiglio dei giovani agricoltori europei. Trentasette anni il prossimo 5 agosto, laureato in Economia e commercio, titolare di un’impresa agricola multifunzionale a Città di Castello (Perugia), che comprende un agriturismo, 13 ettari coltivati a tartufo, cereali, attività didattica (grazie anche a un progetto di ricerca sulla tartuficoltura, in collaborazione con l’Università di Perugia).

Bartolini ha raggranellato nell’elezione di ieri al Ceja, l’84% delle preferenze (si confrontava con un giovane collega, produttore di latte in Lussemburgo) e per i prossimi due anni rappresenterà 30 associazioni agricole e due milioni di produttori in tutta Europa. Succede all’olandese Joris Baecke.

“Nel nostro Paese gli under 35 sono appena il 5,1 per cento del totale – esordisce il neo presidente del Ceja - ma riescono a moltiplicare la superficie agricola aziendale fino a quattro volte rispetto alla media, passando dai 7,9 ai 38,2 ettari. Non solo: hanno il 50 per cento in più di occupati per azienda (2,1 unità medie lavorative) e realizzano un fatturato superiore del 15 per cento rispetto ai colleghi senior. Ecco perché bisogna sostenere chi decide di investire sul lavoro dei campi. L’agricoltura, in Italia e in Europa, non può sopravvivere se le nuove generazioni restano fuori dal mercato”.

Presidente Bartolini, è soddisfatto delle misure che la riforma della Pac ha destinato ai giovani?
“Moltissimo. Per la prima volta la Pac parla di giovani e per la prima volta i giovani sono inseriti nel primo pilastro, attraverso il top-up, il pagamento aggiuntivo, e nel secondo pilastro, dove le risorse verranno modulate dai singoli Stati Membri”.

Il ruolo del Ceja è stato determinante.
“Sì, indubbiamente. Siamo riusciti a far riconoscere il pagamento aggiuntivo, ma il nostro lavoro non è finito: ora dovremo verificare che venga attuato, nel pilastro dello Sviluppo rurale, il sottoprogramma per i giovani, in ogni Paese dell’Unione europea. Senza misure specifiche ulteriori, l’ho detto immediatamente oggi (ieri, ndr)) al commissario all’Agricoltura, Dacian Ciolos, non si può avere una reale politica rivolta al ricambio generazionale. E non si può parlare di futuro dei giovani se non ci sono i giovani nel presente”.

Quali sono le priorità del suo mandato?
Voglio rappresentare l’Europa e non portare solo la tematica italiana o del mediterraneo. È su questo che ho costruito il mio lavoro a Bruxelles. Tramite Agia sono delegato al Ceja dal 2009 e con la mia elezione, oggi, ho dimostrato che in questi quattro anni ho portato avanti gli interessi dei giovani agricoltori europei. Ecco, mi prendo l’impegno di sostenere i colleghi imprenditori, affinché in tutti gli Stati vengano attuate misure a favore dei giovani. Inoltre, cercheremo di favorire l’accesso al credito delle imprese giovani, una leva fondamentale per crescere”.

Per un’agricoltura più giovane, più competitiva e meno squilibrata fra gli Stati membri ritiene che debbano essere adottate misure comuni a livello europeo in termini di previdenza, contribuzione, fiscalità in agricoltura?
“Questo sarebbe fondamentale. Io credo molto nella creazione degli Stati Uniti d’Europa, perché si parla di politica europea a tutto tondo. Sarebbe opportuno che ci fossero misure comuni, anche in termini di politica fiscale. Solo così potremmo parlare di un mercato comune. E credo che in quest’ottica anche la Pac possa rappresentare un valido strumento di coesione. Non dimentichiamo che proprio la Politica agricola è stato il primo passo per una crescita comune, oltre 50 anni fa”.

Fra pochi giorni l’Unione europea aprirà le porte alla Croazia. Qual è il suo augurio?
“Siamo felici che l’Unione europea si allarghi e diamo il benvenuto alla Croazia e ai giovani agricoltori croati, che fanno già parte del Ceja come membro osservatore. Lavoreremo in futuro affinché possano prendere parte del Consiglio dei giovani agricoltori europei anche altre organizzazioni, come ad esempio la Romania”.

Lei è un imprenditore multifunzionale. Qual è il progetto di ricerca che sta portando avanti, nella sua azienda, insieme all’Università di Perugia?
“Stiamo studiando un sistema innovativo per ridurre il tempo di crescita a maturazione delle tartufaie. Normalmente, per farle entrare in produzione, bisogna attendere dai 6 ai 10 anni. Stiamo cercando di mettere a punto soluzioni che ci permettano di portarle in produzione nel tempo minimo di sei anni”.