Il viaggio alla scoperta dell’arancia nell’arte parte da Londra. East London, più precisamente, nel 1971. È in questo quartiere che l’espressione A Clockwork Orange viene usata col significato di “bizzarro internamente, ma che dall’esterno appare normale e naturale in superficie”.
Quel congegno meccanico noto come “clockwork orange” era “pronto a scattare dopo essere stato caricato da Dio, dal Diavolo o dallo Stato onnipotente”. Ne parlò Anthony Burgess in un saggio del 1986 che analizzava il romanzo da lui scritto più di vent’anni addietro.
Fu quel libro ad ispirare a Stanley Kubrick il film Arancia meccanica, accolto al Festival del cinema di Venezia da una raffica di proteste per le violenze esplicite.

Più o meno negli stessi anni in cui Burgess scrisse il romanzo A Clockwork Orange (1962), in Italia Bruno Munari si mise a guardare dentro un’arancia, per eleggerla a summa del design industriale, a vantaggio peraltro del consumatore.
Correva l’anno 1963 e un’edizione dal formato quadrato di Good Design era editata a Milano da Vanni Scheiwiller, più volte elogiato da un appassionato di design e libri antichi come Giampiero Mughini, che del critico d’arte di origine svizzera fece un ritratto interessante nel suo libro La collezione.

Oggi, quel grazioso libro lo si può comprare in ristampa edito da Maurizio Corraini, mantovano, curioso cercatore di delizie da stampare (o ristampare) nonché anima del Festivaletteratura, unica occasione ormai per vedere ancora animata la capitale dei Gonzaga.
Ma vediamo cosa dice Bruno Munari (1907-1998) a proposito appunto dell’arancia, scelta ironicamente per la copertina come se fosse la luna di Galileo.
Ne ha parlato – con tempismo perfetto – anche Armando Massarenti sul Domenicale de Il Sole 24 Ore lo scorso 24 febbraio. “Ogni spicchio – sottolinea Munari - ha esattamente la forma della disposizione dei denti nella bocca umana per cui, una volta estratto dall’imballaggio si può appoggiare tra i denti e con una leggera pressione, romperlo e mangiare il succo. Si potrebbe anche, a questo proposito considerare che i mandarini siano una specie di produzione minore, adatta specialmente ai bambini”.
Una perfezione dell’arancia che, secondo l’artista nato a Badia Polesine, ha tratti assimilabili alla produzione industriale.

In effetti solo in Italia se ne producono oltre 2,2 milioni di tonnellate, in Brasile, primo produttore al mondo, dieci volte di più. E allora il design e la funzionalità, dagli spicchi preme per coinvolgere l’imballaggio esterno, cioè la buccia, ma anche la disposizione modulare delle singole fette, protette da uno strato di imbottitura.
Suggerisco sommessamente di acquistare (costa 6 euro, se non lo trovate potete chiedere andando sul sito www.corraini.com) questo libercolo che celebra in maniera insolita “un oggetto quasi perfetto dove si riscontra l’assoluta coerenza tra forma, funzione, consumo”. Anche perché, discorso analogo all’arancia Munari lo riserva per i piselli.

L’arancia ci porta direttamente ad uno dei capolavori della pittura italiana. La Primavera di Sandro Botticelli (1445-1510), dipinto dal maestro fiorentino dieci anni prima che venisse scoperta l’America. Sullo sfondo, il giardino delle Esperidi, con aranci carichi di frutti. La tempera, comminata inizialmente da Giuliano de’ Medici, oggi si può ammirare agli Uffizi.





La Primavera, Sandro Botticelli

 

L’opera ha più livelli di lettura, da quello mitologico (Zefiro che ama la ninfa Clori, che rinasce nelle sembianze di Flora, cioè la primavera, ma anche Florentia, la città) a quello filosofico di ispirazione neoplatonica, fino ad un piano dinastico, il cui significato rimane tuttavia avvolto nel mistero. Una delle ipotesi accreditate è che il dipinto evochi una chiave allegorica il matrimonio fra Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici e Semiramide Appiani.

Pochi anni più tardi, fra il 1496 e il 1498, Cima da Conegliano (1459/60-1517/18) dipinge la Madonna dell’Arancio, oggi ospitata nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia. La rappresentazione risente molto delle influenze di Giovanni Bellini, ma anche di Antonello da Messina e dei pittori nordici, fonte di ispirazione dello stesso Antonello. La Madonna dell’Arancio raffigura una sacra conversazione, con San Girolamo e San Ludovico di Tolosa (per Ugo Carmeni, che sul quadro ha scritto un saggio estremamente interessante ed erudito, si tratta di San Luigi di Francia) insieme alla Vergine col Bambino. Alle spalle di Maria un albero di arance, a dare il nome all’olio dell’artista veneto. I fiori d’arancio, d’altronde, non sono usati anche oggi nelle celebrazioni nuziali, ad indicare la castità della sposa?

Nastro avanti per arrivare ad Arcimboldo (1526-1593), che nell’Inverno custodito al Louvre ci rappresenta un vecchio col volto ricavato da un tronco nodoso, i capelli come un groviglio di rami, due funghi a evocare labbra avvizzite ormai dal tempo. Arancia e limone, tipici frutti invernali, ravvivano un quadro tutto giocato su cromatismi spenti.






Madonna dell'Arancio, Cima da Conegliano

 
Impossibile evocare l’arancia senza pensare agli Orange, la dinastia che ancora oggi regna nei Paesi Bassi. Nel 1660 circa, per ritrarre il Principe Guglielmo III d’Orange in una ghirlanda di fiori e frutta viene chiamato a corte niente meno che Jan Davidsz De Heem (1606-1683/84), forse il pittore più celebrato per il genere “Still life”. Guglielmo III nacque nel 1650 e nel ritratto ha dunque una decina d’anni. È collocato su un piano più elevato rispetto all’osservatore, per evocare il rispetto e il prestigio nei confronti della casata reale (Guglielmo III fu Re d’Inghilterra dal 1689 al 1702).
A colpire è la simbologia del quadro, nel quale è raffigurato il leone d’Olanda, insieme alle aquile araldiche, la corona d’alloro, il giglio di San Giovanni (arancione), il giglio bianco simbolo di purezza. E fra i frutti che escono dalle cornucopie per esaltare la prosperità olandese, non poteva mancare l’arancia.

Della natura morta con mele e arance di Paul Cézanne (1839-1906), oggi al museo d’Orsay di Parigi, abbiamo già detto parlando della mela nel primo appuntamento di agri@arte.
Qui ricorderemo solamente il ruolo che ebbe Cézanne nel rilanciare la natura morta, divenendone un maestro assoluto.

Restiamo in Francia, con lo scopo di riprendere le parole di Guillaume Apollinaire, nel 1915: “Se dovessimo paragonare a qualcosa l’opera di Henri Matisse, dovremmo scegliere l’arancia. Come l’arancia, la sua opera è un frutto che risplende di luce”.
Apollinaire non fu l’unico grande estimatore del pittore francese, un artista che fece da detonatore per l’Espressionismo tedesco.
Pablo Picasso acquistò nel 1940 la Natura morta con arance, dipinta da Matisse (1869-1954), mentre si trovava a Tangeri e oggi custodita a Parigi al Musée Picasso. Un’altra versione, sempre con le arance, venne dipinta anni prima da Henri, nel 1899.
E pensare che Matisse, figlio di due commercianti di sementi, considerava il genere della natura morta “insoddisfacente”.





Natura morta con arance, Henri Matisse
 

Il Doganiere Henri Rousseau (1844-1910) ci regala un’immagine giocosa e furtiva delle arance, nel quadro Giungla con scimmie che mangiano arance, dipinto nel 1908, oggi a New York, in cui una scimmietta è colta nell’atto di cogliere dall’albero un’arancia. Esponente dell’avanguardia francese, autodidatta, Rousseau spesso dipinge soggetti con caratteri esotici, a partire dalla vegetazione, che però non aveva mai visto personalmente.

Il parallelo ci porta ad un altro grande, questa volta della letteratura. È il “papà” di Sandokan, Emilio Salgari (1862-1911). Il quale, descrisse con la penna mondi lontani, esotici, sconosciuti ai più, il tutto senza mai aver messo piede a Mompracem né in Malesia.

L’esperienza del carcere porta il pittore austriaco Egon Schiele, cantore dell’eros (anche mercenario), a dipingere nel 1912 la stanza del carcere – dove finì con l’accusa di aver traviato una minorenne – con un’unica luce. “Ho dipinto il letto della mia cella. In mezzo al grigio sporco delle coperte un’arancia brillante che mi ha portato V (si tratta di Wally Neuzil, modella e compagna del pittore, nda) è l’unica luce che risplenda in questo spazio. La piccola macchia colorata mi ha fatto un bene indicibile”.
Così scrive Egon Schiele (1890-1918) nel Diario del carcere, 19 aprile 1912.

Con l’immagine di brillantezza che ci consegna l’arancia non possiamo non citare il colore e pensare al Golden Gate Bridge di San Francisco, che insieme alla Tokyo Tower è dipinto con questa specifica gradazione tendente al rosso. Lo scopo, è evidente, è di segnalare gli ostacoli aumentando il contrasto con gli oggetti circostanti e lo sfondo del cielo.





Il Golden Gate Bridge di San Franciso (Fonte: Wikipedia) 


 
Secondo Michel Pastoureau, docente alla Sorbona e grande esperto della storia dei colori, “nei sondaggi d’opinione sui colori meno amati nella società occidentale, l’arancione, come già accadeva nel Medioevo, è quello più spesso citato (insieme al marrone)”.
Eppure il significato dell’arancione è quello di salute e vitalità (si pensi alle confezioni dei farmaci e dei complessi vitaminici).