Sono passati 50 anni esatti da quanto Kennedy pronunciò queste parole, ma la situazione da allora non è affatto migliorata, anzi, agli affamati di quel “Terzo mondo” che ci sembra così lontano, si stanno aggiungendo quelli molto più tangibili della porta accanto, cittadini italiani ed europei che, in misura sempre maggiore, per mettere qualcosa sotto i denti dipendono dalle distribuzioni di cibo operate dalle associazioni no profit.
I dati della fame
I dati, emersi a Roma dalla relazione Agea sul “Piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti 2012” sono semplicemente agghiaccianti.
In Italia gli indigenti che si sono rivolti alle organizzazioni caritative che fanno capo al circuito Agea sono stati nell’anno in corso 3.686.942, un numero destinato a crescere visto che l’anno non è ancora finito e che, rapportato alla popolazione nazionale, costituisce circa il 6,2 % del totale. Tradotto in termini più coloriti, più di sei italiani su cento mangiano alle mense dei poveri.
Ovviamente il dato diffuso da Agea fa riferimento solo agli indigenti censiti nel suo circuito, per cui è assolutamente lecito supporre che il numero reale sia significativamente più alto.
Altro elemento più che preoccupante è costituito dal trend di crescita del dato, che vede un incremento totale degli indigenti del 23,6% dal 2010 al 2011 e del 9% circa tra il 2011 e il 2012. Che, tradotto in numeri, significa che oggi sono 3,7 milioni contro i 3,4 del 2011 ed i 2,7 del 2010.
Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio degli indigenti assistiti, il 26,77% si trovano al nord, con punte di crescita particolarmente alte in Lombardia ed Emilia Romagna, il 18,16% al centro, con il primato tutt’altro che invidiabile di Lazio e Toscana, il 36,55% nel meridione, dove la Campania guida l’elenco delle regioni per motivi specificatamente legati alla densità di popolazione e, infine, il 18,51% nelle isole, Sicilia in testa.
Altrettanto sconfortante è il dato della distribuzione anagrafica della povertà, con una forte presenza sul totale di bambini tra 0 e 5 anni (379.799) e anziani “over 65” (508.451).
"Siamo di fronte a uno dei problemi più gravi per il Paese - ha commentato il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera – un problema che pensavamo di aver superato e che invece si ripresenta più forte che mai. Un tema di cui la politica vuole e deve occuparsi".
Cosa si è fatto
Per rispondere alle necessità alimentari della fascia di popolazione indigente si è fatto sinora ricorso a un sistema di rilevazione e distribuzione degli aiuti, previsto dalla Politica agricola comune, che in Italia si è concretizzato nel corso degli anni in una struttura coordinata costituita da Agea da un lato e da sette organizzazioni caritative (Croce Rossa Italiana, Caritas Italiana, Fondazione Banco Alimentare, Banco delle operedi Carità, Associazione “Sempre insieme per la pace”, Comunità di S. Egidio e Associazione Banco Alimentare Roma) che si occupano della raccolta e della ridistribuzione dei generi alimentari attraverso 253 enti caritativi capofila e 14.750 strutture periferiche.
Senza voler entrare troppo nei particolari, si può valutare l’impatto della distribuzione in 125 milioni di interventi, con una larga prevalenza della soluzione “pacco di sussistenza” che, rispetto ad altre soluzioni, quali la “mensa”, consente l’uso per più pasti.
La provenienza di queste derrate alimentari è prevalentemente quella di Agea (circa il 60% degli alimenti distribuiti dalle associazioni), che usa a tal fine un fondo di circa 100 milioni di euro proveniente da Bruxelles.
“Il programma europeo di aiuti agli indigenti – ha spiegato il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania – è nato all’interno della Pac per fare da ponte tra l’attività dell’agricoltura europea e il mondo della sofferenza. Si è rivelato essere un sistema davvero efficace grazie all’impegno delle associazioni caritative, che si sono occupate materialmente della distribuzione degli aiuti sul territorio e che voglio ringraziare per l’impegno e la passione che hanno messo in questo lavoro.
"Voglio sottolineare – ha proseguito il ministro – come il piano di aiuti sia una misura indispensabile per il nostro Paese, che non è dotato di una sistema di welfare che copra anche questi aspetti. L’Italia non ha strumenti per contrastare l’indigenza assoluta, il programma è l’unico mezzo forte che abbiamo a disposizione e purtroppo in sede europea viene messo in discussione".
Mario Catania, ministro delle Politiche agricole (Foto: Alessandro Vespa ©)
Lo zampino dell’Europa
È dall’Europa che arriva il classico bastone tra le ruote di un sistema che ha dimostrato sinora di funzionare egregiamente. Il tutto in nome di un risparmio ineziale in termini economici rispetto ai budget comunitari, ma che rischia di innescare una guerra tra poveri in grado di far sbriciolare il concetto stesso di Unione.
Già nel 2011 un manipolo di Paesi capitanati dalla Germania hanno iniziato a richiedere la chiusura del programma di aiuti agli indigenti e solo grazie alle forti pressioni dei nostri rappresentanti si è potuto ottenere una proroga per l’anno in corso e per il prossimo. La prosecuzione è dunque per ora garantita ma, allo stato attuale, dovrebbe terminare alla fine del 2013.
Se si considera che i costi dell’intero finanziamento sono inferiore a quanto viene speso per l’assurdo teatrino dello spostamento periodico del Parlamento europeo da Bruxelles a Strasburgo, ci si rende facilmente conto che la chiusura del programma di aiuti suonerebbe alle orecchie dei fruitori ultimi come il S'ils n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche! (Se non hanno pane, che mangino brioche!), infelicissima soluzione alla fame del popolo francese attribuita alla regina Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena.
La regina non fece una bella fine e un effetto simile potrebbe replicarsi sulla credibilità dell’intera Unione europea.
"Noi ci muoveremo per negoziare a Bruxelles con l’obiettivo di salvare il programma - ha dichiarato Catania -. In secondo luogo proveremo ad avere un altro strumento all’interno della politica sociale; in ultima ipotesi, nel caso in cui l’Europa decida di non mantenere in piedi il programma, siamo pronti a far partire uno strumento nazionale per sopperire alla mancanza delle risorse comunitarie. Per fare ciò esistono già norme che prevedono l’istituzione di un fondo nazionale per gli aiuti agli indigenti. A quel punto dovremo solo trovarne una copertura finanziaria con nostri fondi, che si aggirerà sempre sui 100 milioni di euro l’anno. In quel caso, nel 2013, – ha concluso Catania – faremo partire la macchina per proseguire con gli aiuti, attivando risorse nazionali e interventi privati".
Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico (Foti: Alessandro Vespa ©)
Verso il fai-da-te
Sulla scorta dell’esperienza, l’Italia ha iniziato a muovere le proprie pedine per supplire alla chiusura del programma comunitario.
Se il finanziamento del fondo nazionale in tempo di crisi può apparire problematico ma non impossibile, va comunque affrontata la questione relativa agli sprechi alimentari che nel nostro paese può essere quantificata in diversi milioni di tonnellate di cibo; sprechi recuperabili soprattutto nelle fasi a monte della catena produttiva, nell'industria e nella Grande distribuzione organizzata.
"Non rinunceremo mai all’idea di un Paese diverso e sogniamo una società inclusiva dove ci sia posto per tutti" ha concluso Catania, ricordando che il sostegno agli indigenti è un tema su cui si misura la capacità del Paese di dare risposte esaurienti a un dramma sociale, che si è fatto ancora più acuto negli ultimi anni.