Latte, formaggio, prosciutto, pasta, olio: sono solo alcuni dei numerosi prodotti simbolo del Made in Italy che ogni giorno imbandiscono le nostre tavole. Ma non sono tutti uguali: alcuni provengono da vere e proprie attività criminali.
Si chiama agromafia: prodotti spacciati per italiani, sempre più imitati, taroccati, falsificati, venduti negli scafali sfruttando marchi, appeal e storia, realizzati con materie prime importate da altri Paesi.
Si tratta di un fenomeno in crescita, come dimostrano le stime: 12,5 miliardi di euro di fatturato all'anno, mentre le falsificazioni del marchio Made in Italy nel mondo (Italian sounding) producono un danno all'economia italiana per 60 miliardi di euro.
Attenzione quindi a cosa mettere nel piatto e soprattutto a come sceglierlo per evitare di finanziare involontariamente, con i pasti quotidiani, le attività della criminalità organizzata. Come difendersi? Leggere sempre bene l'etichetta e controllare la provenienza dei prodotti prima di acquistarli.
Il primo Rapporto sulle agromafie è stato presentato presso la Camera di Commercio di Livorno sabato 10 settembre. Il rapporto, realizzato da Eurispes e Coldiretti, rivela che un prodotto su tre è un Made in Italy 'tarocco'.
I casi sono tanti, diversi ed alcuni davvero eclatanti. Si va dal pomodoro tunisino venduto per italiano, alla formaggella toscana prodotta con latte romeno, all'azienda che sul web sfrutta la notorietà di Bolgheri per vendere il proprio vino indicando addirittura la sua ubicazione, più precisamente Via del Campo di Sasso: una strada che non esiste. L'azienda in realtà produce in America.
"Un fenomeno che sottovalutiamo, nascosto – ha detto il presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara, durante il suo intervento – e che l'indagine ci permette di leggere ed interpretare. L'agricoltura è un asse importante dell'economia italiana e per questa ragiona la criminalità non può non essere interessata. L'agroalimentare permette alle attività illegali di riciclare denaro, produrne di nuovo e diversificare il business".
Il vice comandante del Comando Carabinieri per la tutela della salute, Antonio Concezio Amoroso ha evidenziato che "Il 25% dei beni sottratti alla mafia è rappresentato, a livello nazionale, da terreni agricoli a conferma di un legame forte e di controllo con il territorio". Da qui la proposta, lanciata dal presidente di Coldiretti Livorno, Simone Ferri Graziani, e accolta dall'assessore toscano all'Agricoltura, Gianni Salvadori, di "un coordinamento con i Nas, la Guardia di Finanza, la stessa Regione Toscana, la Procura per capire e conoscere la portata del fenomeno in Toscana e in quale forma esiste".
Salvadori ha inoltre rilanciato la necessità di "un controllo effettivo; la tracciabilità dei nostri prodotti in maniera assoluta, ed un'etichettatura che segue coerentemente la tracciabilità dei prodotti stessi. Sono misure difficili che non possono essere imposte ma devono crescere nei produttori e nella loro autonomia e libertà. Solo così possiamo pensare di tutelare al meglio i nostri prodotti. Ed evitare di essere invasi da prodotto falsificati e gestiti da fenomeni delinquenziali".
"La strategia è la conoscenza" ha concluso Ferri Graziani, nel sottolineare che quello delle agromafie "è un fenomeno che possiamo combattere insieme e senza paura".
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Fonte: Coldiretti