Olivi, pomodori, grano duro, agrumi che crescono e si coltivano al di là delle Alpi. Zone sempre più ampie di territori semi-aridi e la desertificazione che avanza nei paesi del Mediterraneo, dove le produzioni rischiano di ridursi del 15-20%. Questo lo scenario che può verificarsi a causa della maggiore concentrazione di Co2 e dell’aumento della siccità nei prossimi 30-40 anni. Il grido d’allarme è venuto oggi da Lecce dove è in corso la Conferenza economica della Cia in cui si discutono i problemi legati all'area mediterranea, sia sotto il profilo economico che sociale.
L’effetto del cambiamento climatico - è stato affermato - sarà dirompente e può cambiare la geografia stessa dell’agricoltura. L’innalzamento della temperatura produrrà un aumento delle rese produttive agricole nei paesi del Centro-Nord dell’Europa, dove si cominceranno a coltivare piante tipicamente mediterranee. Mentre nel Sud (Italia, Spagna e Grecia in testa) e in tutte le aree che si affacciano nel Bacino del Mediterraneo ci sarà un vero stravolgimento. Le conseguenze sulle colture saranno drammatiche. Superfici oggi coltivabili si ridurranno a deserti. I territori umidi potranno scendere del 30-35%. Tra il 2050 il 2100 - come rileva anche uno studio dell’Unione europea - molte colture, tipiche delle zone temperate, “emigreranno” inevitabilmente al Nord. E sempre al Nord la produzione agricola sarà sempre più “pingue”. Preoccupanti le prospettive per l'Italia. Circa il 35% del territorio è “vulnerabile” alla desertificazione, con punte molto elevate in Sicilia, Sardegna e Puglia. Il fenomeno della siccità sarà, dunque, sempre più frequente e evidente nell’area del Mediterraneo.