Mela di Valtellina, Spressa delle Giudicarie, Ciliegia dell’Etna. Sono questi altri tre prodotti che presto andranno ad arricchire la già lunga lista (155) di Dop e Igp che fanno dell’Italia Paese leader indiscusso in fatto di qualità nell’Unione europea. E’ quanto sottolinea la Cia - Confederazione italiana agricoltori la quale rileva che per queste tre produzioni è stata concessa dal ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali la protezione transitoria, in attesa del riconoscimento definitivo da parte della Commissione Ue.

Per la “Mela di Valtellina” - rileva la Cia - è prossima, quindi, la Igp (Indicazione geografica protetta). La sua zona di produzione comprende molti comuni della provincia di Sondrio. La reputazione della “Mela di Valtellina” risale al secondo dopoguerra quando la melicoltura conobbe un notevole impulso, tanto da modificare fortemente il sistema agricolo e il paesaggio agrario locale. L’impegno di alcuni pionieri contagiò di entusiasmo anche gli altri agricoltori convincendoli a puntare decisamente sulla melicoltura specializzata. Sono sorte così cooperative di agricoltori che con la collaborazione scientifica di istituti universitari specializzati nella melicoltura concorsero alla definizione del “sistema melo” in Valtellina contribuendo a consolidare la fisionomia della moderna frutticoltura della zona, anche attraverso molteplici campagne di comunicazione.
Oggi la “Mela della Valtellina” è considerata un prodotto al top della qualità ed è per questo inserita presso i punti vendita della moderna distribuzione e dei negozi specializzati, posizionandosi nella fascia di mercato di maggior valore.

Per la “Spressa delle Giudicarie”, formaggio magro da tavola del Trentino occidentale e in parte della provincia di Brescia, è stata richiesta la Dop (Denominazione di origine protetta). E’ uno dei più antichi formaggi della montagna alpina. Un tempo veniva prodotto in modo artigianale nei masi, prima di trasferire le vacche all’alpeggio. In passato la “Spressa” era sostanzialmente un prodotto “residuale”, i contadini e i casari cercavano di ricavare dal latte la maggiore quantità possibile di burro, ben pagato dal mercato locale. Ciò che rimaneva era utilizzato per la produzione di un formaggio povero, il cui consumo era riservato quasi esclusivamente alla famiglia del contadino. La denominazione “Spressa” deriva dalla voce dialettale “spress”, ossia la massa rappresa spremuta.

La “Ciliegia dell’Etna” è, invece, in attesa della Dop e la zona di produzione si estende per l’intera provincia di Catania. Le singolarità pedoclimatiche del territorio agricolo etneo - afferma Cia - caratterizzano fortemente la qualità della “Ciliegia dell’Etna”, conferendogli parametri esclusivi. La zona delimitata è caratterizzata da suoli che evolvono su substrati di orgine vulcanica.
Attorno alla coltivazione della “Ciliegia dell’Etna” si è stratificato un retroscena culturale ed un importante indotto economico fatto di mestieri, tradizioni e usi ripetuti nei secoli dai coltivatori ortofrutticoli, cha ancora si tramandano, nel lessico dialettale il nome di “cirasa” o “cieriegia”, la preparazione dei terreni, le tecniche di coltivazione, l’innesto e la tecnica di raccolta con le scale.

Fonte: Ufficio stampa Cia