Prima è accaduto in Olanda, gli allevatori scesi in piazza per protestare contro le politiche di riduzione degli allevamenti da latte.

Ora le stesse scene si registrano in Francia, dove il latte è sottopagato, mentre gli allevatori si trovano a fronteggiare aumenti di costo mai visti in precedenza.

Proteste delle quali in Italia non si parla, come fossero lontane da noi e impossibili a replicarsi lungo lo Stivale.

 

Il latte, a dire il vero, in Italia viene pagato più che in Francia, ma i conti delle aziende zootecniche restano in rosso, con i margini erosi dal rincaro della bolletta energetica e delle materie prime destinate all'alimentazione degli animali.

Accade per il latte, ma la situazione non è poi tanto diversa per la carne, da quella bovina a quella suina, dove l'aumento dei listini non basta a compensare la crescita esponenziale dei costi.

Nemmeno i vari ristori via via messi a disposizione per fronteggiare la crisi sembrano essere risolutivi.

Tanto da immaginare che le proteste già viste in Olanda e Francia possano replicarsi da noi.

 

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Un difficile equilibrio

In piazza insieme agli allevatori potremmo incontrare anche gli altri protagonisti della filiera, macellatori, trasformatori e stagionatori, accomunati in uno stesso scenario di crisi, con aumenti dei costi che non riescono ad essere assorbiti dai prezzi al consumo, che la grande distribuzione tende a calmierare nel timore, non remoto, che possa verificarsi una caduta dei consumi.

Se non si raggiungerà un punto di equilibrio la situazione è però destinata a deteriorarsi irreversibilmente.

Tanto più con l'esplodere della bolletta energetica che appare destinata a gonfiarsi ancor più.


Politiche commerciali discutibili

Ad accentuare queste difficoltà si aggiungono le disinvolte politiche commerciali dei fornitori di energia, che impongono rinnovi contrattuali penalizzanti, pretendendo il pagamento anticipato delle forniture per i prossimi semestri.

Il tutto accompagnato da un aumento delle bollette che passeranno da cinque a sei zeri.

 

È quanto denuncia Uniceb, l'Associazione che riunisce gli operatori della filiera delle carni, che per voce del suo presidente, Carlo Siciliani, chiede una verifica sulla correttezza del comportamento adottato dalle principali aziende fornitrici di energia.

Il timore è che venga compromessa la continuità delle produzioni agroalimentari, con gravi danni per una colonna portante dell'intera economia del Paese.


Catena del valore da rivedere

Al grido di allarme di Uniceb si aggiunge quello di Assica, l'Associazione degli industriali delle carni, che lamenta l'impennata delle bollette energetiche.

Per di più molte aziende fornitrici di gas adombrano la possibilità che dal prossimo ottobre non sia possibile garantire la continuità delle forniture.

 

Le bollette di luglio, lamenta il presidente di Assica, Ruggero Lenti, hanno visto importi sino a sei volte superiori rispetto al 2021.

Cosa che si traduce in milioni di euro di differenza che pesano sui bilanci delle imprese, accentuando il rischio di chiusura.

Per questo si ritiene non differibile una più equa ripartizione del valore lungo la filiera che va dalla materia prima al piatto del consumatore.

Il riferimento è alla distribuzione organizzata, cui va la fetta più importante del valore e che per contro è restia a ritoccare i listini, nel timore di una caduta dei consumi.


Il messaggio

Senza adeguati correttivi è a rischio una parte importante della filiera agroalimentare e la situazione di incertezza va superata con interventi che coinvolgono responsabilità politiche e di Governo.

Nonostante il periodo di campagna elettorale non mancano gli strumenti, di carattere fiscale e non, che possono essere adottati e che gli stessi operatori del settore hanno suggerito.

Il messaggio è stato lanciato. Sperando ci sia qualcuno disposto ad ascoltarlo.