I timori di un crollo del prezzo del latte sono evaporati quasi del tutto. I mercati di Lodi e Verona segnano infatti una ripresa del prezzo del latte. Nella quotazione di lunedì 14 maggio, pur rimanendo al di sotto di oltre il 12% rispetto a un anno fa, il latte spot a Lodi tocca 31,25 euro per 100 chilogrammi, in crescita del 3,31% rispetto alla quotazione precedente. Segna invece quota 31,50 euro/100 chilogrammi il listino di Verona per il latte crudo sport (+2,44% sulla quotazione della settimana precedente).

Crescono anche le mercuriali del latte intero pastorizzato spot proveniente dall'estero (29,50 euro/100 chilogrammi a Verona, +3,51% sulla settimana precedente) e del latte intero pastorizzato spot di provenienza francese (27,75 euro/100 chilogrammi a Lodi, +0,91% sulla quotazione precedente).
I numeri, rilevati da Clal.it, segnano un po' di ottimismo fra gli operatori, anche se a livello nazionale si soffre un po' di immobilismo. Il mercato europeo si affida alla crescita delle esportazioni e ai segnali positivi registrati dalle materie grasse in tutto il mondo per continuare a sperare di mantenersi su livelli tutto sommato positivi
Certo, i costi di produzione stanno crescendo. Dalle elaborazioni di Teseo by Clal.it, il costo dell'alimento simulato (100 chilogrammi di razione, al 70% di mais nazionale e al 30% di soia) è cresciuto a maggio del 3,9% rispetto allo stesso mese dello scorso anno e non è escluso che le tensioni in Medio Oriente possano portare a una crescita - come hanno ipotizzato diverse fonti fra gli analisti di mercato - del prezzo del greggio, magari con l'effetto di innescare rapide salite dei prezzi delle commodity. In passato il parallelismo fra barile e bushel è stato abbastanza costante.
 

Nuova corsa del burro

A Milano, proprio all'inizio di questa settimana, il burro ha toccato il prezzo di 5,45 euro al chilogrammo, con un trend in aumento dell'1,87% rispetto alla settimana precedente e, addirittura, del 21,11% rispetto un anno fa. La Borsa merci di Milano, che ha accelerato del 10,20% a maggio rispetto alla media di aprile, non ha fatto altro che seguire l'onda rialzista che ha caratterizzato i listini in Germania (5,85 euro/kg) e in Oceania (4,80 euro/kg).

Il prezzo del burro in Oceania è ancora inferiore rispetto all'Europa. L'Australia ha buona disponibilità di panna e quindi di burro, per il quale vi è anche una buona domanda interna, oltre a un export consolidato verso l'Asia (Far East e Middle-East). Al contrario, per ora l'offerta di burro in Nuova Zelanda è limitata, vista la minore produzione di latte e la minore disponibilità di materia grassa.
Il mercato a livello europeo sta tenendo, anche se un continuo aumento della produzione di latte potrebbe - in presenza di una domanda che si mantiene viva, ma che è meno frizzante rispetto agli anni scorsi - avere ripercussioni negative sui prezzi.
 

Le produzioni

I dati elaborati da Clal.it evidenziano che tra gennaio e marzo di quest'anno i volumi di latte di Argentina, Australia, Bielorussia, Cile, Nuova Zelanda, Turchia, Ucraina, Ue-28, Usa e Uruguay hanno registrato un incremento del 2,7% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.

L'Unione europea, con volumi pari a 25.168 tonnellate di latte, è cresciuta del 3,4% su base tendenziale.
L'Italia fra gennaio e febbraio ha aumentato la produzione del 4,7% rispetto allo stesso periodo del 2017, la Germania del 4,5%, la Francia del 3,8%, il Regno Unito dell'1,3%.
L'Olanda, invece, continua a procedere in maniera molto razionale, tanto che - dalle voci delle imprese tedesche, i "vicini di casa" - questo atteggiamento remissivo potrebbe portare a invertire la spirale ribassista dei prezzi in Germania e, di fatto, innescare dinamiche inedite sul mercato. I riflessi, naturalmente, si avrebbero anche sul sistema italiano, con un beneficio diffuso sia per le grandi Dop casearie che per il latte alimentare, alle prese con una forte esigenza di reinventarsi, per non aggravare oltremodo il calo dei consumi.

La quota dei fosfati, vincolo introdotto ormai un anno fa nei Paesi Bassi, sulla scorta di posizioni molto attente sul piano ambientale da parte dei cittadini, ha portato una diminuzione di consegne di latte nel primo trimestre del 2018 rispetto allo stesso periodo del 2017 (-0,6%), con un calo addirittura del 2,6% nel mese di marzo su base tendenziale. I produttori di latte tedeschi incrociano le dita e sperano di poter godere quanto prima di un riverbero positivo.
 

Bene export Ue

Dalle rilevazioni di Clal.it risulta in buona salute l'export. Nel primo bimestre del 2018 l'export di prodotti lattiero caseari dell'Ue ha segnato un incremento del 5,2% in quantità e del 2,4% in valore rispetto al primo bimestre 2017.

Anche l'export di formaggi sta andando bene, con Giappone e Svizzera che segnano performance migliori rispetto alla rotta verso gli Usa, in parte penalizzata dalle incertezze sui dazi annunciati e poi congelati dal presidente americano Donald Trump.

La politica americana avrà sicuramente un impatto sui mercati internazionali. Per ora, i dati evidenziano rapporti consolidati degli Usa verso la Cina (a dispetto delle scaramucce sui dazi) e verso il Messico (nonostante le arci-note polemiche sul muro e sull'uscita dal Nafta), mentre sembrano meno fluidi, almeno in questa fase, i rapporti fra Stati Uniti e Canada, dove il mercato ha subito un rallentamento generalizzato.
Il boom dell'export statunitense, particolarmente vivace nel mese di marzo, è stato agevolato dai prezzi in diminuzione per latte, formaggi, polveri di latte, burro, crema di latte. Anche un dollaro debole rispetto all'euro ha garantito la competitività sui mercati internazionali. E così, il bilancio del primo trimestre 2018 vede l'export dairy degli Usa in crescita del 16,5% in quantità e del 3,9% a valore rispetto allo stesso periodo del 2017. Su questa linea sembrano spingere, anche con programmi specifici, il Consiglio statunitense dell'industria lattiero casearia, guidato dall'ex segretario all'Agricoltura, Tom Vilsack.

Anche la Cina conferma ritmi elevati, in chiave questa volta di importazioni. Il primo trimestre del 2018 ha visto cresce del 15,3% le importazioni dairy in quantità e del 24,2% in valore rispetto allo stesso periodo del 2017. Si tratta di oltre 758mila tonnellate di latte e derivati, per un valore complessivo di 2,58 miliardi di dollari.

Margini di crescita, è evidente, ce ne sono ancora molti: la chiave è diffondere la cultura nel consumo di latte e derivati. La Cina si conferma un buon importatore di Wmp (+9,9% in quantità e +21,6% in valore), di latte confezionato (+36,3% in quantità e +60,1% in valore) e di polvere di siero (+11,5% in quantità, ma -2,2% in valore). Positiva è anche l'accelerazione del burro, che cresce del 29,9% in quantità e addirittura dell'82,9% in valore.
 

Consumi dinamici per i segmenti innovativi

Le elaborazioni condotte su dati Ismea-Nielsen hanno evidenziato una ripresa dei consumi da parte delle famiglie italiane nel 2017: +1,1% i livelli di spesa, contrapposti al -2,8% del 2016. E positivo il trend per i segmenti innovativi, sicuramente più frizzante rispetto ai segmenti cosiddetti maturi. Le vendite nel canale retail hanno visto perdere terreno nel primo trimestre di quest'anno i formaggi (-5%, anche se i consumi di Dop a pasta dura hanno registrato buone performance, secondo le comunicazioni dei consorzi di tutela), il burro (-4%, è forse terminata la luna di miele col consumatore?), lo yogurt intero (-1%), il latte Uht standard (-5%) e il latte fresco alta qualità (-5%).