Fra le accuse mosse più di frequente all’agricoltura di tipo intensivo vi è quella di erodere la componente organica del suolo. In effetti, le reiterazioni monocolturali hanno in parte causato la diminuzione della percentuale di sostanza organica nei terreni agricoli, anche se tale trend si mostra in modo difforme a seconda dell’area geografica e degli indirizzi colturali. A ciò concorrono anche alcune pratiche naturali di disinfestazione del terreno, come per esempio la solarizzazione adottata dagli orticoltori per combattere funghi, insetti e nematodi dei letti di semina di tunnel e serre. Per quanto tale pratica sfrutti solo fenomeni fisici, ovvero il calore, minimizzando gli input chimici, genera d’altro canto anche un’accelerazione dei processi ossidativi che portano la sostanza organica a convertirsi in anidride carbonica. Ciò depaupera da un lato la fertilità, la biodiversità e in parte la struttura del terreno stesso, comportando per giunta anche una rimobilitazione del carbonio organico che viene immesso in tal modo in atmosfera. 
 
L’impoverimento della biodiversità nella matrice del suolo apre quindi la via non sono all’espansione di patogeni e parassiti, ma altera anche le proprietà fisiche del suolo stesso, il quale viene reso meno ospitale alla crescita delle radici della coltura.
 
Per assicurare quindi letti di semina o di trapianto ottimali, è bene adoperarsi al fine di mantenerne elevato proprio il tasso di sostanza organica. Ciò consente ai microrganismi di proliferare in modo coerente alle proprie nicchie, instaurando un ambiente più consono ad accogliere le colture e meno propenso a sviluppare patologie.
 
Nei primi 7-8 centimetri di un suolo equilibrato, per esempio, si possono riscontrare prevalentemente batteri aerobi e attinomiceti, accompagnati in minor misura da funghi, alghe e altri microrganismi minoritari. Approfondendo l’ispezione, le alghe tendono poi a diminuire molto più velocemente rispetto alle altre forme di vita, azzerandosi praticamente al di sotto dei 30-35 centimetri. La fotosintesi è cioè un grande vantaggio, ma necessitando del Sole impedisce a queste forme di vita di colonizzare gli strati più profondi del terreno. Per quanto possa apparire strano, anche i batteri anaerobi possono essere presenti nei primi strati del suolo e sono presenti talvolta in misura analoga agli attinomiceti.
 
L’esercito microbico del suolo si può inoltre suddividere sommariamente in cellulositico, ligninolitico e pectinolitico, attaccando e degradando le diverse componenti dei materiali vegetali lasciati in campo dai residui vegetali. Ma non di sola lignina, cellulosa e pectine vivono i microrganismi. Soprattutto pensando alla difficoltà dei processi metabolici necessari alla degradazione di questi materiali complessi. Per tali ragioni l’apporto di consistenti dosi di fertilizzanti di natura organica promuove quindi non solo una migliore struttura del terreno, meno incline alla disidratazione, ma fornisce anche il substrato ideale alla proliferazione dei microganismi benefici o per lo meno neutrali. Questi competeranno poi a livello spaziale e nutrizionale con quelli patogeni, minimizzando la loro virulenza e la necessità di apportare correzioni di tipo fitosanitario.
 
In sostanza, la cura per i contenuti di materia organica nel suolo è il primo passo per ottemperare proprio ai più recenti dettami della Lotta Integrata alle avversità delle piante coltivate.