La biodiversità comprende cioè l'intera variabilità biologica di un'area, oppure di un ecosistema. Una diversità misurabile in termini di geni, specie, oppure nicchie ecologiche. Spesso si lamenta che la biodiversità stia calando, perdendosi ogni giorni dei pezzi per strada.
Molteplici le spiegazioni, spesso compenetrate le une nelle altre, ma altrettanto molteplici le strumentalizzazioni, usando il termine "biodiversità" come un piccone con cui attaccare ciò che non piace, in primis agrofarmaci e ogm.
Intervistare la biodiversità non è stato quindi facile, perché le risposte sono di tipo corale, sommatoria delle singole risposte che ciascun frammento di biodiversità può dare, magari in contrapposizione fra loro. Ci si è provato comunque.
Un tema alquanto affollato, la biodiversità. Iniziamo con chiedere se siete soddisfatte di come venite presentate, voi variabili che la componete.
"No che non lo siamo. Siamo talmente complesse e articolate che vedere certe semplificazioni ci irrita moltissimo. Per giunta quando hanno ragioni strumentali".
Per esempio?
"Per esempio per attaccare questo o quel settore economico, questa o quella attività umana. Pensi a quanti discorsi sono stati fatti per esempio sul tema trivelle in Adriatico. Là in mezzo al mare non ci pareva vero di poter contare su dei riferimenti solidi intorno ai quali strutturarci. Sui piloni infissi nei fondali si sono infatti articolate popolazioni fra le più variegate di alghe, piante acquatiche, celenterati, molluschi e crostacei. E pesci, quanti pesci. Un'intera catena trofica organizzata intorno a dei piloni. C'è perfino chi organizzava immersioni e gite turistiche per far ammirare cotanta ricchezza di vita, mentre a poche centinaia di metri di distanza pareva un deserto. Eppure pur di attaccare le piattaforme hanno tirato in ballo pure me, la biodiversità".
Quindi, vuol dire che un'opera dell'uomo, alla fine, la biodiversità l'ha aumentata?
"Certo, in quel caso sì. Diciamo che in altri, di casi, l'impatto dell'uomo è stato micidiale. Basti pensare alla tragedia del Rio Doce in Brasile, in cui vennero riversate migliaia di tonnellate di fanghi tossici fuoriusciti dal crollo di un bacino di lagunaggio minerario. Quasi 500 chilometri di vita spazzata via, giungendo fino all'Oceano. Ci vorranno decenni perché quel fiume possa ancora esser chiamato tale. E sicuramente non sarà come prima. Anche quando la vita tornerà, perché tornerà, saranno infatti diverse le specie acquatiche capaci di ricolonizzarlo, selezionando a loro volta tutti i nuovi componenti della catena trofica che orbita intorno al fiume. Ecco, lì in una botta sola sono stati spazzati via millenni di adattamento ed evoluzione. Una catastrofe di ordine epocale".
Per non parlare della deforestazione…
"Certo, anche quella ha avuto un impatto micidiale non solo localmente, ma anche globalmente. Per giunta, le foreste pluviali sono da sempre il più importante polmone del Pianeta. Ogni metro quadro espiantato, o peggio bruciato, è un danno all'ambiente in senso lato. Certo che voi umani, però, anche su questo tema vi siete dati da fare per confondere le acque…".
In che senso scusi?
"Nel senso che continuate ad affrontare i problemi selezionando le parti di essi che vi fanno più comodo. Pensi alla diatriba sull'olio di palma. Da uno studio pubblicato su Nature, su 100 ettari deforestati fra il 2000 e il 2010, solo 6,8 sono stati poi coltivati a palma da olio. La maggior parte è andata all'industria, alle infrastrutture, alla logistica, alle città e perfino ad altre colture. Le piante da fibra, come canapa o cotone, si sono prese quasi il 12% del totale. Lei ha mai sentito qualcuno chiedere il boicottaggio di mutande o asciugamani?".
No, mai. Però ammetterà che in Oriente è stato davvero uno scempio.
"Ma certo che lo è stato, anche perché si può deforestare in modo meno barbaro che dando fuoco a intere foreste e poi chi campa campa, chi crepa crepa. Quel legno ci ha messo secoli a diventare tale, almeno usatelo invece di rimandarlo in atmosfera come fumi e anidride carbonica. Ma la cosa che trovo ridicola è che chi tuona contro l'olio di palma, magari indossa capi d'abbigliamento fatti di cotone coltivato al posto della foresta. Oppure usa computer e smartphone in cui sono contenuti elementi estratti da quelle miniere. Insomma, la deforestazione e la perdita di biodiversità che consegue ha molteplici colpevoli. Puntare il dito su uno solo è miope e disonesto, perché allontana comodamente la colpa dalla propria persona per gettarla su qualche grande colpevole designato atto a espiare per tutti".
Ma, volendo, si può sostituire con altri tipi di oli, no?
"Mica tanto. In primis, le produzioni per ettaro sono 7 - 8 volte superiori. Quindi per fare l'olio che producono 7 - 8 ettari di girasole ne basta uno di palma. E questo non ce lo vogliamo mettere? In più alla fine devono lavorare questi oli polinsaturi e saturarli industrialmente, perché altrimenti non funzionano bene quanto il palma per certe lavorazioni dolciarie. Una presa in giro, non trova?".
Trovo, ma alle accuse all'agricoltura di fare scempi sono abituato.
"Verissimo. Pensi che conosco un'area geografica dove hanno convertito nel tempo 3.500 kmq di territorio a una sola coltura. Il tutto per estrarre un olio alimentare".
Ma non avevamo chiuso col capitolo olio di palma ed Estremo oriente?
"Certo. Infatti io parlavo della vostra Puglia, dove risiede un terzo degli uliveti italiani. Secondo Lei, prima degli ulivi cosa c'era? C'erano boschi, pinete, macchia mediterranea e prati spontanei. Era il mio trionfo. Il simbolo della città di Lecce è una quercia con sotto dei lupi, da cui la città deriva pure il nome. Ora mi trovi un lupo se ci riesce. Solo che mentre in Oriente la deforestazione è avvenuta in pochi decenni, a compiere il vostro di processo di sostituzione ci avete messo molte generazioni. Ognuna di queste nasceva e moriva senza che il mondo gli fosse cambiato sotto gli occhi più di tanto. A un pugliese moderno appare del tutto normale quella distesa di ulivi che gli si para dinnanzi agli occhi, ma se portassimo nel presente un pugliese dei tempi dei Romani, resterebbe esterrefatto per quello che ai suoi occhi sarebbe solo un terribile scempio ambientale".
Però, anche Lei: mi paragona la macchia mediterranea con le foreste pluviali?
"Guardi, non è che voi avete spiazzato la macchia mediterranea anziché le foreste pluviali perché siete più bravi dei Birmani sa? Quelle avevate e quelle avete distrutto. Alla rovescia, la foresta pluviale l'avreste tranquillamente piallata voi. E mica solo in Puglia. Pensi in Piemonte".
Cosa succede in Piemonte?
"Oggi nulla. Ai vostri occhi quello che vedete vi pare del tutto normale. Ma secondo Lei, la Natura aveva previsto le risaie del vercellese? Oppure i vigneti dell'albese? Ma figuriamoci. Dove oggi voi vi estasiate a guardare colline coperte di vigne, una volta c'erano boschi, cinghiali, gufi, volpi. Senza contare la miriade di altri organismi che vivevano nel sottobosco. E ora? C'è la vite. E deve provarcisi un capriolo a mangiarvene un grappolo! Subito pronti a imbracciare lo schioppo! Poi vi stracciate le vesti se uno di voi diserba nei sottofila. Basta una striscia gialla in mezzo al verde e scomodate perfino me, la biodiversità. Mi avete letteralmente annichilita, solo per avvinazzarvi, e poi mi usate pure come scusa per denigrare oggi questo, domani quello? Ma sa che avete proprio una bella faccia tosta?".
No, guardi, non mi ci metta in mezzo. Anch'io trovo assurdo parlare di biodiversità quando si ragiona di agricoltura. Basta passare una volta l'aratro in un campo e la biodiversità non c'è più.
"Appunto! Ma si rende conto che c'è gente che strilla all'idea che un allevatore semini del mais ogm, tirando in causa sempre me? Ma cosa c'entro io? In quei campi mi avete fatta fuori secoli fa, quando li avete trasformati in fabbriche di cibo. Oggi, se un maiscoltore vuole seminare qualche campo con un ibrido ogm anziché uno convenzionale, apriti cielo. Ma benedetti figlioli, se lì mais c'era e ancora mais c'è, mi spiegate io cosa c'entro? Non me ne accorgo neanche. Anzi, magari me ne accorgo positivamene, perché smettete di usare insetticidi in quegli appezzamenti. Questo sì che mi aiuterebbe, per lo meno localmente".
Anche questo è tema che mi trova d'accordo. Anche se magari con qualche rotazione…
"Sì, roba da agronomi questa, non ci metto il becco. Ma a me, la biodiversità, sa cosa importa se al posto di una mia foresta coltivate un anno soia e l'altro granturco? Io mi sono ridotta del 99% al passaggio delle vostre seghe e delle vostre accette. E secondo voi mi rincuoro sapendo che rotate le colture? Senza pensare che a volte mi vedete cambiare sotto i vostri occhi e manco ve ne accorgete…"
In che senso scusi?
"Le racconto una storiella di qualche anno fa. Nelle risaie del pavese erano quasi scomparse le rane. Sa, quando usavate ancora erbicidi da farsi il segno della croce. Ecco, quelli. Poi arrivarono le solfoniluree e dopo qualche tempo tornarono le rane. E tutti giù a gioire, ambientalisti compresi con i loro vari comitati di cittadini in testa. Dopo arrivarono anche gli aironi, che nel tempo erano praticamente spariti anche loro. Un bel salto di biodiversità, giusto? E tutti a gioire di nuovo in coro. Ma c'è un piccolo problema, gli aironi mangiano le rane e così nel giro di qualche anno, salendo la popolazione di aironi calò quella delle rane. E indovini la gente a chi diede la colpa?".
Ai pestidici…
"Bravissimo! Da quelli erano partiti e a quelli erano tornati. Che una preda attiri il predatore e che questo ne riduca la popolazione innescando fluttuazioni delle due popolazioni, manco gli pareva normale. E la stessa cosa in Veneto, nella zona del Prosecco. Un'associazione di amanti dei batraci organizzò un incontro tecnico per trovare il modo di evitare la strage di rane sulle strade. In estate, a ogni temporale, le povere bestiole attraversavano le strade e venivano spiaccicate a migliaia. Quindi in quelle zone umide significa che ce n'era a milioni, di rane. Eppure quella stessa sera un ecologista del posto si mise a sventolare un articolo del The Guardian in cui si affermava che i pesticidi uccidono le rane in un'ora. Quindi il vero problema per rospi e raganelle erano loro, i pesticidi. Peccato che poi, leggendo la ricerca originale, non fossero le rane a morire nel volgere di una sola ora, bensì i girini, ma solo quando fatti nuotare dentro a soluzioni contenenti concentrazioni di prodotti pari a dieci volte quella che spruzzano gli agricoltori in campo".
Una condizione del tutto lontana dalla realtà, quindi?
"Ma certo che sì: la classica ricerca fatta per creare artificialmente una mortalità in laboratorio e dare appunto ai giornalisti il trampolino per rilanciare la notizia allarmistica. In realtà, i girini nei loro stagni sono esposti a concentrazioni di milioni di volte inferiori. Eppure quel bizzarro personaggio era lì, in una riunione per salvare le rane, sventolando quell'articolo privo di senso. Che poi, mi scusi, a fare allarmismi anti-pesticidi mi vai proprio in una riunione dove il problema è che le rane vengono sterminate dalle macchine, a migliaia? Maledizione! Vuol dire che nei campi e negli stagni lì intorno ce n'è una quantità tale che a tutto fa pensare tranne che a popolazioni a rischio. Ma tant'è, è finito sulla stampa locale, la quale ha rilanciato anche sul posto quelle tesi demenziali. Anche voi giornalisti una bella fetta di responsabilità di questo andazzo ce l'avete, glielo dico in tutta sincerità…".
Non me ne parli. Ogni volta che leggo articoli come quelli mi viene voglia di dar fuoco al tesserino da giornalista. Ma quello che si dice delle rane succede anche con gli insetti sa?
"Eccome se lo so. Per esempio, ho letto una ricerca svolta in Germania in cui si sarebbe osservato un calo del 76% degli insetti volanti in soli 27 anni di osservazioni. Fra le cause ipotizzate, i cambiamenti climatici, l'inquinamento e, ovviamente, i pesticidi. Ma la cosa buffa sa qual è?".
No, ma sono certo lo saprò entro due secondi…
"La cosa buffa è che quei monitoraggi sono stati svolti all'interno di aree naturalistiche protette. Delle oasi, ove di certo di pesticidi non ne usano. In pratica, se stessimo operando una sperimentazione scientifica, quelle aree dovrebbero essere considerate come il non trattato. E se si assiste a un calo così importante nel non trattato, vuol dire che i prodotti usati nel trattato c'entrano dal poco al nulla. Significa cioè che le ragioni di tali cali sono di ordine superiore. Ma poi, mi scusi, nei frutteti usate insetticidi contro una miriade di insetti: afidi, cocciniglie, lepidotteri, coleotteri, cimici, mosche e altro ancora. Sono forse a rischio di estinzione?".
Ma neanche per idea. Anzi, se smettessimo di trattare i frutteti tempo un paio di stagioni e non raccoglieremmo più nulla perché gli insetti si sbranerebbero pure le piante oltre che i frutti.
"Esatto. Quindi significa che gli organismi target, quelli per i quali usate i prodotti, sono capaci di esplodere alla grande basta abbassare un po' la guardia. E secondo voi si estinguerebbero i non target? Questi, caro mio, hanno ben altri problemi. Se gli si leva le piante di cui si nutrono, per forza che diminuiscono di numero. Pensi alla farfalla Monarca nelle aree del Corn Belt americano. Distese infinite di mais, su terreni lavorati e diserbati. Sa dove vanno a finire le piante di cui si nutre?".
Va a finire che si riducono quasi a zero.
"Appunto. Quindi quella povera bestia cala perché semplicemente non trova cibo in un ambiente che di naturale, di biodiverso, ormai ha più ben poco. E voi chi mi avete accusato? Il mais ogm modificato per produrre la tossina del Bacillus thuringiensis. Il polline, dicevano. Peccato che il polline cada per il 90% nel campo di mais e che contenga una ventina di microgrammi per chilo della tossina. Un'inezia rispetto alle concentrazioni nei tessuti vegetali atti a combattere la piralide o la diabrotica. Pensi a quanta tossina si immette invece nell'ambiente con un solo trattamento con insetticidi biologici Bt e fa presto il conto di chi impatta di più: l'esposizione per gli insetti del posto è qualche migliaio di volte superiore a quella del polline ogm. Ma ripeto: pare che voi siate bravissimi a cercare colpevoli dove non ci sono e a non vederli nemmeno quando li avete sotto il naso".
E delle api cosa pensa?
"Penso che in Australia non hanno la Varroa, né alcuni virus patogeni per le api, usano neonicotinoidi e le api a quanto pare starebbero benissimo, almeno stando a sentire le Autorità locali. Ma qui cedo il passo e le do un consiglio, se posso: intervisti anche loro. Si divertirà".
Grazie per il consiglio. Lo farò quanto prima. Ma quindi lei se deve dire qualcosa all'agricoltura, cosa le direbbe?
"Le direi di guardare meglio a ciò che vuole diventare da grande, senza farsi fuorviare da demagogie funzionali a lobby commerciali che hanno basato gran parte del loro business sulla disinformazione allarmistica. Le direi che se mi ari un terreno a mezzo metro, di me resta poco e nulla. Quindi non sentirti ganzo solo perché non hai usato un paio di litri di un diserbante. Hai fatto molti più danni con le tue macchine, anche all'atmosfera, di quello che avresti fatto con un diserbo. Le direi che il suo futuro, e quindi anche il mio, è nelle tecnologie elettroniche, nella genetica, nella chimica e nella meccanizzazione del Terzo millennio. Non certo nel ritorno al contadinello col fazzoletto rosso legato al collo che semina antiche varietà abbandonate da tempo, roba da spot televisivo abbindola-consumatori. Il passato va ricordato, studiando bene la storia, ma il futuro va cercato guardando avanti, non indietro".
E agli accusatori dell'agricoltura, invece, cosa direbbe?
"Direi loro che invece di usare l'approccio del contro a tutti i costi, sarebbe meglio sposassero quello del pro a specifiche azioni. Invece di proibire un erbicida o un fungicida solo perché lo si chiede a furor di popolo, incentivate le aree rifugio, seminate strisce di essenze vegetali che possano fiorire e ospitare organismi di ogni tipo. Fate siepi, datemi qualche corridoio naturale in cui io possa passare e riprodurmi. Ecco: fate, invece di continuare a strillare di non fare. Permettete, anziché proibire. Quando la capirete che l'approccio del contro serve a nulla, sarà sempre troppo tardi".
Come darle torto: la visione d'insieme è da sempre la grande assente quando si parli di agricoltura e ambiente. Ogni giorno, intanto, il numero di specie che scompare al mondo aumenta. Patiscono i coralli in mare, soffrono le popolazioni ittiche per una pesca superiore alla capacità degli oceani di riprodurne. Cementificazione, erosione dei suoli, estremizzazione dei fenomeni climatici con una sempre più diffusa siccità in ampie porzioni del globo.
Organismi alieni giungono in aree dove non è normale che vi siano, grazie a commerci globalizzati superiori ai controlli sanitari.
Illudersi che il mondo si possa salvare con una mozione comunale, nazionale o europea, è e resta quindi una più illusione che può far piacere solo alle lobby che assediano perennemente i parlamenti e i palazzi della politica con le proprie istanze dal farlocco al maramaldo.