Al fine di raccogliere una testimonianza autorevole in materia, AgroNotizie ha intervistato Domenico D’Ascenzo, del Servizio Fitosanitario abruzzese. D’Ascenzo, infatti, non solo è un profondo conoscitore dell’olivicoltura nazionale e delle sue problematiche, ma ha anche svolto alcuni test finalizzati all’individuazione delle soluzioni migliori per il controllo delle patologie dell’ulivo, tradizionali ed emergenti.
Dottor D’Ascenzo, iniziamo da una visione generale: quali interpretazioni possiamo dare all’olivicoltura moderna e quali sono le sfide principali del momento?
“Analizzando gli scenari mondiali, si deve convenire che l'olivicoltura italiana necessita sicuramente di un ammodernamento, soprattutto tecnico. Ciò aiuterebbe a recuperare competitività economica, un aspetto che troppo spesso viene trascurato.
A tal fine è necessario abbassare i costi di produzione, perché la sola valorizzazione dei prodotti finali probabilmente non basta. Purtroppo il consumatore guarda ancora molto al prezzo e i grandi volumi commercializzati dai grandi supermercati sono rappresentati in gran parte da prodotti poco costosi, a basso margine commerciale. Ben venga quindi il prodotto tipico, ricordando però che servono anche i grandi volumi, abbordabili dai consumatori quanto a prezzi.
L’olivicoltura nazionale è però molto tradizionalista, con un gran numero di varietà spesso coltivate in modo diverso da quanto avvenga in altre nazioni. Serve quindi un innalzamento tecnologico atto a trasformare l'olivicoltura italiana in una forma di agricoltura intensiva e super intensiva, pur in accordo con le differenti varietà, perché alcune non si prestano a tale tipo di approccio”.
Un’olivicoltura italiana che andrebbe quindi divisa in due anime, quella tradizionale e quella “industriale”?
“Serve tenere ben separati i due concetti: lasciamo pure gli olivi monumento, a forte carattere paesaggistico, ma distinguiamo da questi un’olivicoltura di tipo economico che deve quindi remunerare gli investimenti. E questo è un obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso l’applicazione delle tecniche di olivicoltura intensiva. E l’innalzamento tecnologico passa anche dalla meccanizzazione e dalla difesa della coltura”.
Dal punto di vista quali/quantitativo, come una corretta difesa può incidere sul miglioramento della produzione?
“La difesa è tema centrale quando si parli di olivo e di olio. Non possiamo infatti prescindere da essa, in quanto mostra possedere un grande peso non solo in termini quantitativi di olive raccolte e di olio prodotto, ma anche e soprattutto sulla qualità dell'olio stesso. E la qualità dell’olio è uno dei fattori principali nel processo di valorizzazione sui mercati. Nel 2014, per esempio, gli attacchi di Mosca hanno praticamente azzerato le produzioni in molti comprensori. Sono diversi gli agricoltori che non hanno raccolto olive. Due anni fa, tutti si sono resi conto di quanto un insetto possa contribuire a devastare la coltura, causando anche il 100% di danno. Tanto è vero che nel 2015, pur in assenza di mosca, gli agricoltori hanno trattato comunque”.
Chi si scotta con l’acqua calda, poi ha paura anche dell’acqua fredda…
“Esattamente”.
A proposito di Mosca, quali sono le problematiche fitosanitarie principali dell’olivo e di quali soluzioni dispone oggi?
“A parte gli insetti, non vanno trascurati Cicloconio, noto anche come Occhio di Pavone, né Gloeosporium, altrimenti conosciuto come Lebbra dell’olivo. Soprattutto quest’ultima è infatti una patologia emergente e in espansione nei differenti areali olivicoli.
Come detto, per la qualità dell'olio è centrale parlare di difesa e dovendo stilare un podio delle avversità, penso che la Mosca stia al primo posto, seguita dalla Tignola, fitofago spesso trascurato e sottovalutato. Al terzo si trova un ex aequo fra Cicloconio e Gloeosporium. Questo può infatti colpire anche le drupe, le quali raggrinziscono causando la perdita totale di produzione, sia in quantità, sia in qualità”.
Contro queste patologie ci sono novità dal punto di vista della difesa. So che sono anche state anche effettuate diverse sperimentazioni…
“Recentemente si è lavorato in modo specifico per individuare nuove strategie contro il Cicloconio, ma anche contro la Lebbra. Alcuni nuovi prodotti sono stati utilizzati in specialmente contro il primo, pur mostrando efficacia anche sul secondo. E ciò è molto interessante. L’Occhio di Pavone vede il patogeno fermarsi a livello sottocuticolare, non arrivando a interessare il parenchima fogliare. Può inoltre avere periodi d’incubazione molto lunghi. Questi nuovi prodotti, essenzialmente strobilurine, sono anche penetranti. Possono quindi bloccare anche le infezioni già in atto. Ciò permette di comporre un nuovo modo di difendere l’olivo. Prima si trattava solo con rame, soprattutto dopo la potatura e in autunno. In questo modo si può fare invece un intervento più mirato. Il trattamento viene infatti spostato in un periodo compreso fra la fase della mignolatura fino alla fioritura dell’olivo. Per la Lebbra si va anche dopo la fioritura, la quale cade intorno alla metà di giugno. Purtroppo alcuni prodotti presentano un intervallo di sicurezza di quattro mesi: applicandoli a metà giugno si arriva a metà di ottobre, cioè proprio a ridosso della raccolta”.
Fra i prodotti messi in prova ve n’è qualcuno che ha ottenuto particolari risultati?
“Flint Max, a base di trifloxystrobin e tebuconazolo. Si è deciso di posizionarlo fra le due fasi succitate, mignolatura e fioritura, potendo valutare poi ottimi effetti anche in autunno, grazie alla buona persistenza del prodotto”.
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Fonte: Agronotizie