Pubblichiamo i risultati di una nostra investigazione per rispondere al comunicato stampa inviato alla nostra redazione dalla Holzexport Schuster, filiale italiana dell’azienda austriaca del settore dei pellet, per notificare la propria versione su quanto affermato dall’autore nell’articolo uscito lo scorso 8 marzo riguardo alle biomasse legnose.

Stralcio del comunicato stampa della Holzexport Schuster
"A rischio il mercato nazionale del pellet, numero uno in Europa, con tre milioni di tonnellate di consumo annuo. Blocchi e sequestri in Italia per un difetto di interpretazione della normativa Ue. Holzexport Schuster, leader nel settore, chiede chiarezza sulle regole per evitare il caos. Attenersi alla normativa europea che chiarisce come non sia necessario indicare sul packaging del pellet il luogo di origine della materia prima. La qualità del pellet dipende infatti dal tipo di legno scelto (necessariamente legno vergine) e dal processo utilizzato per la sua trasformazione da parte del produttore, che diventa quindi il garante assoluto del prodotto.

Un requisito indispensabile che va recepito anche da forze dell’ordine e personale delle dogane per evitare blocchi e sequestri ai porti come è accaduto in Italia negli ultimi mesi, mettendo a rischio centinaia di imprese di produzione e commercio del pellet.
A dare l’allarme è l’austriaca Hs Holzexport Schuster, specialista del pellet in Italia, che ha lanciato un primo sos una settimana fa alla Fiera Progetto Fuoco di Verona, e che oggi ritorna all’attacco per difendere l’intero settore, forte anche del sostegno di Christian Rakos, presidente di European pellet council (Epc, organismo di tutela dei produttori del comparto)"
 (sic).

Inoltre il comunicato stampa riporta un passaggio di una presentazione durante un seminario alla Fiera di Verona: "In un mercato unico e all’alba del terzo millennio non ci si può più permettere di giudicare la qualità dal Paese di origine di un prodotto" ha sostenuto Fabio Brusa (esperto in diritto commerciale e doganale) al workshop "Il pellet è chiaro, la legge no", che ha acceso la miccia delle polemiche durante la fiera veronese.
              
"La normativa Ue - ha spiegato Brusa - è molto chiara: non impone di indicare la provenienza e non lascia spazio a interpretazioni, anche per evitare discriminazioni fra i Paesi dell'Ue. Tutto ciò che avviene all’interno dei nostri confini comunitari è commercio, non è importazione" (sic).

Il comunicato stampa termina con le seguenti posizioni ufficiali, espresse da Christian Rakos (Epc) e da Annalisa Paniz (Aiel - Associazione italiana energie agroforestali).
"I criteri fondamentali a cui distributori e consumatori devono attenersi: la presenza del marchio del produttore, la presenza di un marchio tecnico di certificazione della qualità, come EN Plus, e ovviamente il colore del prodotto: più chiaro è, più si avvicina al massimo standard di qualità, per ciò che attiene i residui da combustione e la pulizia dell’impianto".

Al presidente Rakos fa eco Annalisa Paniz che sostiene la necessità di educare la grande distribuzione, i consumatori, i commercianti ma anche le forze dell’ordine, non solo alla normativa vigente nell'Ue, ma anche a riconoscere la marcatura di qualità EN Plus, che parla di prestazioni del prodotto. "Riuniamo i produttori di 37 Paesi - ribadisce la Paniz - certifichiamo cinque milioni di tonnellate di prodotto in cinque continenti: se la qualità dipendesse dal Paese si origine, vorrebbe dire che esistono per lo meno 37 qualità di pellet differenti…" (sic).

Cosa vuol dire qualità dei pellet?
Premettendo che la posizione della Aiel, riguardo alla necessità di educare tutti gli stakeholders della filiera, è perfettamente condivisibile, tuttavia, essendo l’autore giornalista scientifico e docente di tecnologia della biomassa, sente l’obbligo di precisare che l’etica professionale comporta la responsabilità di educare a 360 gradi e non solo in base alle dichiarazioni autoreferenziate delle associazioni di categoria.

Pertanto analizzeremo di seguito tutti i fatti e le informazioni disponibili per aiutare i lettori e le lettrici, a scegliere consapevolmente i propri fornitori di pellet.
Nella prima parte della presente indagine forniremo una panoramica sulle normative che si possono consultare gratuitamente su internet. La seconda parte passerà in rassegna alcuni problemi riguardanti l’insostenibilità dei pellet, incluse le denunce di Ong viziate da forti indizi di falso ideologico, truffe (a cui è esposto il compratore poco avveduto) e qualche consiglio su come evitarle.

Poiché la parola "qualità" viene ripetutamente menzionata nel comunicato stampa pervenutoci, iniziamo i nostri ragionamenti fornendone una definizione secondo la norma ISO 9000: "La qualità è l’insieme di caratteristiche di un prodotto, che lo rendono atto a soddisfare le esigenze, esplicite o implicite, del cliente".
Se la vostra esigenza "esplicita"  è solo riscaldare le vostre abitazioni al minor costo possibile, allora, stando al comunicato stampa in questione, vi basterà procurare i pellet dal colore più chiaro possibile, magari anche con il marchio EN Plus, prestando attenzione a non incappare in venditori di prodotti con marchio taroccato.

Ci permettiamo però di dissentire con l’affermazione di Rakos, frutto probabilmente della sua estrazione culturale centroeuropea, sul colore chiaro del pellet quale indicatore di qualità. Certamente un pellet centroeuropeo di abete, sarà migliore quanto più chiaro il suo colore (minore contenuto di corteccia e quindi di cenere). Ciò nonostante, un pellet siciliano o portoghese, prodotto ad esempio con eucalipto e dunque dal colore più scuro, non necessariamente avrà una qualità inferiore a quella del pellet austriaco.
I principali indicatori obiettivi di qualità sono il contenuto di cenere ed il potere calorifico, i quali vanno determinati, rispettivamente, secondo le norme ISO 18122: Solid biofuels - Determination of ash content e ISO 18125: Solid biofuels - Determination of calorific value.

E' perfettamente legittimo che i produttori e distributori difendano con comunicati stampa il loro diritto a non inserire la provenienza dei pellet nella confezione "per evitare discriminazioni". Ci sembra però un po’ fuorviante che il presidente di un'istituzione così importante, lasci sott’intendere che i pellet più scuri, cioè derivati da legno diverso dall’abete e dunque "non centroeuropei", sono di qualità inferiore.

Per quanto riguarda l’indicazione della provenienza del pellet nella confezione, trattandosi di un prodotto "non food", si applicano le disposizioni riassunte nel seguente documento, contenenti chiarimenti dell'Ue in materia: Indication of origin marking on products.
Nonostante il diritto del produttore o distributore a non inserire il Paese d’origine dei pellet nell’etichettatura, sussiste l’obbligo di tracciabilità della merce secondo la directive 2001/95/EC of the European parliament and of the council of 3 december 2001 on general product safety: "I distributori dovranno conservare e mettere a disposizione la documentazione necessaria per tracciare i prodotti" (sic).
Pertanto è un diritto del consumatore esigere di conoscere l’origine della merce, se lo ritiene rilevante, ed è obbligo del fornitore esibire tutta la documentazione di legge. Tutto ciò non è discriminazione bensì trasparenza.

I produttori di pellet, se lo desiderano, possono comunque inserire l’indicazione dell’origine nell’etichetta. In tale senso abbiamo trovato uno studio di Eija Alakangas, coordinatore della Eubionet, pubblicato nella European pellets conference del 2010 dal titolo New european pellets standards. Il testo è consultabile nel sito. Il menzionato studio mostra nella pagina sette un esempio di marchiatura volontaria dei pellet secondo la norma EN-14961-2, norma che tra l’altro è citata nel manuale dell’EN Plus, il quale è scaricabile all'indirizzo. Si osserva come il Paese e perfino la località d'origine siano riportati nella quarta riga (figura 1).
 
Figura 1: esempio di marchiatura volontaria secondo norma EN-14961-2

Per concludere questa prima parte, l’autore vorrebbe esprimere qualche perplessità sulle ragioni della lamentela inviata mediante il menzionato comunicato stampa della Holzexport Schuster, nei confronti delle autorità italiane.
Ricordiamo che dal 2013 è in vigore il Regolamento europeo sul legno (Eu Timber Regulation 2013). Lo stesso si applica sia al legname importato, che a quello di provenienza comunitaria ed ha come scopo perseguire il dilagante fenomeno del commercio di legname abbattuto illegalmente.
Pertanto le autorità italiane hanno tutto il diritto, anzi il dovere, di realizzare accertamenti sui pellet nazionali, comunitari ed extracomunitari,  ottemperando le disposizioni previste nel menzionato Regolamento, come la tracciabilità della materia prima.

I punti principali del provvedimento sono spiegati, in italiano, nel sito ufficiale dell'Ue (testo in revisione).
In poche parole il Regolamento impone tre obblighi ai produttori e distributori di prodotti derivati dal legno:
  • proibisce la commercializzazione di legno o prodotti da esso derivati, di provenienza illegale;
  • obbliga gli operatori che commercializzano per la prima volta nel mercato dell'Ue legno, o prodotti da esso derivati, a esercitare la "dovuta diligenza" (cioè accertarsi della provenienza da produzioni legalmente autorizzate);
  •  impone ai commercianti di legno e prodotti da esso derivati di tenere un registro di fornitori e acquirenti dopo la loro prima immissione sul mercato, quindi tracciabilità della filiera.
Infine  segnaliamo che l'Interpol, in uno studio realizzato assieme alla Banca mondiale, stima che il commercio illegale di legname provocò nel 2008 perdite all’economia per ben dieci miliardi di dollari, ed evasione fiscale per cinque miliardi di dollari.
Il nostro plauso va alla professionalità e dedizione della Guardia di finanza, dell’Agenzia delle dogane e dei Carabinieri per il monitoraggio costante che svolgono per contrastare tali attività criminali.