Il carbonio potrebbe diventare una nuova "coltura" per le aziende agricole. Il Green Deal europeo chiede di arrivare alla neutralità climatica entro il 2050 e l'agricoltura è chiamata a un doppio ruolo: da un lato ridurre le emissioni, dall'altro sequestrare CO2 nel suolo e nelle biomasse. È qui che entra in gioco il carbon farming, un insieme di pratiche agronomiche e zootecniche che permettono di aumentare gli stock di carbonio, generando al tempo stesso crediti che, almeno in teoria, possono diventare una nuova fonte di reddito per l'impresa agricola.

 

Secondo l'ultima ricerca dell'Osservatorio Smart AgriFood, School of Management del Politecnico di Milano e Laboratorio Rise, Research & Innovation for Smart Enterprises dell'Università degli Studi di Brescia, nel mondo sono stati censiti quattrocentotrentacinque progetti di carbon farming, la maggior parte sostenuti dal nascente mercato volontario dei crediti di carbonio (86%) e solo una parte minoritaria da finanziamenti pubblici o privati (14%). Il potenziale c'è, ma la strada è tutt'altro che in discesa: misurare il carbonio nel suolo, garantire che resti lì nel tempo, evitare doppi conteggi lungo la filiera e muoversi in un quadro normativo ancora in evoluzione sono sfide che spaventano molti agricoltori.

 

In questo contesto così complesso il digitale diventa uno strumento abilitante. È ciò che può rendere affrontabile una materia altrimenti troppo tecnica e costosa. Lo conferma anche Irene Criscuoli, ricercatrice del Crea che da anni lavora su questi temi. "Uno degli obiettivi è capire come la digitalizzazione e l'interoperabilità fra i diversi sistemi possano aiutare le aziende. L'idea è usare i dati che già esistono, in azienda o nei nostri database, invece di chiedere all'agricoltore di produrne sempre di nuovi".

 

Che cos'è il carbon farming

Bisogna però fare un passo indietro per spiegare, in estrema sintesi, che cos'è il carbon farming. Si tratta di un approccio agronomico al campo (o alla stalla) volto ad aumentare gli stock di carbonio sequestrato nel suolo o nella biomassa vegetale, oppure ad evitare emissioni di gas serra rispetto a uno scenario di riferimento.

 

"Parliamo di stock di lungo periodo, che possono essere ottenuti con pratiche quali la gestione forestale (anche agroforestry), i prati permanenti, ma anche attraverso colture annuali, adottando però tecniche per l'accumulo di carbonio nel suolo. In parallelo, nella definizione scientifica rientrano sempre più spesso anche le emissioni evitate di gas serra", spiega Irene Criscuoli.

 

Il carbon farming si traduce in una serie di pratiche, alcune ben note agli agricoltori, in grado di migliorare la qualità degli agroecosistemi e di generare crediti di carbonio.

 

Tra queste troviamo:

  • Riduzione della lavorazione del suolo: minima lavorazione o no-till limitano il rimescolamento degli orizzonti e quindi l'esposizione della sostanza organica all'azione ossidante dell'aria, che libera CO2.
  • Copertura del suolo: cover crop, colture intercalari, inerbimento tra le file dei frutteti o dei vigneti, sovesci. L'obiettivo è evitare che il suolo resti nudo e soggetto a erosione, che porta via anche carbonio.
  • Apporto di sostanza organica: mantenimento e interramento dei residui colturali, distribuzione di compost, letame, digestato o biochar.
  • Agroforestazione: sistemi colturali che combinano alberi, colture e spesso anche pascolo. "È probabilmente la pratica con il maggior impatto in termini di stoccaggio perché accumula carbonio sia nella biomassa arborea sia nel suolo, grazie allo sviluppo delle radici", osserva Irene Criscuoli. Nel Sud Europa però è ancora poco diffusa.

 

Nei database internazionali dei crediti di carbonio, la zootecnia ha un peso enorme: secondo l'Osservatorio Smart AgriFood, la quasi totalità dei crediti emessi a livello internazionale è riconducibile alla gestione degli animali e delle loro deiezioni. Mentre a livello di filiera, oltre la metà dei crediti arriva dal lattiero caseario (52%) e il 38% dalla carne.

 

Quali sono le pratiche di carbon farming maggiormente diffuse nei progetti sui mercati del carbonio?

Quali sono le pratiche di carbon farming maggiormente diffuse nei progetti sui mercati del carbonio?

(Fonte foto: Osservatorio Smart AgriFood)

 

Ma questa fotografia è molto sbilanciata su altri continenti. "La realtà europea è diversa - avverte Irene Criscuoli - perché la zootecnia da noi non è ancora pienamente considerata come settore di carbon farming nella normativa europea in via di definizione e raramente nei progetti a terra, fra i quali spicca il programma governativo Label Bas Carbone. Di solito i progetti europei si concentrano sulla gestione del suolo o sulla forestazione".

 

Proprio il Crea partecipa al progetto LIFE VitiCaSe, che ha come obiettivo quello di mostrare in concreto come il carbon farming possa entrare in una filiera ad alto valore come quella del vino. Cofinanziato dall'Unione Europea attraverso il programma LIFE, punta a trasformare il vigneto in un serbatoio di carbonio attraverso pratiche di viticoltura rigenerativa come inerbimento, cover crop e gestione conservativa del suolo.

 

Accanto agli interventi agronomici, il progetto sviluppa strumenti digitali per stimare lo stock di carbonio nel suolo, combinando campionamenti in campo con modelli previsionali. In questo modo LIFE VitiCaSe diventa un "laboratorio" in cui si testano, in condizioni reali, sia le pratiche di sequestro sia le soluzioni digitali necessarie per renderle misurabili, certificabili e, in prospettiva, valorizzabili anche sul mercato dei crediti.

 

È un progetto di open innovation in cui realtà imprenditoriali - Image Line®, capofila, EZ Lab France, Carbon Credits Consulting, insieme alle cantine Castello di Albola, San Felice Wine Estates e Tenute Ruffino Srl Società Agricola - collaborano con centri di ricerca (Crea Agricoltura e Ambiente e Crea Politiche e Bioeconomia, appunto) avvalendosi del supporto diretto di produttori rappresentati dall'Unione Provinciale Agricoltori di Siena (Confagricoltura).
AgroNotizie®, affiliate entity di Image Line®, contribuisce alla comunicazione delle iniziative progettuali e alla divulgazione dei risultati del progetto. Euris Srl invece svolge il ruolo di consulente.

Leggi anche Carbon farming in viticoltura: i due anni di LIFE VitiCaSe

QU.A.L.ITY: quattro pilastri per crediti credibili

Perché un progetto di carbon farming generi crediti credibili e vendibili non basta affermare di aver adottato delle pratiche. Bisogna invece soddisfare una serie di criteri sintetizzati nell'acronimo QU.A.L.ITY.

 

Quantification. È il cuore del problema: definire metodologie solide per stimare gli assorbimenti di carbonio e le emissioni evitate. "Qui parliamo di formule, modelli matematici, bilanci a scala aziendale. Non sempre sono strumenti alla portata delle aziende, che devono spesso appoggiarsi a consulenti esterni", spiega la ricercatrice. "Proprio su questo fronte strumenti digitali creati ad hoc, che impieghino modelli di stima delle variazioni di carbonio, possono semplificare la stima dei sequestri".

 

Additionality. Le pratiche di gestione agricola o forestale devono essere aggiuntive rispetto al passato e non semplicemente ciò che l'azienda già faceva o è obbligata a fare per legge. L'addizionalità è sia normativa (non si possono vendere crediti per pratiche già imposte da una norma) sia economica. "In teoria i crediti di carbonio dovrebbero essere quell'elemento finanziario che rende conveniente una pratica che l'azienda non avrebbe fatto senza questo incentivo. È una cosa difficile da dimostrare e spesso viene data quasi per scontata", ricorda Irene Criscuoli.

 

Long term. Lo stoccaggio deve essere durevole. Non ha senso accumulare carbonio per pochi anni se poi viene tutto riemesso in atmosfera. "A livello internazionale ci sono schemi che richiedono di dimostrare per cento anni che il carbonio resti stoccato", nota la ricercatrice. "In Europa, per l'agricoltura, le bozze di testi normativi propongono un lasso di tempo minore: cinque anni di impegno e dieci di monitoraggio".

 

Sustainability. Oltre ad aumentare gli stock di carbonio, il progetto deve avere un impatto positivo su biodiversità, salute del suolo, qualità dell'acqua, capacità produttiva degli agrosistemi. "Non basta solo stoccare carbonio", sintetizza Irene Criscuoli. "Serve un suolo che continui a fornire servizi ecosistemici: produzione di cibo, regolazione dell'acqua, supporto alla biodiversità".

 

Un mercato che cresce, ma dove il 57% dei crediti resta invenduto

Guardando ai numeri, il carbon farming è già una realtà tangibile, ma ancora fragile. Sui mercati volontari del carbonio, i trecentosettantasei progetti analizzati dall'Osservatorio Smart AgriFood hanno generato 24,4 milioni di crediti, ma solo 10,6 milioni risultano venduti: circa il 57% dei crediti non ha ancora trovato acquirente.

 

Anche sul fronte economico il quadro è molto eterogeneo: il prezzo medio per i crediti venduti in contrattazioni pubbliche è di circa 7 dollari per tonnellata di CO2 equivalente, mentre nelle contrattazioni private si sale fino a 55 dollari.

 

"I prezzi oggi sono bassi, tanto che spesso le aziende potrebbero trovare, allo stato attuale, poco conveniente intraprendere questo percorso", osserva Irene Criscuoli. A determinare il prezzo influisce molto la credibilità di chi emette i crediti: chi compra vuole capire quanto dura quel sequestro, come è stato calcolato, da chi è stato certificato, se è iscritto in un registro pubblico o gestito da soggetti privati, magari lontani dal contesto europeo.

 

Nonostante le opportunità, il carbon farming in Europa fatica ancora a decollare. Come sottolinea Irene Criscuoli, il primo ostacolo è il monitoraggio: misurare il carbonio nei suoli o le emissioni evitate in stalla richiede campionamenti e analisi costose, oppure l'uso di modelli matematici, la cui precisione tuttavia non è ancora soddisfacente.

 

A questo si somma un quadro normativo ancora incompleto e un tessuto produttivo, specialmente italiano, fatto perlopiù di aziende di piccole dimensioni, che rende ancora più difficile affrontare investimenti in conoscenze, strumenti digitali e certificazioni, tanto che spesso si invitano gli agricoltori ad aggregarsi per dividere costi e competenze.

 

"Come menzionato nella Vision for Agriculture and Food della Commissione Europea, del 19 febbraio 2025, i carbon credit sono il primo passo per trainare investimenti privati in agricoltura e questa opzione sarà ulteriormente esplorata per affiancare il supporto pubblico al settore", racconta Irene Criscuoli. "In questo scenario, il ruolo del carbon farming è destinato a crescere". Perché ciò avvenga in modo sano, però, servirà avere procedure più chiare, costi ridotti, servizi di supporto dedicati. Ed è qui che il digitale entra in gioco come vero abilitatore.

 

Il digitale al servizio del carbon farming: dal campo al registro

Nella mappa tracciata dall'Osservatorio Smart AgriFood, il digitale è un alleato in tutte le fasi di un progetto di carbon farming: dalla scelta delle pratiche in campo, alla misurazione dei risultati, fino allo scambio dei crediti sui mercati. Sotto l'etichetta di agricoltura 4.0 rientrano sensori in campo e in stalla, Dss che aiutano a decidere rotazioni, cover crop e lavorazioni conservative, sistemi di irrigazione di precisione e algoritmi di intelligenza artificiale che incrociano dati meteo, immagini satellitari e informazioni agronomiche. Questi strumenti non generano direttamente crediti di carbonio, ma permettono di applicare le pratiche in modo più efficiente e, soprattutto, di tracciarle.

 

La fase più delicata è quella della misurazione e della validazione dei sequestri. Un'attività su cui puntano molto le startup con offerta digitale e attive proprio in questo settore: su sessanta realtà internazionali censite dall'Osservatorio Smart AgriFood, ben l'83% opera in questo frangente, dove droni e telerilevamento stimano biomassa e copertura del suolo, mentre sensori e modelli alimentati da piattaforme di data analytics trasformano i dati grezzi in stime di assorbimento o riduzione delle emissioni.

 

La distribuzione delle startup all'interno delle fasi di una progettualità e le tecnologie abilitanti le soluzioni offerte

La distribuzione delle startup all'interno delle fasi di una progettualità e le tecnologie abilitanti le soluzioni offerte

(Fonte foto: Osservatorio Smart AgriFood)

 

"Esistono già molte banche dati pubbliche: dai dati della Pac alle mappe dei suoli, fino ai dati meteorologici e alle carte di rischio erosione. Se riuscissimo a farle dialogare potremmo evitare di chiedere all'azienda di misurare tutto da zero", ricorda Irene Criscuoli.

 

Una volta quantificati e certificati, i crediti vengono poi gestiti tramite piattaforme digitali che collegano agricoltori, enti certificatori, intermediari e aziende acquirenti, mentre tecnologie come la blockchain promettono di garantirne tracciabilità e unicità. L'obiettivo finale è duplice: ridurre i costi di gestione dei progetti e aumentare i ricavi, grazie a misure più precise e a una maggiore fiducia da parte di chi acquista i crediti.

 

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