L’agricoltura ungherese guarda al futuro. E la scommessa per i prossimi anni si chiama agroenergia. Un percorso peraltro già avviato, dal momento che il gruppo multinazionale Tesco ha a disposizione il 6% degli impianti con biocarburante. Non sarà forse moltissimo, ma è già un segnale inequivocabile della direzione che l’Ungheria ha imboccato.

Biotanolo, ma anche biomasse e in prospettiva biogas e altre energie da fonti rinnovabili agricole, possono così trasformare l’agrozootecnia ungherese. E una delle leve su cui contare, secondo il direttore dell’Ice - Istituto nazionale per il commercio estero Ungheria, Alessio Ponz de Leon Pisani, "sono i Fondi strutturali europei, che facilitano gli investimenti soprattutto nell’ambito dell’ambiente, dell’energia e delle tecnologie per la trasformazione".
Cruciali, dunque, secondo Ponz de Leon Pisani, saranno gli investimenti agricoli in ambito colturale. "Già adesso – rivela – sono in crescita le superfici coltivate a barbabietola da zucchero e no food, a girasole, e in modo particolare a mais".

Accanto al bioetanolo, anche l’energia verde da biomassa legnosa sembra destinata a spiccare il volo. E le aziende italiane del "Fieragricola Europe Tour 2007" non hanno perso l’occasione per intrecciare, pure in questo settore, rapporti di collaborazione con il ministero dell’Agricoltura ungherese e con realtà private.
Mancando un’industria dedicata alla produzione di macchine agricole, inoltre, secondo il direttore Ice, "l’Italia potrà implementare le forniture e l’export di trattori e altri mezzi".
Il fatto che anche in questo ambito sono stati assegnati all’agricoltura ungherese dei Fondi strutturali europei, potrebbe aprire un ulteriore varco alle aziende italiane, che attualmente sono al secondo posto per flussi commerciali dopo la Germania, che guida la locomotiva con il 27% degli ingressi totali in ambito agromeccanico.

Un’altra prospettiva che si affaccia nel percorso di penetrazione del sistema Agricoltura italiano in Ungheria riguarda il comparto vitivinicolo. "Il Paese magiaro ha una forte vocazione vitivinicola – ricorda Ponz de Leon Pisani – con una qualità indiscutibilmente in crescita costante. Il fatto poi che l’Ungheria non abbia un’industria sviluppata in ambito di macchinari e tecnologie per l’imbottigliamento e in generale per la filiera agroalimentare, apre le porte ancora all’Italia".
Eppure, nonostante una serie di aspetti favorevoli al made in Italy e alle aziende del Belpaese, resta aperto un nodo cruciale che rischia di frenare l’inserimento degli imprenditori agricoli nel tessuto della produzione primaria ungherese.
"Dopo la caduta del regime comunista – aggiunge il direttore dell’Ice – sono state promulgate diverse leggi per rilanciare l’agricoltura. Questo ha favorito l’ingresso di capitali e di proprietà straniere, comprese quelle italiane. Ora l’Ungheria vuole mettere un freno agli acquisti di terreni di cittadini non ungheresi, per evitare proprio che gli agricoltori magiari subiscano effetti troppo pesanti della globalizzazione".

Così, Budapest è riuscita ad ottenere dall’Unione europea una deroga, a partire dal 2011, sulle compravendite dei terreni. "In pratica – spiega Ponz de Leon Pisani – per comprare dei terreni, un agricoltore straniero dovrà dimostrare di averlo lavorato consecutivamente per almeno tre anni e questo risvolto ovviamente costituisce un paletto non indifferente per chi desidera investire in Ungheria". Molti italiani, difatti, ma non solo loro, temono di non avere una sufficiente garanzia per acquistare la terra.

Su questo punto, il prossimo 25 settembre il ministro per le Politiche agricole, Paolo De Castro, avrà un incontro proprio a Budapest col collega magiaro, per sviluppare un accordo bilaterale anche riguardante questa incognita. "La Camera di commercio italiana in Ungheria ha già istituito una commissione sul tema, ma anche altri Paesi dell’Unione europea si sono attivati per creare un fronte comune che garantisca sì gli agricoltori ungheresi, ma che non penalizzi gli investimenti esterni".