I campi non sono tutti uguali. Ce ne sono alcuni più produttivi, altri che lo sono meno. Ma anche all'interno di uno stesso appezzamento la variabilità può essere elevata. Questo dipende dalle differenze di tessitura tra una zona e l'altra di una parcella. Ad esempio può esserci una zona a medio impasto e una invece più sabbiosa. Ma la variabilità dipende anche dalla presenza di sostanza organica e dalla gestione agronomica passata. Ci possono ad esempio essere aree con una maggiore concentrazione di microelementi e altre più povere o con un pH differente.
Le lavorazioni del terreno modificano la variabilità, soprattutto verticale di un campo, come anche l'irrigazione. Senza contare poi che la stessa pedologia è un fattore di variabilità, con i terreni in pendenza che ad esempio sono meno capaci di trattenere acqua a quote elevate.
Insomma, come tutti gli agricoltori sanno bene, approcciarsi ai campi con un unico metodo è sbagliato. E infatti ogni agricoltore gestisce, per quanto possibile, la variabilità intrinseca dei propri appezzamenti. Ma per ottenere i risultati migliori, in un'ottica di gestione "di precisione", è necessario avere delle mappe che descrivono come mutano le principali variabili del suolo (tessitura, presenza di macro e microelementi, concentrazione di sostanza organica, pH e salinità) tra i campi e all'interno degli stessi.
Diverse tipologie di suolo
(Fonte foto: Università del Mississippi)
Analisi del suolo: a griglia e a zona
Il metodo più affidabile per conoscere le caratteristiche del suolo è l'analisi di laboratorio, che permette di misurare in maniera precisa tutte le caratteristiche del campione prelevato dal campo. Ma quanti campioni è giusto prelevare e dove? Naturalmente più campioni si raccolgono maggiore sarà l'accuratezza del dato, tuttavia i costi di analisi spesso rendono non sostenibile effettuare troppi campionamenti.
Avendo pochi campioni da poter prelevare, occorre scegliere uno "schema" di prelievo, che può essere a griglia o a zona. Nel primo caso si agisce senza preindagare la variabilità del campo (o assumendo che non ci sia). Nel secondo caso, invece, prima di effettuare i campionamenti si cerca di identificare aree omogenee.
L'approccio a griglia è stato di gran lunga quello più utilizzato in passato e può essere attuato secondo differenti schemi. I campioni possono ad esempio essere presi randomicamente, scegliendo pochi o molti punti a caso. Si può seguire anche uno schema a griglia, prelevando il suolo a scacchiera, oppure seguendo delle traiettorie precise, ad esempio a Z o a W.
Una mappa realizzata attraverso la raccolta di campioni con una maglia a griglia. I dati tra un punto e l'altro sono stati usati attraverso l'interpolazione
(Fonte foto: FrontierAG)
I campioni possono essere analizzati tal quali, tenendo sempre in considerazione il budget a disposizione. Oppure si possono scegliere molti punti a caso, mixare i campioni prelevati ed effettuare le analisi. Si avrà così una media del campo, che sarà abbastanza descrittiva dello stesso, ma non terrà conto della variabilità interna.
Inutile dire che il prelievo di campioni a griglia è semplice ma poco efficace. Se si prelevano infatti pochi campioni i dati saranno scarsamente descrittivi della variabilità del campo (a meno di non avere campi uniformi) e raramente il budget a disposizione permette un numero elevato di analisi. Come anche la pratica di mixare il terreno, sebbene sia molto utilizzata, fornisce una media di Trilussa, utile per avere un'idea generale del campo che si ha davanti, ma non per effettuare una gestione di precisione.
Infine va considerato che la variabilità del campo è tridimensionale. Cioè si modifica anche seguendo la profondità e i diversi orizzonti di suolo. Dato non determinante su colture annuali, come il grano o il mais, in cui l'apparato radicale si sviluppa abbastanza superficialmente, ma molto importante negli impianti arborei, come la viticoltura.
Mappe del suolo e approccio a zona
I moderni strumenti digitali permettono all'agricoltore di oltrepassare i limiti del campionamento a griglia, ottenendo delle mappe dei suoli estremamente precise nel descrivere la variabilità interna degli appezzamenti. Nell'approccio del campionamento "a zona" si parte dall'assunto che la variabilità del campo abbia una sua origine e per questo si manifesta in aree omogenee. Rilevando queste aree è poi possibile andare ad effettuare pochi campionamenti mirati in modo da avere dei dati precisi.
Gli strumenti utilizzabili per identificare le aree omogenee sono:
- Topografia.
- Induzione elettromagnetica.
- Conducibilità e resistività elettrica.
- Raggi gamma.
- Georadar.
- Sensori di produzione.
- Spettroscopia.
Per comprendere meglio questi strumenti abbiamo chiesto aiuto a Giovanni L'Abate, ricercatore del Crea - Agricoltura e Ambiente di Firenze, che si occupa proprio di mappatura dei suoli e che sta lavorando alla realizzazione di una nuova mappa dei suoli dell'intera penisola italiana.
La mappa dei suoli d'Italia
(Fonte foto: Giovanni L'Abate, ricercatore del Crea - Agricoltura e Ambiente di Firenze)
"Gli strumenti elencati sono in grado di rilevare come cambia il suolo all'interno di un campo", spiega L'Abate. "Non ci dicono esattamente che cosa varia e in quale misura, a questo servono le analisi di laboratorio, ma identificando aree omogenee si indirizza il tecnico nelle aree in cui effettuare i campionamenti".
Un esempio per comprendere l'approccio "a zona" è quello che si basa sulla topografia. Guardando una carta topografica dei campi è possibile identificare aree omogenee, come quelle alla stessa altitudine o con la stessa pendenza.
Ad esempio in cima alle colline si ha di solito un terreno più povero, a causa dell'erosione dello strato superficiale di suolo causata da vento e pioggia. Mentre i fondovalle sono più fertili e con una maggiore disponibilità idrica. Nella decisione di dove campionare si dovranno dunque tenere in considerazione queste differenze.
Metodo dell'induzione elettromagnetica
L'induzione elettromagnetica è un fenomeno fisico in cui un campo magnetico variabile genera un campo elettrico in un circuito conduttore. Tale relazione è descritta dalla Legge di Faraday, secondo la quale la tensione indotta in un circuito chiuso è proporzionale al tasso di variazione del flusso magnetico attraverso la superficie del circuito. In altre parole, se il flusso magnetico attraverso un circuito cambia nel tempo, si induce una corrente elettrica nel circuito.
"Esistono degli strumenti in grado di emettere campi elettromagnetici variabili che si propagano nel suolo. Tali onde vengono riflesse e distorte dal suolo stesso e captate da un sensore all'interno dello strumento. Misurando le caratteristiche delle onde riflesse e conoscendo quelle delle onde generate è possibile misurare tali distorsioni", ci racconta Giovanni L'Abate.
Sensore ad induzione elettromagnetica Geonics EM38-MK2: sensore portatile della lunghezza di circa 1 metro (circa 3 chilogrammi di peso), munito di Gps e datalogger
(Fonte foto: Integration of Near-Surface Complementary Geophysical Techniques for the Study of Ancient Archaeological Areas in the Atacama Desert (Pampa Iluga, Northern Chile))
Possiamo dire che aree che distorcono in maniera simile le onde elettromagnetiche saranno aree con caratteristiche simili e mappando un intero campo è così possibile ricreare delle zone omogenee, che verranno poi successivamente campionate.
Di solito questi sensori sono montati su slitte trainate da quad o, per piccoli appezzamenti, trasportate a mano e sono in grado di restituire misurazioni a diverse profondità, 75 e 150 centimetri ad esempio (ma dipende dai modelli).
Il metodo della conducibilità elettrica
La conducibilità elettrica è una misura della capacità di un materiale di condurre corrente elettrica.
I materiali possono essere classificati in base alla loro conducibilità elettrica in tre categorie principali:
- Conduttori: materiali con elevata conducibilità elettrica. L'acqua è ad esempio un ottimo conduttore.
- Semiconduttori: materiali con conducibilità elettrica moderata.
- Isolanti: materiali con bassa conducibilità elettrica. La sostanza organica e il legno sono ad esempio degli isolanti.
Sensore Veris 2000 XA per misurare la conducibilità elettrica
(Fonte foto: Definition and Validation of Vineyard Management Zones Based on Soil Apparent Electrical Conductivity and Altimetric Survey)
La conducibilità elettrica è spesso espressa attraverso il concetto di resistività, che è l'inverso della conducibilità. La resistività è una misura della difficoltà con cui un materiale consente il passaggio della corrente elettrica.
"Con il metodo della conducibilità elettrica il sensore viene trascinato sul suolo da un quad o da un trattore. Lo strumento dispone di due elettrodi, uno positivo e uno negativo, che strisciando al suolo creano un passaggio di corrente attraverso lo stesso. Misurando come il suolo influenza tale passaggio è possibile mappare la variabilità del terreno", sottolinea L'Abate.
Il metodo dei raggi gamma
I raggi gamma sono una forma di radiazione elettromagnetica ad alta energia. Essi costituiscono la parte più energetica dello spettro elettromagnetico, con lunghezze d'onda molto brevi e frequenze estremamente elevate. I raggi gamma sono emessi naturalmente dal decadimento di alcuni isotopi radioattivi presenti nel terreno.
"Gli strumenti sono in grado di discriminare le differenti bande energetiche identificando i raggi gamma emessi da quattro isotopi: Potassio 40, Cesio 137, Torio 232 e Uranio 238. Ad eccezione del Cesio 137, si tratta di isotopi naturalmente presenti nel suolo e generalmente non rappresentano un rischio per la salute umana, a meno che non vengano rilevate aree soggette a ricadute radioattive. Le emissioni tuttavia possono essere studiate per creare delle mappe di variabilità", ci spiega Giovanni L'Abate.
"Il pregio di questi strumenti, che possono essere trasportati da quad, trattori o anche da droni, è che raccolgono informazioni su quattro bande, anche se non riescono a discriminare le diverse profondità".
Spettrometro a raggi gamma "The Mole" di tipo passivo (non emette radiazioni, ma misura i raggi gamma emessi dal suolo), portatile o trainabile, del peso di circa 4 chilogrammi
(Fonte foto: Simone Priori del Crea)
Il metodo del georadar
Il georadar, o radar geologico, è uno strumento di indagine geofisica che utilizza onde radar per rilevare le caratteristiche delle strutture sottostanti la superficie terrestre. Questo strumento è ampiamente utilizzato nelle indagini geologiche per ottenere informazioni sulle caratteristiche del suolo, la presenza di strutture geologiche e talvolta anche per individuare oggetti sepolti.
Il funzionamento del georadar si basa sulla trasmissione di impulsi radar nella terra e sulla ricezione dei segnali riflessi. Il tempo impiegato dai segnali riflessi per tornare al sensore ed eventuali distorsioni consentono di calcolare la profondità e la natura delle caratteristiche del sottosuolo. Le variazioni nella velocità delle onde radar possono essere indicative di diversi materiali o strutture.
"Il georadar è utilizzato solitamente per identificare la presenza di acqua nel sottosuolo oppure per descrivere come variano gli orizzonti. È invece poco utile se si vuole indagare gli strati superficiali", sottolinea L'Abate.
Analisi degli strati di suolo effettuati tramite georadar
(Fonte foto: Texas A&M AgriLife photo by Kay Ledbetter)
Metodo delle mappe di produzione
Usare le mappe di produzione per dedurre i contorni di aree omogenee di suolo è un metodo assai diffuso poiché a costo quasi nullo. Il metodo di funzionamento è semplice. Quando una macchina raccoglitrice (come una mietitrebbia o una vendemmiatrice) avanza in campo misura metro dopo metro la quantità di prodotto raccolta ed è in grado di memorizzare tale dato geolocalizzandolo. Si possono così produrre delle mappe di produzione in cui, all'interno di uno stesso appezzamento, sono identificare le aree che hanno prodotto di più e quelle invece che hanno prodotto di meno. Ma è anche possibile fare distinzioni sulla qualità delle produzioni.
Definendo diverse classi di produzione, ad esempio tre o quattro, è possibile dividere spazialmente il campo in zone di produzione omogenea. Assumendo che le differenze di produttività siano dovute alle caratteristiche del terreno (e non alla gestione agronomica) è così possibile andare a fare campionamenti mirati di suolo.
Affinché i dati siano attendibili è però necessario basarsi su mappe di più anni, almeno cinque o sei. I dati annuali vengono normalizzati e sovrapposti, generando una mappa che metterà in risalto i trend pluriennali, attenuando la variabilità annuale dovuta ad esempio al cambio di specie.
Mappa di produzione relativa ad un campo di mais
(Fonte foto: Agrisfera)
Metodo della spettroscopia
La spettroscopia è una tecnica analitica che studia l'interazione tra la luce e la materia. Essa fornisce informazioni dettagliate sulle proprietà fisiche e chimiche dei materiali attraverso l'analisi dello spettro della luce emessa, assorbita o riflessa da tali materiali.
Il termine "spettro" si riferisce alla scomposizione della luce in diverse componenti, o bande, ciascuna corrispondente a una determinata lunghezza d'onda. La luce visibile è solo una piccola parte dello spettro elettromagnetico e ha un ruolo fondamentale nei processi di fotosintesi, ma lo spettro elettromagnetico è ben più ampio e comprende anche altre regioni, come l'infrarosso, l'ultravioletto, i raggi X e le microonde.
"Ci sono degli strumenti in grado di misurare la luce riflessa in molte bande e studiando la firma spettrale del suolo sono in grado di fornire direttamente informazioni sulla tessitura, ma anche sulla presenza di sostanza organica o di elementi chimici", ci racconta Giovanni L'Abate.
"Questi strumenti, chiamati sensori iperspettrali, possono essere usati per analizzare i campioni in campo e possono sopperire alle analisi di laboratorio, anche se sono meno precisi. Sono adatti dunque ad ottenere dati puntuali. Ma se montati su droni o satelliti e applicati al suolo nudo, possono invece creare delle vere e proprie mappe, anche se dello strato superficiale di terreno".
Spettroradiometro - FieldSpec® 3: strumento portatile di precisione per l'acquisizione di dati di campo con una gamma spettrale (350-2500 nanometri) e rapida raccolta di dati (1/10th di 1 secondo per spettro). Progettato per raccogliere le misure di riflettanza solare, radianza e irradianza, oltre che in campo pedologico è utilizzabile per applicazioni in telerilevamento, oceanografia, ecologia, selvicoltura, fisiologia vegetale, geologia e molti altri
(Fonte foto: CZU University)
Sensori e composizione del suolo
In molti si chiedono se l'utilizzo di uno dei sensori elencati precedentemente possa essere utilizzato per produrre direttamente le mappe. Se, in altre parole, la variabilità nelle conducibilità elettrica o dell'induzione elettromagnetica sia descrittiva in maniera univoca di uno stato del suolo.
"Usando un solo sensore è difficile avere dati attendibili. Ad esempio la presenza di acqua è una variabile che influisce molto sulle misurazioni. Ci possono essere protocolli generali che danno informazioni sommarie, ma in definitiva mi sento di dire che un solo sensore non può risolvere l'enigma suolo", sottolinea L'Abate.
Ad esempio, misurando le emissioni di raggi gamma relativi al Torio 232 è possibile stimare la tessitura del terreno (ad esempio limo o argilla), ma tale relazione non è sempre vera e cambia tra differenti aree geografiche. È dunque sempre necessario fare dei sopralluoghi mirati.
"Invece l'utilizzo simultaneo di vari strumenti può fornire informazioni più attendibili, come anche l'utilizzo della spettroscopia, che di fatto è un metodo di analisi puntuale, che deve essere eseguito prelevando campioni a diverse profondità".
Le analisi di laboratorio restano dunque il metodo più preciso e attendibile, ma poi ogni agricoltore deve chiedersi qual è il livello di precisione che gli occorre per gestire in maniera corretta il proprio campo. E sulla base di questa riflessione decidere se creare delle mappe basandosi solo sull'uso di diversi sensori oppure procedere anche ai campionamenti.
Mappe del suolo realizzate in un appezzamento destinato ad ospitare un vigneto, generate grazie all'uso di un sensore a raggi gamma. A sinistra la mappa realizzata prima dello scasso, a destra quella post scasso. Tali mappe, corredate con le relative analisi del suolo, hanno reso possibile realizzare una mappa per realizzare un nuovo vigneto con portainnesti differenti
(Fonte foto: Giovanni L'Abate, ricercatore del Crea - Agricoltura e Ambiente di Firenze. Mappe realizzate presso la Cantina Verrazzano, di Greve in Chianti (Fi) nell'ambito del progetto GoProsit)
Mappe del suolo, utili a che cosa?
Nell'ambito dell'agricoltura di precisione, le mappe del suolo sono strumenti essenziali che forniscono informazioni dettagliate sulla variabilità delle caratteristiche del suolo in un determinato campo coltivato.
Queste mappe possono essere utili per diversi scopi, tra cui:
- Fertilizzazione di precisione: conoscere la variabilità del suolo consente agli agricoltori di applicare fertilizzanti in modo più mirato. Le mappe del suolo possono indicare dove sono necessari dosaggi specifici di nutrienti, contribuendo a ridurre il rischio di sovrafertilizzazione o di sottofertilizzazione.
- Irrigazione di precisione: la mappatura delle caratteristiche del suolo può aiutare a pianificare e ottimizzare i sistemi di irrigazione. Conoscendo la capacità di ritenzione dell'acqua in diverse aree, è possibile regolare i livelli di irrigazione in modo da soddisfare le esigenze specifiche delle colture.
- Scelta delle colture o dei portainnesti: le mappe del suolo possono influenzare la scelta delle colture da coltivare in determinate aree, consentendo agli agricoltori di adattare le loro coltivazioni alle condizioni del suolo esistenti. Inoltre, sulla base delle mappe del suolo è anche possibile scegliere il portainnesto migliore per frutteti e vigneti.
"In definitiva, le mappe del suolo sono lo strumento alla base del precision farming, l'approccio cioè che prevede di dare alle colture ciò di cui hanno bisogno, quando ne hanno bisogno, al fine minimizzare le differenze di produzione all'interno di un campo e ottimizzare l'impiego degli input", conclude Giovanni L'Abate.
"Si tratta di un approccio sempre più utile, se si considera il contesto sfidante che l'agricoltura ha davanti, con aumento della popolazione, cambiamenti climatici e sempre maggiore necessità di essere sostenibili".