Fra le persone che più ne hanno studiato la vita e le opere figura Sergio Salvi, laureato in Scienze biologiche e forte di un’esperienza come ricercatore in genetica e biologia molecolare maturata lavorando per vent’anni presso diversi enti di ricerca pubblici e privati. Appassionato di storia dell’agroalimentare, ha iniziato a occuparsi di Nazareno Strampelli nel 2007, dopo aver letto il libro “La scienza del grano” di Roberto Lorenzetti, di fatto il primo studio di rilievo pubblicato sul genetista. Salvi però conosceva già Strampelli, almeno per sommi capi, in quanto originario del medesimo comune marchigiano dove l’illustre agronomo nacque nel 1866, ovvero Castelraimondo, in provincia di Macerata.
Del libro di Lorenzetti, che restituiva un affresco notevole dello scienziato, Salvi scrisse quindi una recensione per un settimanale locale. Tuttavia, si rese conto che la parte scientifica della vita di Strampelli non era stata sviluppata adeguatamente e che probabilmente presentava molti contenuti da approfondire. Da genetista, ha quindi iniziato a raccogliere informazioni per riassumere quanto aveva fatto Strampelli in questa disciplina, della quale è tuttora considerato un pioniere, cercando di rileggerla in chiave moderna. Da tali ricerche è nato anche il primo libro di Sergio Salvi, ovvero “Viaggio nella genetica di Nazareno Strampelli”, pubblicato nel 2008.
Gli attestati d’interesse furono tali da spingere Salvi a non fermare le ricerche, pubblicando l’anno successivo un secondo libro, “Quattro passi nella scienza di Nazareno Strampelli”. Nel frattempo, le sue pubblicazioni su Strampelli erano ormai diventate più di 80.
Sergio Salvi, ricercatore in genetica e biologia molecolare
Personaggio affascinante, Strampelli. Non stupisce la Sua passione sia per il personaggio, sia per le sue opere.
“Studiare Strampelli è stato come aprire il vaso di Pandora, ma in senso positivo: a ogni scoperta ne seguivano altre, in una sorta di effetto domino inarrestabile che prosegue tuttora, sebbene a ritmi più blandi. Ad esempio, ho da poco sottomesso per la pubblicazione un breve saggio in cui ricordo come Strampelli sia stato il promotore d’importanti riforme scolastiche. In undici anni di ricerche, ho infatti potuto sviluppare diversi nuovi temi d’indagine, solo per metà riguardanti gli aspetti scientifici. Sono stato il primo a fornire una chiave di lettura ampiamente alternativa del lavoro di Strampelli, basata sulle evidenze documentali piuttosto che sull’aneddotica derivata dalla retorica di epoca fascista, spesso accettata acriticamente alla stregua di una verità assodata. Questo mi ha permesso di ridefinire i contorni del concetto strampelliano di miglioramento vegetale, partendo dal suo primo approccio all’ibridazione e proseguendo con lo studio di aspetti ancora oggi attualissimi, come la tolleranza alla siccità e le interazioni allelopatiche tra le specie coltivate in regime di rotazione e consociazione che hanno avuto un peso significativo nell’opera scientifica dell’agronomo maceratese. Oggi Strampelli non può più essere visto come un semplice breeder del frumento, bensì come uno scienziato interdisciplinare che aveva una visione molto articolata dell’agricoltura”.
Un personaggio che attirò però anche molte critiche e attenzioni tutt’altro che limpide.
“Sul piano storico ho infatti approfondito i rapporti di Strampelli con la massoneria, i quali forniscono una chiave di lettura alternativa circa la sua successiva adesione al fascismo. La massoneria divenne infatti fuorilegge nel Ventennio. Così come il ruolo da lui giocato nella promozione della politica agraria del regime, attraverso la pubblicazione di alcuni scritti propagandistici che erano stati dimenticati da tutti e che ho invece recuperato. Non ho trascurato nemmeno lo studio di questioni spinose, come il ruolo - ancora non chiarito - avuto da Strampelli in relazione all’approvazione delle leggi razziali del 1938”.
Quando si parla di Strampelli appare infatti difficile la definizione fra realtà e leggenda.
“C’è stato infatti spazio anche per fare debunking, soprattutto in merito alla leggenda del Nobel negato per motivi politici, rivelatasi una bufala giornalistica. Strampelli non ha mai vinto il Nobel semplicemente perché nessuno lo ha mai candidato. E questo in un’epoca in cui essere un senatore iscritto al partito fascista non precludeva affatto la possibilità di essere proposto per il più importante dei premi, contrariamente a quanto alcuni continuano a sostenere”.
Di Strampelli, però, si sa qualcosa solo nel settore agrario. Ben poco al di fuori.
“Non a caso ho spesso incontrato persone convinte che Strampelli dovrebbe essere insegnato nelle scuole. In questo ho potuto dare un piccolo contributo, sia aiutando gli studenti nella preparazione dei loro elaborati, come tesine di maturità, tesi di laurea e persino di dottorato, sia partecipando a un progetto scolastico su Strampelli che ha vinto un premio nell’ambito di Expo Milano 2015”.
Molto si dice dei cereali rivoluzionari messi a punto dal genetista marchigiano. Ma Strampelli non fu solo grano…
“Tutt’altro. Sul piano dell’utilità pratica - oserei dire “mangereccia” - delle mie ricerche, c’è stato il recupero del pomodoro Varrone. Costituito da Strampelli alla fine degli anni ’10, era sparito dalla circolazione subito dopo la seconda guerra mondiale. Dopo anni di ricerche, ho scoperto che la varietà era ancora conservata nella banca del germoplasma del VIR di San Pietroburgo. Così, insieme ad alcuni ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche, sono riuscito a riportarlo in Italia e ora è in corso l’iter per la sua iscrizione nel registro varietale”.
Sembra però che sul Suo lavoro su Strampelli aleggino animi contrapposti, ancora oggi.
“Sono due le cose che mi danno più fastidio. Sul piano personale, il fatto che le istituzioni scientifiche italiane, con rarissime eccezioni, non abbiano mai riconosciuto apertamente quanto ho prodotto finora su Strampelli in termini di scoperte storico-scientifiche e diffusione della conoscenza del personaggio. Lo stesso atteggiamento non è stato invece tenuto dai ricercatori stranieri che mi hanno sempre considerato un loro pari e con i quali ho buoni rapporti.
Sul piano generale, invece, m’infastidisce vedere Strampelli ridotto al ruolo di costitutore della varietà di frumento duro “Senatore Cappelli”, oggi tornata in auge nell’ambito della moda dei cosiddetti “grani antichi” e che rappresenta la sua creazione meno innovativa. È un apprezzamento di comodo e riduttivo che non rende giustizia alle innovazioni introdotte da Strampelli in granicoltura, come la riduzione della taglia, la precocità e la resistenza alle malattie. Tutte innovazioni che posero le basi per la successiva Rivoluzione verde di Norman Borlaug.
Questa narrazione limitata e pretestuosa del lavoro di Strampelli, che vedo nel web, lo rende “vecchio” sia scientificamente sia culturalmente, mentre i messaggi di cui egli è stato portatore sono ancora oggi attualissimi. Sebbene abbia festeggiato da poco i suoi primi 150 anni, grazie anche alle celebrazioni tenutesi nel 2016 e che nascono da una mia proposta inoltrata già nel 2009, Strampelli è ancora un “baldo giovane” che ha molto da insegnare, soprattutto ai ricercatori e ai molti nostalgici dell’agricoltura di un tempo”.
Appunto: se fosse vivo oggi, Nazareno? Strampelli, secondo Lei cosa direbbe agli attuali personaggi che presentano le sue innovazioni genetiche come “grani antichi”? E cosa direbbe loro in termini generali sull’agricoltura del passato a confronto con quella del futuro?
“Probabilmente direbbe loro che si sbagliano di grosso. Strampelli conosceva bene quelle varietà di frumento che oggi vengono da più parti riproposte e sebbene le considerasse importanti per il ruolo che avevano svolto in precedenza, in quanto ben adattate ai rispettivi ambienti di coltivazione, aveva anche dimostrato che non avrebbero potuto in alcun modo rappresentare la soluzione del problema produttivo di allora. Tant’è vero che il suo programma di miglioramento si basò sull’impiego di varietà di provenienza straniera portatrici di tratti capaci di contrastare le avversità che colpivano le varietà tradizionali e, di conseguenza, aumentare le rese, come in effetti avvenne.
Penso che se oggi Strampelli tornasse in vita sposerebbe ad occhi chiusi le biotecnologie agrarie come strumento innovativo atto ad aumentare le rese. Perché di questo oggi abbiamo ancora bisogno: produrre di più, ma stavolta su scala mondiale. E sempre con l’attenzione rivolta alla salute dell’ambiente e delle persone. Probabilmente sarebbe d’accordo anche nel vedere impiegate le vecchie varietà di grano in quegli ambienti marginali in cui oggi esse vengono reintrodotte in regime biologico, ma per la grande produzione adotterebbe certamente ciò che di meglio la scienza mette oggi a disposizione dell’agricoltura”.