Si è conclusa una campagna a dir poco "difficile", sulla quale hanno pesato condizioni climatiche altalenanti e una crisi perdurante. Per tracciare un bilancio dell'annata 2013 per il comparto frutticolo, e delinarne in sintesi le prospettive, AgroNotizie ha interpellato Gilberto Minguzzi, amministratore delegato di Terremerse 

Realtà di punta del settore agroalimentare italiano - con un fatturato di 157 milioni di euro - Terremerse  ha tra i suoi obiettivi principali quello di mettere in rete le produzioni e i valori di 5.271 soci (ai quali si aggiungono gli oltre 88O soci sovventori), e  di offrire  servizi e partnership sia nel mercato di destinazione finale, sia per quanto riguarda l’organizzazione dei conferimenti. Allo scopo di creare valore per la filiera agroalimentare in modo sostenibile nei confronti di consumatori, soci, clienti e collaboratori, nel rispetto delle persone e dell’ambiente.
Le principali aree di mercato che vedono protagonista Terremerse a livello nazionale e internazionale sono quelle dei cereali proteici, dell'ortofrutta, delle agroforniture, delle macchine e attrezzature agricole e delle carni.

Qual è il bilancio della stagione 2013 per le principali produzioni frutticole?
"Il bilancio dell’annata è influenzato dagli aspetti congiunturali dell’andamento di mercato, ai quali non può essere attribuita alcuna responsabilità rispetto ai problemi strutturali che gravano su alcune componenti fondamentali dell’offerta frutticola romagnola. Come nel caso delle nettarine medio tardive, un frutto che ha dato tanto nella formazione del reddito delle nostre campagne, che però da anni mostra segni di obsolescenza irreversibile con conseguenti risultati di mercato.
Al netto di questo ordine di problemi, la campagna è iniziata con un'ottima intonazione per le produzioni precocissime e precoci, salvo poi arrancare da metà luglio in poi. C’è stato un buon inizio di stagione con pere e mele estive, ma arrivati alla stagione dell'Abate Fetel le aspettative dei produttori hanno subito una delusione determinata dalla concorrenza di pere di minor prezzo (come ad esempio Conference).
In epoca di calo dei consumi e di contrazione del potere d’acquisto dei ceti popolari la scelta del giusto rapporto qualità/prezzo parte dal parametro della convenienza. Hanno maggiori chances di successo le specie come il kiwi che ha conquistato nuove opportunità nei mercati più lontani".

 
In un contesto di crisi, i mercati esteri rappresentano uno sbocco per le nostre produzioni. Quali in particolare? E quali sono le iniziative da mettere in campo peché l'export sia realmente competitivo?
"I mercati esteri hanno sempre rappresentato una destinazione determinante per le nostre produzioni, con una potenzialità tale da poter soddisfare i consumi dell’Europa intera.
Semmai con la crisi dei consumi che si manifesta in Italia e in Europa, e con la concorrenza agguerrita della Spagna in particolare, il solo sbocco del mercato europeo non basta più.
Ovviamente le alternative al mercato europeo interessano per lo più specie a minore deperibilità, adatte a raggiungere mercati d’oltremare, com’è il caso del kiwi, delle pere e delle mele invernali.

Ma i mercati che si approvvigionano sull’hub degli Emirati possono essere raggiunti anche con specie più deperibili, ricorrendo anche al trasporto aereo. Per un export competitivo occorrono relazioni strutturate che programmino l’offerta in relazione al variare del gusto e delle esigenze della domanda, facendo leva sull’organizzazione, sulla logistica più avanzata e quindi sul giusto mix di qualità/convenienza, declinato di volta in volta a seconda delle esigenze del target commerciale da raggiungere.
Un elemento competitivo di grande valenza sta nel servizio posto a garanzia della freschezza del prodotto. Recenti ricerche si sono orientate verso confezioni dotate di marcatori in grado di rilevare il giusto grado di maturazione per il consumo".


"E' necessario aprirsi a mercati esteri oltre i confini europei,
ma per un export competitivo occorrono relazioni strutturate"

Per rilanciare il settore, la promozione dei prodotti ortofrutticoli può essere una strada da percorrere ?
"Se si vuole che il marketing possa sviluppare la sua funzione di valorizzazione, bisogna accettare il concetto che il successo commerciale di ogni prodotto ha una sua traiettoria: prima la fase ascendente, che è stata percorsa a lungo dal nostro prodotto di punta (le nettarine tardive), poi c’è la fase in cui l’inserimento nel mercato dev’essere sostenuto perché si stabilizzi. Anche questa fase è stata percorsa con successo. Infine, la traiettoria volge verso il declino e la caduta. Quello è il momento per pensare a mettere in campo innovazioni di prodotto.
Questo credo sia il compito delle maggiori strutture cooperative oggi, magari mettendosi in rete, come abbiamo fatto noi di Terremerse con Apofruit: per potenziare la capacità d’accesso alle innovazioni dei costitutori internazionali, per condizionarne la ricerca e anche per produrre innovazione in proprio, possibilmente con il sostegno del pubblico se ritiene - come dovrebbe - che l’agroalimentare sia uno degli asset competitivi che possono creare ripresa e sviluppo dell’occupazione".


Quali sono le tre azioni fondamentali per valorizzare le nostre produzioni e renderle più appetibili per il consumatore?
"Di certo la sicurezza alimentare. Noi di Terremerse, con l’attività della nostra area di 'Ricerca & Sviluppo' e attraverso il nostro centro di saggio e il laboratorio entomologico, possiamo fornire ai produttori soluzioni avanzate per la crescita della loro competitività e dell’affidabilità delle produzioni alimentari. Se riusciamo a vendere a prezzo vantaggioso kiwi biologico italiano in Cina, che è il primo produttore mondiale, è perché i cinesi si fidano più dei nostri sistemi organizzati che dei loro prodotti.

Poi c'è il servizio al consumo, per dare la risposta più adatta a ciascun segmento di mercato. Ad esempio poter comunicare al consumatore il momento più adatto per gustare il frutto al giusto grado di maturazione, puntando sulla massima freschezza. Nel servizio al consumo va compresa anche la capacità di tagliare i costi di confezionamento, scegliendo confezionamenti più rustici o addirittura svolti in campagna, per dare risposta anche ai mercati che richiedono la massima convenienza.

Infine l'organizzazione a rete per presidiare al meglio il mercato internazionale, sapendo che la qualità vince quando si coniuga con l’organizzazione. Quest’ultima però non può discendere da un solo soggetto illuminato, che faticherebbe a sopportarne i costi e le rigidità, ma dev’essere il frutto di un’orchestrazione di più soggetti e territori messi in rete (com’è indicato nello stesso logo della nostra cooperativa) che danno il meglio di sé mettendo in valore la propria identità e travalicando i limiti dei propri confini territoriali. Su questa base si può costruire distintività e riconoscibilità, anche con politiche di marca".