Da quando la stagione 2025 è partita, già si preannunciava un'altra annata con problematiche importanti di siccità al Sud. Secondo i dati Anbi a fine aprile, alla Capitanata, in Puglia, mancavano all'appello 81 milioni di metri cubi di acqua rispetto al 2024, anno terribile dal punto di vista delle disponibilità idriche in regione, volumi che corrispondono al 34,06% di quelli autorizzati. In Sicilia eravamo al 53,32% dei volumi autorizzati; nella Nurra, in Sardegna si assiste alla desertificazione del territorio con i bacini che contengono appena il 17% delle capacità. E al Nord? Al Nord è piovuto autunno e inverno, con conseguente ingrossamento dei livelli dei corsi d'acqua e dei grandi laghi. A fine aprile il riempimento del lago Maggiore era al 104,6%, il Benaco al 99,3% e il Sebino all'89,3%.
Del rapporto piante/acqua/agricoltura e delle problematiche soprattutto degli ultimi anni, con siccità ricorrente ma anche allagamenti, alluvioni, eccesso di acqua, si è parlato all'edizione 2025 del Festival torinese Coltivato. Il Festival Internazionale dell'Agricoltura, ideato da Antonio Pascale e Maria Lodovica Gullino, quest'anno è stato proprio dedicato all'analisi approfondita del problema idrico. In particolare, durante il convegno "Troppa acqua, poca acqua, impatto sulla frutticoltura", i professori Paolo Inglese (Università degli Studi di Torino) e Luca Corelli Grappadelli (Università di Bologna) hanno messo in luce le diverse sfaccettature della problema, le conseguenze e le possibili strategie di soluzione.
Innanzitutto, in Italia l'agricoltura è il primo settore per prelievo di acqua con 16 miliardi di m3 annui, il 40% del totale, ma non si dica che l'agricoltura consuma acqua. "Non dobbiamo accettare che la società accusi l'agricoltura di sprecare la risorsa - ha detto Luca Corelli Grappadelli - noi diamo acqua a degli organismi che sanno che uso farne e che a poche ore dalla somministrazione la rilasciano in atmosfera. L'acqua non esce dal ciclo e, fra l'altro, è ancora acqua perfettamente utile. Certo, l'agricoltura può usarne meno, ma questo è un altro discorso".
Paolo Inglese, docente di Arboricoltura Generale e Coltivazioni Arboree, ha ricordato come per capire il rapporto di una particolare specie arborea con l'acqua sia necessario guardare a dove questa si è evoluta. "L'actinidia è una Ferrari - ha spiegato - è una pianta da sottobosco, non ha resistenza allo stress idrico. Si ferma di colpo se fa fatica a chiamare acqua. L'olivo è una Panda 4x4, se la strada si fa difficile, si adatta. C'è poi una pianta particolare come il pistacchio, si è evoluto in Iran. Ha le foglie anfistomatiche, ha quindi gli stomi da entrambi i lati. Se tocchi le foglie quando ci sono 50°C queste sono più fresche dell'atmosfera perché traspirano. Si vuole coltivare il mango al Sud, il mango però è una specie monsonica. Può stare anche sei mesi senz'acqua ma non sopporta le alte temperature. Gestire il pesco è impossibile se sei convinto che si sia evoluto in Romagna".
Poi Inglese ha raccontato gli effetti devastanti della siccità in Sicilia, partendo da una sua esperienza personale. "A giugno 2023 le temperature in Sicilia erano incredibili, stavamo misurando il VPD, il Vapor Pressure Deficit, ovvero la differenza tra la pressione esercitata dall'umidità presente nell'aria e la pressione della saturazione (Misura direttamente correlata alla traspirazione, Ndr). Ho visto con i miei occhi piante collassare davanti a me, ulivi secolari morti per l'eccessiva domanda evapotraspirativa. Ci sono piante che non la tollerano".
Eccesso di acqua e frutticole: focus sugli effetti
E se invece c'è un eccesso di acqua?
Per quanto riguarda l'eccesso di acqua, come ad esempio è il caso delle ripetute alluvioni in Romagna, Corelli Grappadelli che è nativo di Lugo (Ra), ha raccontato così l'effetto sulle piante da frutto. "Stiamo facendo delle osservazioni, non sono però studi scientifici rigorosi per mancanza di finanziamenti, ma abbiamo visto che la vite è una specie estremamente resiliente. Viceversa, altre specie, soprattutto drupacee, fanno molta fatica. Il più sensibile sembra essere l'albicocco. Qualcosa che capiremo solo con gli anni è che cosa succede quando porti così tanto il nuovo terreno, come questo alteri le caratteristiche del terreno che già c'era. Il quadro è stato molto variegato: dove l'acqua è arrivata lontano dal punto di rottura dell'argine, il sedimento che ha lasciato è irrisorio. In vicinanza delle rotture, lì ci sono stati dei depositi molto importanti di una matrice solida che ha delle forti componenti argillose, quindi cambia molto le proprietà fisico chimiche del terreno. Stiamo cercando di capire le migliori strategie di gestione".
Che fare dunque? Il gruppo di ricerca del professore Luca Corelli Grappadelli, all'Università di Bologna, sta lavorando molto con l'agricoltura di precisione, quindi appoggiandosi ad ausili tecnologici, ma i più recenti esperimenti che sta portando avanti riguardano fotosintesi e irrigazione. "Il nostro obiettivo - ha raccontato - è disaccoppiare fotosintesi e irrigazione. Per molte specie temperate, infatti, la fotosintesi funziona anche senza troppa acqua. Il maggior consumo di acqua un albero ce l'ha nel pomeriggio ma la maggior fotosintesi la fa di mattina e quando arrivano le ore in cui perde grandi quantità d'acqua, la fotosintesi è già calata da tempo per motivi fisiologici. Stiamo cercando di arrivare a disaccoppiare appunto l'input d'acqua dall'esigenza fotosintetica. Possiamo, per esempio, ombreggiare gli alberi in modo da non preoccuparci più di fornire acqua. C'è chi punta il dito contro l'impatto ambientale delle coperture, noi siamo sensibili al paesaggio, ma se la copertura mi fa risparmiare il 50% di acqua, senza ledere la produttività e migliorando anche la qualità, penso che possiamo andare in quella direzione".
I professori Paolo Inglese (Università degli Studi di Torino) e Luca Corelli Grappadelli (Università di Bologna)
(Fonte foto: Andrea Guermani)