Germania, Francia, poi Italia e altri Paesi a seguire. Molti agricoltori esasperati sono scesi in strada e hanno portato i propri trattori nelle capitali e nelle città più importanti, talvolta abbandonandosi purtroppo a gesta riprovevoli, come distruggere merci provenienti da altri Stati membri dell'Unione europea, o danneggiando strutture pubbliche o private con una foga iconoclasta che per la causa stessa sarebbe stato meglio evitare.
La protesta pare divenuta quindi una storia distopica, ove con distopia si intende un'utopia al contrario, in negativo. Se l'utopia vagheggia infatti un mondo perfetto, la distopia mira a realizzarne uno spaventoso, che nessuno vorrebbe mai vivere sul serio, ma che alla fine si realizza lo stesso.
Sui social è partita infatti la lotta polarizzata fra sostenitori e detrattori del mondo agricolo, con i primi che applaudono anche a fronte di comportamenti irresponsabili, i secondi che confermano il proprio odio preconcetto per gli agricoltori in quanto tali. Dato però che a essere portati a spasso per l'Europa sono stati i trattori, divenendo simbolo essi stessi della protesta, chiediamo a loro cosa ne pensano.
Cari trattori, ma alla fine ci spiegate perché ogni volta che gli agricoltori protestano siete voi a essere trasformati in divisioni corazzate da schierare sulle strade?
"Ma cosa vuole, se si mettono tutti insieme gli agricoltori europei fanno sì e no l'1-2% della popolazione continentale. Quindi poca roba dal punto di vista elettorale e di piazza. Alle proteste, di solito, partecipa poi solo una minuscola minoranza delle categorie interessate, quindi marciando a piedi gli agricoltori si sarebbero confermati i soliti quattro gatti agli occhi di media e politica. Creando colonne di trattori sulle strade, invece, l'attenzione l'hanno attirata eccome".
Questione di tonnellate anziché di numeri, quindi?
"Più o meno è così. Purtroppo, come spesso accade, una minoranza della minoranza senza fare così tanto rumore sarebbe stato meglio fosse rimasta a casa. Noi però di certe scene ne avremmo fatto pure a meno".
In che senso scusate?
"Nel senso che se poi ci usi per ribaltare camion pieni di cibo, o per incendiare copertoni ammassati contro i palazzi, o ancora per imbrattare un McDonalds di paglia e letame, cosa pensi di ottenere? Approvazione? Solidarietà? Ma manco per idea: ottieni solo di fomentare odio nei tuoi confronti e nei confronti delle ragioni delle tue stesse proteste".
Diciamo che gli agricoltori francesi sono noti per essere fumantini. Basti ricordare le cisterne di vini spagnoli fermate e svuotate per strada anni fa. Ma il McDonalds? Questa mi giunge nuova.
"Alcuni agricoltori hanno invaso un McDonalds e l'hanno riempito di paglia mista letame buttandone un po' ovunque. Ora, ci chiediamo, pensate davvero che i vostri problemi li abbia creati McDonalds? E, soprattutto, chi pensate che abbia pulito le vostre intemperanze? Saranno stati ragazzi pagati anche meno di voi. Per giunta, gli agricoltori degli altri Paesi cosa dovrebbero fare come risposta, ribaltare i camion che trasportano vini, formaggi, cereali e altri prodotti francesi? No, mi creda, a vedere quello scempio ci è venuto male al circuito idraulico...".
Va però detto che i Vostri proprietari sono davvero esasperati. Alla fine quando è troppo è troppo.
"Gliene rendiamo atto, ma magari sarebbe più utile un'analisi accorta dei motivi e delle origini del malcontento. Magari iniziando a ricordare ai nostri proprietari che la loro condizione attuale non l'hanno causata le farine di grilli o le carni coltivate, che ancora in giro si devono vedere, bensì politiche agricole e commerciali suicide, come pure una mancata unione di intenti quando il settore andava difeso dal punto di vista strutturale. Non è continuando a chiedere più sussidi che si risolvono i problemi. Anzi, li si aggrava sempre di più".
Diciamo che sventolare specchietti per le allodole è da sempre l'espediente più comodo per distrarre le masse dai problemi reali e dalle responsabilità per chi le ha. Ma circa i sussidi cosa mi sapete dire?
"Diciamo che abbiamo letto i social e ascoltato certe trasmissioni televisive e ci sono cascati i cardani".
Cosa vi ha colpito di più di tutta la polemica?
"Per esempio, i mammalucchi che senza sapere di cosa parlano condividono il famoso rapporto fra Pil agricolo del 3% e sussidi per un terzo del bilancio europeo. Come a dire che non ha senso sussidiare un settore che produce così poco. Ma si rendono conto della stupidaggine che rilanciano? Due sono almeno le stranezze dei loro ragionamenti. La prima è che l'importanza oggettiva di un comparto non può essere valutata solo con il Pil. La seconda è che semmai ci si dovrebbe scandalizzare per quel 3%, mortalmente basso, anziché per il 33% dei sussidi. L'agricoltura produce cibo, quindi vale più di ogni altro settore economico dal punto di vista dell'importanza intrinseca, poiché soddisfa un bisogno che più primario di quello non ce n'è: mangiare. Quindi che riceva un terzo dei soldi erogati da Bruxelles è tutto tranne che sbagliato".
Ma non c'è per caso anche un problema di tipo commerciale, di rapporto fra player delle filiere?
"Lo chiediamo noi a Lei: gira mai per i supermercati?"
Eccome: spesso la spesa la faccio io. Perché?
"Perché allora si sarà reso conto che nel solo corridoio dei prodotti di bellezza o comunque voluttuari c'è un valore economico a metro quadro molto più elevato di quello che si rileva nei reparti in cui si vende cibo".
No, questa me la dovete spiegare meglio.
"Ma certo: vuole un gel per rendere più morbidi i capelli? 150 millilitri di confezione a 3,82 euro, cioè 19 euro al litro. Vuole un prodotto per ridurre la formazione delle doppie punte? 200 millilitri di confezione a 9,99 euro, 49,95 al litro. Ah, ma se poi fosse stufo dei capelli secchi, basta prendere la confezione del prodotto specialistico, a soli 7,99 euro, pari a 79,9 euro al litro. Manco fosse Champagne di marca. Stia pur tranquillo che con quei prezzi di sussidi non ne hanno certo bisogno. Dobbiamo continuare?"
Sì, per favore: ora mi avete intrippato con questa cosa dei prezzi.
"Bene, passi ora al reparto pane: dai 3 ai 4 euro al chilo. Il pane: il simbolo della lotta alla fame. Le uova? 50 cent l'uno. Melanzane? 1,85 euro al chilo. La pasta? da un euro e mezzo a 4 euro al chilo, quando la pasta si propone in veste di cibo per consumatori modaioli. Olio di oliva dato per Evo? A pochi euro al litro. E la cosa peggiore è che di quei prezzi solo una minima parte è finita nelle tasche degli agricoltori. Quindi, per capire meglio come fare per comparare un punto di Pil di un settore con quello di un altro: cosa portereste su un'isola deserta? Un riflessante o un chilo di patate? Se i cittadini europei non capiscono questo, continueranno a dire le stupidaggini che dicono confrontando il famoso 3% con il 33% del bilancio. Se non gli piace quel 3% così basso, facciamo così: raddoppiamo i prezzi riconosciuti agli agricoltori e il Pil dell'intero comparto schizzerebbe all'insù, anche perché avere il doppio dei soldi permetterebbe di investire in tecnologie e innovazione, creando un indotto molto superiore ai volumi monetari a loro riconosciuti in più. Allora i cittadini potrebbero stare tranquilli che di contributi ne potrebbero servire molti meno. E forse pagando molto più caro il cibo, i cittadini comprenderebbero di nuovo il suo valore, anziché snobbare chi l'ha prodotto".
Ok, ma qui ci si becca le accuse di populismo perché, dicono, anche chi trasforma e chi vende ha suoi costi.
"Certo. Perché, i nostri proprietari non ce li hanno i costi? Noi, non costiamo nulla ad acquistarci e a mantenerci? Ma non scherziamo. E i fertilizzanti, le sementi, gli agrofarmaci, gli impianti di irrigazione, l'acqua stessa, più la manodopera. Non sono costi? Più il rischio. Un'industria che produce pasta può trovare grano da altri Paesi per continuare a produrre se in Italia non ne trova abbastanza. Se al cerealicoltore la siccità fa perdere anche il 30% delle rese, come è successo a molti nel 2022, quell'anno va in rosso perché i ricavi non coprono neanche i costi. L'agricoltore vende ciò che la terra gli dà: non ha la possibilità di rimpiazzare i propri prodotti con quelli di altri. Una grandinata? Perde tutto. E le assicurazioni funzionano sì, funzionano no. Di certo, sono una spesa in più che non sempre rientra poi in tasca. Il supermercato che vende vino, invece, lo compra da altri. Lui, il viticoltore grandinato, resta col cerino. Non c'è paragone fra rischio di impresa di un agricoltore e quello di un'industria o di una Gdo. E questo non lo vogliamo considerare?"
Certo che sì. Ma per chi non lavora in campo agricolo queste sarebbero le solite manfrine di chi becca un sacco di soldi pubblici e poi si lamenta pure. C'è anche chi pensandosi spiritoso ha sottolineato sui social che quelli che protestano sono riusciti a comprarVi proprio grazie ai contributi che hanno ricevuto e che ora Vi usano per protestare contro chi quei contributi ha dato loro. In pratica, sempre stando ai commenti sui social, starebbero mordendo la mano che li mantiene.
"Un consesso di geni, vedo. Fanno gruppo con quelli che sfidano gli agricoltori a rinunciare ai contributi e a confrontarsi con il libero mercato".
Certo: così chiude la maggior parte delle aziende agricole...
"Appunto, non sanno quello che dicono perché hanno spesso le terga al caldo e di mettersi nei panni degli altri manco ci pensano minimamente. Sarà quindi bene ricordare loro che una gran parte delle aziende ha bilanci di fatto in perdita, guardando entrate e uscite, ma che vanno in attivo solo perché ci sono i contributi. Senza, chiudono. Peraltro, gli agricoltori si sono sempre confrontati col mercato, sino a che decenni fa sono arrivate le politiche agricole nazionali ed europee a condizionarne le scelte. Le intenzioni erano anche buone, se vogliamo: dare indirizzi economicamente razionali alle produzioni del Vecchio Continente. Poi però le cose hanno preso una pessima piega da quando produrre sembra sia diventata cosa di cui vergognarsi".
Beh, il set aside esisteva già molti decenni fa.
"Sì, ma fino agli anni '80 produrre era di fatto un vanto e il comparto agricolo riceveva un rispetto molto maggiore di quello odierno. Dagli anni '90 in poi, anche a causa dei disciplinari di produzione, è diventato quasi motivo di biasimo. Ma qui la colpa della situazione attuale è anche dei nostri proprietari: quando nei primi anni '90 uscirono, come detto, i primi disciplinari, la cosiddetta 2078, molti aderirono perché erano tutto sommato soldi facili. Solo nel tempo si sono accorti che ogni anno le richieste e i vincoli aumentavano, complicando le cose. E fare i furbi non era più tanto facile come nei primi momenti..."
In che senso fare i furbi?
"Non faccia l'ingenuo: sappiamo bene che trent'anni fa, in una sua vita professionale precedente, andava per il territorio a presentare le novità fitosanitarie dell'azienda per cui lavorava. Se lo ricorda?"
Beh, sì, in effetti ricordo. Un periodo ricco di sconsolazione per le risposte che ricevevo proprio dagli agricoltori.
"Tipo quando Lei ricordava il numero massimo dei trattamenti permessi dai disciplinari per quegli specifici prodotti, cosa le dicevano?"
Mi chiedevano come fossero classificati...
"E quando Lei diceva che erano Xi, irritanti, o NC, non classificati, che succedeva?"
Succedeva che mi guardavano come fossi un povero fesso a cui bisogna proprio insegnare tutto: ridacchiavano fra loro, ricordandomi che bastava comprarne una parte a scontrino e quei trattamenti in più li si faceva senza poi segnargli sui registri dei trattamenti...
"Cosa che Lei sapeva perfettamente, ma che non poteva certo dire per questioni di deontologia".
Sì. Per questo ero sconfortato dopo quelle serate: avevo troppo spesso la conferma che i miei interlocutori facevano parte del folto gruppo di chi crede che fatta la Legge basta trovare l'inganno e si può andare avanti così all'infinito. Frustrazione che aumentava quando poi leggevo articoli autocelebranti di certi soloni di alcune regioni che si vantavano di come gli agricoltori che seguivano i loro disciplinari facessero meno trattamenti degli altri.
"Sapevano benissimo anche loro che in realtà molti facevano solo i furbetti, ma veniva comodo anche a loro far finta di non saperlo, perché quelle furbizie spicciole giocavano a favore dei sostenitori dei disciplinari stessi, senza se e senza ma. Peccato che le furbizie spicciole, come le bugie, abbiano le gambe corte".
In che senso?
"Nel senso che poi le restrizioni sono progressivamente aumentate al pari della burocrazia, come pure sono cambiate le classificazioni dei prodotti. Ora come ora non si possono più comprare a scontrino: serve sempre il patentino e quindi il giochino è diventato sempre più difficile. In poco più di vent'anni anche la Revisione europea ci ha poi messo lo zampino, falcidiano le sostanze di sintesi per la metà di quelle che gli agricoltori potevano usare quando entrarono nell'attraente mondo della 2078, poi divenuti Psr. Il cappio si è quindi stretto piano piano. E ora ha iniziato a stringere fino a togliere il fiato: Farm to Fork, ecoschemi, 4% di terra lasciato fermo, tagli agli agrofarmaci, tagli ai concimi, distanze minime dalle case, indipendentemente dal fatto che quelle case siano state costruite loro a ridosso dei campi... Davvero la misura adesso è colma".
Ci fu anche chi allora, a metà anni '90, cercò di avvisare il comparto che disciplinari e contributi rischiavano di diventare nel tempo un coltello tutto lama e senza manico. Ma rimasero ben poco ascoltati.
"Anzi, venivano accusati di essere servi delle industrie. E poi ci si sono messi anche i disciplinari privati di industrie di trasformazione e Gdo: e chi non vuole più del 30% dei residui di Legge, e chi non vuole più di quattro residui diversi..."
Un puro non sense di cui si occupò persino la DG Sanco, cercando di parlare con le Gdo per convincerle della vacuità di quelle regole.
"Risultato?"
Nessuno: li ricevettero gentilmente, salvo ricordare loro che sulle loro decisioni e sulle loro strategie di marketing la DG Sanco nulla poteva dire. Essendo più restrittivi delle norme europee, in effetti, quei disciplinari erano inattaccabili dal punto di vista della sicurezza dei cittadini.
"Peccato con quelle imposizioni arbitrarie abbiano complicato molto la vita degli agricoltori senza ve ne fossero i motivi. E pure hanno complicato la vita degli officials dei disciplinari pubblici che si sentirono superati a destra dai privati. Chi crea il mostro, del resto, rischia poi gli si rivolti contro. Peccato che alla fine il mostro abbia morso sempre e solo gli agricoltori".
E quindi cosa vogliamo dire a Bruxelles e alla politica italiana?
"Che i contributi pubblici, così generosamente distribuiti per decenni, hanno sortito l'effetto di rendere dipendenti gli agricoltori quasi fossero una droga. E si sa bene cosa succede quando qualcuno ipotizza di ridurre le dosi o di alzarne il prezzo: la gente sbrocca. Gli agricoltori europei hanno bisogno di vedere sostituire i sussidi con rialzi dei prezzi a loro riconosciuti, anziché raccogliere le briciole delle filiere che loro stessi alimentano dalla base. Devono cioè ritrovare il giusto corrispettivo per la qualità e la quantità che producono. Anche perché stando al Crea l'Italia sta avendo seri problemi di rese: tenendo da parte zootecnia, vino e olio, le produzioni sono scese del 10% rispetto a vent'anni fa. Manca, sempre stando al Crea, il 20% dell'uva da tavola, il 30% di pesche e il 50% di pere. Si producono meno ortaggi rispetto agli inizi del secolo, con pomodoro e patate scesi in modo significativo".
Ma come, i cittadini non chiedono a gran voce di volere mangiare italiano?
"Sì, a gran voce. A parole. Poi però quando vedono un atomizzatore da lontano chiamano le tv e pubblicano le foto sui social per fare sembrare quell'agricoltore un delinquente inquinatore. Quindi facciano pace con se stessi: o accettano in silenzio di mangiare straniero, incluse farine di grilli e carni coltivate, o ridanno ai nostri proprietari la dignità sociale ed economica che avevano 50 anni fa, prima che le derive green ne minasse le fondamenta e li rendessero dipendenti dai sussidi come nessun altro al mondo".
Ecco, forse sarebbe venuto il momento, anche e soprattutto per gli agricoltori, di chiedere più dignità professionale, anziché più soldi da Bruxelles. Poiché quei soldi non sono mai stati gratis, nemmeno quando sembravano tali. Costavano carissimo, invece, in termini di libertà di imprendere e di decidere. E la libertà, cari produttori, lei sì che non ha prezzo.