L'esplosione dei costi
Un aumento del 25% dei costi di produzione.
E' questo il conto finale per l'agricoltura se si tiene conto dell'impennata dei prezzi del 2021 (+6%) e di quella dei primi mesi di quest'anno (+18%).
E' quanto si apprende dall'articolo a firma di Lorenzo Frassoldati, pubblicato su QN del 13 giugno, prendendo spunto dalle analisi di Ismea sull'andamento del settore.
Una situazione che rischia mettere fuori mercato interi comparti dell'agroalimentare, come spiega Carlo Piccinini, presidente di Fedagri Confcooperative.
L'aumento dei prezzi è solo in parte legato al conflitto in corso, mentre già da inizio anno si è assistito a una progressione di vari fattori di costo, a iniziare dall'energia, proseguendo con i fertilizzanti.
Il tutto aggravato dalla siccità che oggi obbliga a irrigare, aumentando i costi.
Fra i settori più penalizzati figura quello degli allevamenti, dove la dinamica dei prezzi ha dimostrato di non essere in grado di assorbire l'ondata degli aumenti dei costi di produzione.
A questo scenario, di per sé già difficile, si aggiungono ora le complessità per l'export, ostacolato dal conflitto e dalle tensioni internazionali.
Produzione in calo
La raccolta del grano è alle porte e Brescia Oggi del 14 giugno ospita una stima delle previsioni che seppure finalizzate all'area locale, hanno ampi riscontri anche in altre zone.
Tra siccità prolungata e successive grandinate, l'articolo, firmato da Carlo Andrizzi, anticipa che i raccolti sono previsti in calo, cosa che aumenterà la nostra dipendenza dalle importazioni.
Dove il clima avverso si è fatto sentire maggiormente, si prevedono cali produttivi tra il 20 e il 30%.
Danneggiati anche i campi di mais, una delle colture fra le più diffuse nel bresciano.
L'aumento dei costi di produzione, stando alle valutazione del Crea, sono state in media del 68% e in un caso su quattro i costi superano i ricavi, cosa che richiede, conclude l'articolo, interventi urgenti anche di carattere strutturale.
Xylella, un "disastro colposo"
Torna di scena la Xylella, questa volta sulle pagine de Il Mattino di Foggia, che denuncia come a sud di Brindisi la patologia interessi ormai la gran parte degli oliveti.
Per gli olivicoltori che hanno subito danni superiori al 30% della produzione, sono previsti i rimborsi messi a disposizione dal ministero per le Politiche agricole.
In totale sono disponibili 51 milioni di euro, 16,5 dei quali destinati all'anno 2018 e 35 milioni per il 2019.
Si tratta di fondi del Piano per la rigenerazione olivicola risalenti a marzo del 2020.
La Xylella, ricorda l'articolo, ha colpito oltre 20 milioni di piante.
In provincia di Lecce la produzione di olio è crollata del 75% dopo che 3 piante su 4 sono risultate colpite.
Un'emergenza che dura ormai da otto anni e che oltre ad avere seccato milioni di ulivi ha portato alla svendita di numerosi frantoi, passati in mani straniere.
Un "disastro colposo" conclude l'articolo, che richiederebbe interventi adeguati per rilanciare la "più grande fabbrica green" italiana.
Semplificazione complicata
Per promuovere eolico e fotovoltaico la semplificazione non semplifica.
Scrive così Jacopo Giliberto sulle pagine de Il Sole 24 Ore del 16 giugno.
Il decreto legge che si occupa di questa materia (il numero 50 del 17 maggio) prevede che un impianto fotovoltaico non possa essere costruito a una distanza inferiore di un chilometro da un eventuale bene culturale.
Difficile trovare aree disponibili e solo in Emilia Romagna è consultabile una mappa digitale aggiornata dei siti sensibili.
Per il resto di Italia i dati non sono ancora fruibili.
Ma tenuto conto della grande diffusione nel nostro Paese di beni culturali, gli spazi a disposizione potrebbero risultare limitati.
Le difficoltà, si legge ancora nell'articolo, riguardano anche gli impianti eolici, per quali esistono vincoli anche superiori a quelli previsti per il fotovoltaico.
Salviamo l'acqua
Abbiamo la siccità più grave degli ultimi 70 anni e nella pianura padana è a rischio il 30/40% delle colture.
Gli impegni presi con il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per mettere in sicurezza i bacini idrici e gli alvei naturali sono ancora lettera morta e intanto nel nostro Paese si disperde il 42% dell'acqua erogata.
Di questo problema si occupa Italia Oggi del 17 giugno con l'articolo a firma di Tino Oldani, dove si ricorda che già da mesi era stato proposto un progetto per realizzare in breve tempo una rete di piccoli bacini idrici a basso impatto ambientale.
Il progetto è rimasto inattuato e ora per le colture di mais e di riso si teme il peggio, con una caduta della produzione che potrebbe arrivare al 50%.
Più colza che mais
Non è il grano il protagonista delle semine sui terreni salvati dall'obbligo del riposo colturale imposto da Bruxelles, ma il mais e i semi oleosi.
Non c'è da stupirsene, visto che il via libera ai 200mila ettari a disposizione dell'Italia è arrivato fuori tempo per le semine autunnali, come il grano, ma in tempo utile per quelle primaverili.
Sulle semine di oleaginose ha prevalso la colza, stando a quanto scrive Giorgio dell'Orefice su Il Sole 24 Ore del 18 giugno.
Una scelta dettata dalla carenza della produzione nazionale e dalla minore disponibilità conseguente al conflitto.
Anche le semine di mais risultano in aumento, cosa che sarà di aiuto per rispondere alla domanda di alimenti per la zootecnia.
La preferenza accordata alle semine di oleaginose piuttosto che al mais è dettata dalle grande quantità di acqua richieste da quest'ultimo.
Per il prossimo anno aumentano le richieste verso la Commissione europea di prolungare il periodo di sospensione dei vincoli comunitari sul riposo dei terreni, che riguarda complessivamente in Europa circa 4 milioni di ettari.
Una richiesta che muove dalla constatazione che il conflitto avrà come conseguenza una riduzione della disponibilità di materie prime, mentre l'Europa deve aumentare gli sforzi verso una propria sovranità alimentare.
La siccità nelle "veline"
Non c'è quotidiano che abbia trascurato l'allarme siccità e praticamente su tutte le testate in edicola il 19 giugno rimbalzano notizie dai toni apocalittici sui giorni di assenza delle piogge, sui livelli dei fiumi e dei laghi, sulle conseguenze catastrofiche sulle colture.
Non che il problema sia da trascurare, tutt'altro.
Ma è curioso che il problema emerga solo dopo una delle tante "veline" che arrivano nelle varie redazioni.
Eppure la siccità c'era da tempo (e purtroppo ci sarà ancora per giorni), ma pochi i giornali che se ne erano accorti prima dell'allarme lanciato da Coldiretti (cui va comunque un plauso per la capacità di diffondere informazioni).
Fra i tanti giornali scelgo Repubblica (del 19 giugno, appunto) che già dalla prima pagina "strilla" l'argomento siccità al quale dedica due articoli.
Per un giornale che si occupa con parsimonia di temi agricoli è davvero tanto.
Rosaria Amato, che firma uno degli articoli, prende le mosse dal calo delle acque del fiume Po, mai così in secca da 70 anni.
Dà poi la parola al Ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli che annuncia l'apertura dello stato di crisi che consentirà alle Regioni colpite di adottare provvedimenti di emergenza.
E poi via libera ai bacini irrigui per i quali sono disponibili 1,2 miliardi di euro.
Ma sono pochi ribatte Massimo Gargano, direttore di Anbi (Associazione consorzi acque irrigue).
Risultato: forse ci saranno più soldi per realizzare il progetto che da tempo Coldiretti sostiene per recuperare piccoli e grandi bacini di raccolta delle acque.
Anche se non piove il tema siccità può tornare nel dimenticatoio. Almeno sino alla prossima "velina".
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