Questo articolo si prefigge uno scopo minimo: guidare il lettore nella giungla dei prezzi agricoli, la cui formazione è diversa e varia molto in base a parametri estremamente diversificati. In particolare affronta il tema delle commodity agricole.

In generale, i prezzi e i mercati delle commodity agricole hanno un comportamento più simile ai beni industriali e molto meno ai beni prodotti dall'agricoltura in senso stretto o freschi. Tanto è dovuto al fatto che si tratta di beni - per loro stessa definizione - di più agevole standardizzazione tipologica e facilmente conservabili e la cui durata in magazzini all'ingrosso può superare il tempo normalmente intercorrente tra l'annata agraria necessaria a produrli e quella successiva. E questo elemento tiene le commodity parzialmente al riparo dalle fluttuazioni di prezzo dovute ad eccesso di offerta temporanea o assenza di domanda per offerta anticipata o ritardata, tipici eventi del mercato dei prodotti freschi.

Tipicamente i cereali (grano duro e tenero, riso, orzo, ed altri) e i loro eventuali semilavorati (farine e semole), i legumi secchi, gli oli vegetali e i semi necessari a produrli (mais, colza, girasole, arachidi) e il vino sono considerati a tutti gli effetti delle commodity e sono suscettibili di essere valutati a prezzi di mercato durante l'intero anno.


Future e loro efficacia predittiva

Questa condizione temporale ha favorito la nascita del mercato dei titoli rappresentativi di questi beni, che obbligano il possessore - ad una certa data di scadenza - a consegnare una determinata quantità di beni. Tali titoli, i future per lo più, si negoziano su mercati simili a quelli finanziari, e hanno una relativa efficacia predittiva dei prezzi dei beni ad una certa data di consegna. Le operazioni registrate dal mercato ovviamente non sempre sono legate alla reale disponibilità del bene nelle mani del possessore momentaneo del titolo, e acquisti e vendite di posizione sovente danno vita a operazioni meramente speculative, esattamente come in qualsiasi altro mercato di borsa.


I prezzi internazionali e il rischio cambio

I prezzi e i mercati nazionali delle commodity sono però influenzati da altri fattori, alcuni difficili da prevedere. Le produzioni nazionali di grano, olio e più marginalmente di vino, risentono ad esempio dei prezzi internazionali.

I prezzi internazionali, quasi sempre rilevati in valute estere, sono altresì connessi al cambio tra l'euro e la valuta di riferimento. Pertanto, anche variazioni non significative o nulle o contrarie di un prezzo internazionale espresso in dollari possono suscitare significative variazioni del valore di riferimento una volta calcolato in euro, ovviamente ciò avviene comunque in caso di variazioni apprezzabili del tasso di cambio.

È quanto recentemente avvenuto per il prezzo Fob del grano duro in Canada, espresso in dollari canadesi, leggermente calato rispetto alla settimana precedente, ma salito in euro a causa della svalutazione dell'eurovaluta sulle divise americane, apprezzatesi a causa della fuga di capitali verso le borse Usa, indotta dal conflitto in Ucraina.


Variazioni delle scorte e prezzi

Le commodity risentono sul fronte dei prezzi della variazione delle scorte: aumenti delle scorte concorrono alla formazione dell'offerta potenziale e - a parità di altre condizioni - consentono una diminuzione dei prezzi. Al contrario, una loro diminuzione, in mancanza di altri fattori, può determinare un aumento dei prezzi. Fin qui la teoria, nella pratica quotidiana la valutazione delle scorte, a cavallo tra l'inizio e la fine di una campagna commerciale e la successiva, si relaziona in maniera piuttosto stretta con le previsioni produttive e con le aspettative degli operatori.

Così se alla fine di una campagna commerciale dell'olio di oliva le scorte sono ancora relativamente elevate, ma la produzione è prevista bassa sia a livello nazionale che mondiale, facilmente i prezzi aumenteranno, sempre che non intervengano altri fattori a perturbare il mercato.

Viceversa, una campagna produttiva dell'olio di oliva ormai al termine, che pure determina un notevole incremento su base mensile o trimestrale delle scorte, non necessariamente determina un deprezzamento del valore della merce, magari perché si tratta di un livello di scorte usuale per quel periodo dell'anno e quindi gli operatori finiscono per non fiutare alcuna abbondanza eccessiva di prodotto, o una consistenza comunque tale almeno da scatenare un ribasso dei prezzi. Addirittura la formazione di scorte inferiori alla media degli anni precedenti può destare l'allarme contrario: quello di scarsità e quindi spingere per un aumento dei prezzi.

 

Clima, una variabile impazzita

In anni recenti, il discostarsi degli eventi meteo dalle medie stagionali ha fatto sì che previsioni meteo difformi dalle normali attese, sempre più frequenti, influenzino anche violentemente i mercati. È avvenuto di recente con la siccità in Canada e Usa: ancora prima dell'avvio dei raccolti i prezzi avevano iniziato a rialzarsi, proprio a causa dell'incessante e quotidiano sommarsi di previsioni meteo via via sempre più negative per il raccolto. Sul mercato delle commodity le previsioni meteo assumono oggi una importanza strategica.


Gli aumenti dovuti a fattori esogeni, le guerre

Attualmente si fa un gran parlare degli aumenti dei prezzi del grano indotti dalla guerra, connessi alla produzione di pane e pasta. Ma spesso sui media questa rappresentazione della realtà è superficiale. E va valutata con grande attenzione.


Grano tenero, il peso degli eventi bellici

Intanto l'Italia dipende solo per il 4% dall'import di grano tenero da Russia e Ucraina. Ma l'export mondiale di grano tenero dipende per almeno il 30% dai grani teneri provenienti dall'area teatro di guerra e, a lungo andare, la mancanza di flussi commerciali provenienti da questi due Paesi determina una sicura riduzione dell'offerta di grano tenero, e quindi un incremento dei prezzi a parità di altre condizioni: in tal senso si è espressa Italmopa il 4 marzo scorso con una nota diffusa alla stampa.

E il valore del future per consegna a tre mesi sul grano tenero a Chicago è balzato dal 31 gennaio 2022, quando quotava 798,40 dollari sui massimi e la crisi Ucraina-Russia appariva ancora reversibile, ai 1.134,6 dollari del 3 marzo scorso, ad operazioni militari di invasione iniziate e porti sul Mar Nero bloccati, crescendo così di ben il 42,10% in poco più di due mesi.


L'olio di girasole ferma le quotazioni a Milano

Similmente, l'export mondiale di olio di girasole parte al 50% dall'Ucraina e le incertezze legate alla guerra hanno addirittura indotto martedì scorso l'Associazione Granaria alla Borsa merci Milano a non quotare tutti gli oli di semi e di oliva perché gli operatori, non potendo valutare appieno le posizioni sul girasole, non hanno fatto acquisti neppure su altri comparti diversi e senza relazione diretta con la zona di guerra.

 

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Grano duro, un caso forse di segno contrario

Diversamente, il mercato del grano duro, non appare attualmente influenzato al rialzo dalla guerra e forse lo è stato addirittura in senso contrario. Ma tanto avviene anche perché nei mesi precedenti i prezzi internazionali del grano duro erano già cresciuti e per fattori diversi, in particolare a causa della forte riduzione di produzione di Usa e Canada nel 2021 legata alla siccità e alla riduzione delle esportazioni russe, legate invece all'imposizione di dazi sull'export, finalizzati a contenere l'incremento dei prezzi sul mercato interno del del grano duro e il contestuale riversarsi dei Paesi del Nord Africa sul mercato Ue. Non solo, aveva anche influito in una certa fase l'aumento dei noli delle navi silos e poi vi si era agganciato l'aumento dei costi dei carburanti, già in corso a fine 2021.

Per mesi le aspettative al rialzo dei prezzi hanno in realtà fatto crescere in anticipo il valore del grano duro sul momento della reale immissione in commercio della produzione della scorsa estate, quella dimezzata dalla siccità, e che viene caricata in questi giorni a bordo delle navi silos attraccate nei porti della regione dei Grandi Laghi.

A questo punto, l'aspettativa degli operatori che comprano e vendono titoli rappresentativi di merce (i future di cui si scrive più sopra) è quella di una stabilità del prezzo del grano duro: che significa mancanza di ulteriori guadagni speculativi in prospettiva. Pertanto, l'aumento del grano tenero, quello sì dovuto alla guerra, forse ha già ora determinato la vendita di posizioni speculative su grano duro per rendere agli operatori la liquidità necessaria ad acquistare i titoli denominati in grano tenero: sui quali l'aspettativa è invece quella di una ulteriore crescita del valore, considerato che la guerra potrebbe durare a lungo.

Tali spostamenti di posizioni speculative potrebbero pertanto far perdere quota ai prezzi del grano duro. Sicuramente qualcosa si è già mosso: il 31 gennaio scorso, il Durum Wheat Index Cash future a Chicago quotava 1.487,30 punti e il 3 marzo scorso, a operazioni militari avviate e porti sul Mar Nero bloccati, risultava sceso a 1.289,09 punti (-13,32%) nonostante una lieve recente ripresa verificatasi negli ultimi giorni.

Si potrebbe obiettare che questa riduzione percentuale del valore dell'indice del grano duro è ben minore dell'incremento invece avuto dal grano tenero per poter essere in qualche modo in relazione con essa.

Va però considerato che per ogni 100 tonnellate di grano su mercato mondiale, ben 98 tonnellate sono di grano tenero e 2 tonnellate soltanto sono di duro, che quindi è un mercato più ristretto, che per ciò stesso è meno esposto, ma non certo immune dal cambiamento di posizioni speculative.