In Italia dove va il comparto dell'uva da tavola? E quali sono le sfide che dovrà raccogliere e vincere nei prossimi anni? Non ha dubbi Salvatore Consoli, presidente della Op siciliana Opens, nata nel 2019, oggi ha 23 soci per un totale di 950 ettari di terreni investiti nel cuore della Igp Uva da tavola siciliana, in quel di Mazzarrone, in provincia di Catania: il comparto deve essere pronto a raccogliere la sfida dell'export.

Presidente Consoli, il comparto dell'uva da tavola italiana e siciliana in particolare ha sofferto nelle scorse annate, proviamo a riassumerne l'andamento?
"Il comparto negli ultimi anni ha subito contraccolpi importanti, a partire dal 2018 con la crisi del cracking e la conseguente pesante perdita di prodotto che in alcuni casi superò il 50% del totale della campagna medio tardiva con l'uva Italia. Il 2019 non fu da meno, considerata la pesante crisi commerciale in concomitanza con una qualità produttiva non eccelsa. Nel 2020, in piena pandemia, nonostante una produzione soddisfacente e una timida crescita non ci fu quel riequilibrio necessario a rifondere le perdite degli anni precedenti, con i consumi orientati verso le drupacee che invece fecero la differenza per i coltivatori al Sud".

Ma la produzione sembra reggere, vero?
"Secondo i dati Istat, gli investimenti su uva da tavola mediamente si aggirano attorno a oltre 47mila ettari, tra il 2016 e il 2020, con un andamento in lieve ascesa nelle ultime annate. Il 2020 chiude con quasi 47.500 ettari, un quantitativo stabile rispetto alla stagione 2019. Le produzioni mediamente si attestano su poco più di un milione di tonnellate l'anno, più elevate nell'ultimo triennio mentre nel periodo 2016-2017 erano poco più contenute e attorno a 980mila tonnellate; il 2020 chiude con circa 1.040.000 tonnellate, il 3% in più rispetto alla campagna 2019. La Sicilia, nel 2020 mantiene stabilità di investimenti, attorno a 18mila ettari, con produzioni in lieve incremento sull'annata anteriore (+4%) con oltre 360mila tonnellate. Prima c'è solo la Puglia che detiene il primato nel tempo e nel 2020 i quantitativi raggiungono oltre 600mila tonnellate in aumento del 2% rispetto a quelli del 2019".

Quest'anno dopo un avvio di stagione deludente i prezzi si sono poi ripresi, i conti ora tornano in pari?
"Nonostante le preoccupazioni degli operatori il comparto gode di buona salute, ma dobbiamo prepararci alle sfide del futuro, a partire dalla concorrenza estera che ci ha anticipato sulle apirene. Circa il 46% del totale prodotto di uva da tavola viene esportato. Nel 2020 abbiamo inviato all'estero il 7% in più rispetto all'annata 2019. Ci sono ancora molte carte da giocarsi a patto di incontrare i trend di consumo europei e di oltre mare".

L'Op Opens che presiede, come e quali carte sta giocando?
"Opens punta sui mercati più esigenti, ed è per questo che l'Op vanta l'intera gamma delle certificazioni internazionali. La compagine associativa è formata da 23 soci, per un totale di 950 ettari di terreni, che conferiscono presso i magazzini dell'Op per mantenere la massima freschezza. Una qualità espressa con il valore aggiunto delle certificazioni Globalgap, Grasp, Ifs, Brc, Bio, Biosuiss, Demeter, Spring e Igp, ottenute e quotidianamente da altissimi standard produttivi, delle condizioni di conservazione e trasporto delle referenze, al fine di garantire la massima sicurezza al consumatore, in qualsiasi parte del mondo si trovi. E frattanto crescono le nostre superfici di prodotto apirene, bio e biodinamico".