Dalla real-politik al soft-power. Mutazioni non sempre rapide, ma che modificano gli equilibri. Da Otto von Bismarck alla Cina. Cambiano i tempi e gli attori.

Ha suscitato sorpresa, ma forse non più di tanto, l'elezione del cinese Qu Dongyu a direttore generale della Fao la scorsa settimana. Era nell'aria, ma non ci si immaginava una sconfitta schiacciante (108 voti sul 191 disponibili) e, soprattutto, alla prima tornata elettorale.
Soprattutto perché l'Unione europea appoggiava apertamente la candidata francese, Catherine Geslain-Lanéelle (71 voti, sarebbe stata la prima donna a dirigere la Fao), mentre gli Stati Uniti hanno inviato segnali contrastanti, a quanto sembra. Dopo aver appoggiato, infatti, il candidato georgiano David Kievalidze (12 voti), sembra che abbiano dirottato le proprie preferenze sulla francese. Un messaggio contradditorio, che evidentemente ha contribuito a far convergere voti sull'uomo di Pechino.

Giuliano Noci, ingegnere, professore ordinario di marketing e prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, conosce molto bene l'ex Celeste Impero.

"La nomina di Qu Dongyu a direttore generale della Fao – afferma Noci ad Agronotizie - riflette molto semplicemente quelli che sono i nuovi equilibri nel mondo e tiene conto del fatto che, mentre il mondo occidentale era assopito e preso da altre vicende, la Cina ha conquistato posizioni rilevantissime in Africa, ha potuto espandere la propria rete e oggi gode di un pregiudizio positivo rispetto a un certo numero di paesi africani".

Allo stesso tempo, i riflettori sulla politica internazionale della Cina sono accesi da più parti nel mondo.
"Non dimentichiamo – prosegue Noci – che la stessa iniziativa della Via della Seta, che coinvolge 75 paesi, tre continenti, 4 miliardi di persone e prevede investimenti per 460 miliardi di dollari in cinque anni, è un altro veicolo che porta la Cina a godere di uno standing internazionale di sempre maggiore. La conseguenza è che anche i cinesi sono interlocutori sempre più accreditati".

L'avvento di un cinese sulla poltrona di direttore generale della Fao potrebbe cambiare o stravolgere la politica dell'organizzazione delle Nazioni Unite dedicata ad agricoltura e agroalimentare? Il professor Noci, frena.

"Di sicuro la Cina non è un Paese dagli scatti forti. In questa fase, poi, ha bisogno di crearsi ancora maggiore autorevolezza a livello internazionale. Non mi aspetto, pertanto, che il direttore generale della Fao sviluppi azioni di dirompente rottura rispetto al passato – dichiara - Comunque, certamente mi aspetto che questa posizione alla Fao verrà sapientemente utilizzata per veicolare il soft power che contraddistingue i cinesi, con l'obiettivo di una ulteriore conquista di benevolenza da parte dei paesi interessati. Non mi aspetto, dunque, cambiamenti, anche perché la Cina sta attraversando una fase di tensioni con gli Stati Uniti di Trump (il quale ha fatto sapere che gli Usa sono intenzionati a ridurre il proprio contributo in seno all'Onu, ndr)".