Presentati a Roma, nella sala Cavour del Mipaaf, i risultati dei sette casi di studio condotti dalla partnership italiana del progetto europeo Macsur (Modelling european agriculture for food security with climate change).
Il progetto, sviluppato nel contesto della Jpi Facce (Agricoltura, sicurezza alimentare e cambiamento climatico), unisce attività di networking, ricerca e formazione in una dimensione che non ha precedenti sul tema in Europa, attraverso un'iniziativa congiunta alla quale hanno aderito 22 paesi europei, tra cui l'Italia. A Macsur hanno preso parte 17 paesi europei, più Israele, e quasi 80 gruppi di ricerca, di cui una decina italiani.
 
Il cambiamento climatico previsto a breve termine (2030-2040) aumenterà la probabilità di danni da ondate di calore dal 5% (clima anni '90) sino al 49,5%. Questo comporterà una riduzione del reddito netto medio per alcune tipologie di aziende agro-zootecniche compreso tra il 5% e il 13%, spesso superiore ai margini economici di sostenibilità dell'impresa.
Nel corso delle ricerche è emerso che gli imprenditori agricoli italiani lamentano il freno rappresentato da regole inefficaci e applicate male, alle quali si aggiungono concrete difficoltà nel rispondere in modo adeguato ai nuovi scenari climatici. A fronte di un problema generalizzato, però, le soluzioni devono essere elaborate caso per caso, in relazione alle specificità del contesto ambientale e socio economico.

"L'impatto del cambiamento climatico in agricoltura non può essere facilmente generalizzato" ha dichiarato Pier Paolo Roggero, professore presso il dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari.
"Per esempio quest'anno, così caldo e siccitoso, ha visto alcune produzioni calare (es. mais in Pianura padana) altre invece migliorare in qualità e diminuire in quantità (uva da vino), altre ancora migliorare in qualità e quantità (es. olivo da olio in Sardegna). Dunque in ogni situazione c'è chi vince e chi perde. Ma complessivamente le crisi climatiche portano il sistema a perdere, soprattutto quando si verifica una forte specializzazione delle produzioni in pochi distretti, perché aumentano i rischi e la vulnerabilità del sistema nel suo complesso, con inevitabili riflessi sui prezzi dei prodotti con effetti a catena sull'intero sistema economico. Questo sta accadendo anche su scala mondiale".
 
Gabriele Dono, professore presso l'Università della Tuscia, ha evidenziato che "il cambiamento climatico sta generando problemi economici già ora: il mutamento del contesto agro-climatico riduce la capacità degli agricoltori di effettuare le scelte più appropriate. Questi ultimi, infatti, non hanno modo di aggiornare le concezioni su cui basano le proprie scelte e, per questo, vanno sostenuti promuovendo nuove forme d'integrazione con i ricercatori che hanno sviluppato strumenti integrati di tipo fisico-biologico-economico, adatti per affrontare insieme questa difficoltà".
 
Poiché il modello di 'azienda mista' è ormai definitivamente superato ed economicamente insostenibile, uno dei percorsi per affrontare la situazione emersi durante l'incontro è quello dello sviluppo di sinergie tra gruppi di aziende specializzate e tra loro complementari, come ad esempio le non irrigue con quelle irrigue e le specializzate in produzioni vegetali con quelle zootecniche, tenendo conto delle specificità dei contesti ambientali e socio-economici regionali e locali.
 
"Da un'analisi condotta, in collaborazione con degli attori locali, sul caso di studio dell'Oristanese, per quanto riguarda la capacità di adattamento del territorio ai cambiamenti globali (inclusi i cambiamenti climatici) - ha affermato Gianni Bellocchi, direttore di ricerca Inra -, abbiamo quantificato e aggregato un set di indicatori socio-economici per stimare la capacità adattativa di questo territorio. Emergono fragilità infrastrutturali e tecnologiche del territorio mentre il suo capitale sociale e la recettività di certe problematiche da parte degli abitanti si manifestano come punti di forza, anche se gli impatti attesi dei cambiamenti climatici sono soprattutto percepiti in relazione ad altri problemi, quali l'inquinamento e la qualità dell'acqua".
 
"Il sistema agricolo italiano ha puntato su interventi mirati quali le strutture irrigue e il finanziamento del piano pluriennale di gestione del rischio e il partenariato nel settore salvaguardia della diversità animale" ha dichiarato nelle sue conclusioni Giuseppe Blasi, capo dipartimento delle Politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del Mipaaf. "Si tratta di iniziative assunte a livello nazionale e condivise con le regioni, in particolare quella di destinare risorse comunitarie alle infrastrutture irrigue, a cui sono stati assegnati 100 milioni di fondi europei e 400 di fondi nazionali".