La cronaca degli eventi è nota: il voto domenica, gli attacchi della polizia inviata da Madrid, il discorso del Re Felipe VI. Ora qualcuno ha calcolato anche le prime conseguenze dell'autonomia sull'agricoltura.
I segnali dell'economia, a fronte della volontà del Parlamento catalano di votare lunedì per l'indipendenza, sono negativi, con la borsa di Madrid che ieri, 4 ottobre 2017, ha perso il 2,85%. Le banche Caixa e Sabadell hanno fatto sapere che potrebbero valutare di far scattare un piano di trasferimento della sede a Madrid in 120 minuti, in caso di proclamazione dell'autonomia della Catalogna. In particolare, oggi pomeriggio (5 ottobre 2017) Banco Sabadell potrebbe sciogliere le riserve e dirigersi verso Madrid o Alicante. E Standard & Poors non esclude una revisione dei parametri della regione in chiave negativa.
L'incertezza è massima, anche perché la sensazione che si respira è che l'esercizio della democrazia - per i catalani assolutamente legittimo e per Madrid invece incostituzionale - sia sfuggito di mano. Logica conseguenza dei sequestri delle urne da parte della Guardia Civil? Suggestione per la partecipazione e gli esiti referendari? Desiderio di affrancarsi veramente dalla Spagna? Mistero.
Chi non ha avuto dubbi a sostenere l'azione per il referendum sull'autonomia è stato il sindacato degli agricoltori catalani, la Uniò de Pagesos, che si è mobilitato con almeno 2mila trattori per garantire il voto. Un numero che è salito, secondo quanto dichiarato dallo stesso sindacato, a 5mila nel giorno dello sciopero generale.
Buona parte della stampa spagnola è schierata affinché non si consumi lo strappo tra Madrid e Barcellona. E forse, secondo le ultime notizie per le quali Puigdemont potrebbe rivolgersi al Vaticano per una mediazione con il Governo guidato da Mariano Rajoy, non si arriverà a una polverizzazione della Spagna (i Paesi Baschi stanno alla finestra, ma potrebbero cogliere la palla al balzo).
Sul versante agricolo è il quotidiano La Razon a calcolare quale sarà la perdita annuale di risorse, a causa della decurtazione della Pac. "Gli agricoltori e gli allevatori della Catalogna hanno ricevuto un totale di 316,9 milioni di euro dal Fondo europeo di garanzia agricola (Feaga) durante l'esercizio finanziario 2016 - scrive La Razon -. Questa è la cifra corrispondente ai pagamenti diretti (pagamenti di base e complementari), nonché ad una serie di altri aiuti, compresi quelli per la riconversione dei vigneti".
Una cifra che non è esaustiva, naturalmente. Bisogna infatti "aggiungere il finanziamento dell'attuale Programma di sviluppo rurale, in vigore tra il 2014 e il 2020, che nel caso di questa comunità autonoma ammonta in totale a 350 milioni di euro, cioè altri 50 milioni di euro l'anno. La media per ogni anno arriverebbe a 367 milioni di euro. Secondo la normativa ora vigente, questi fondi non raggiungerebbero le tasche degli agricoltori, degli allevatori catalani e dell'industria alimentare, se si verificasse un'ipotetica indipendenza della Comunità autonoma".
E questo, chiaramente, per l'automatica uscita della Catalogna dall'Unione europea. Almeno fino al compimento dell'iter di un ipotetico ingresso nell'Ue, che richiederebbe comunque tempo (anni?) e non sarebbe automatico.
Inoltre, diventando la Catalogna un paese terzo, "le sue esportazioni verso il mercato comunitario sarebbero soggette alla tariffa doganale estera", scrive La Razon, rendendoli meno competitivi.
Non è tutto, perché la Catalogna indipendente perderebbe competitività - non avendo alcun trattato preferenziale con l'Ue - anche nei confronti di paesi come "il Marocco, il Cile o il Canada, che attualmente hanno un accordo in essere per facilitare il commercio".
Anche le rotte commerciali internazionali con paesi come Cina o Giappone subirebbero un brusco stop, dovendo la Catalogna negoziare accordi bilaterali specifici. E la durata per il raggiungimento di intese negoziali di reciproco scambio è di anni, non di mesi.