Quello che dichiara Francesco Paganelli, export manager del Gruppo Cevico, uno dei due italiani presenti (l’altro era Nicola Tinelli dell’Unione italiana vini) al seminario sulla certificazione dei prodotti alimentari, potrebbe apparire sulle prime un controsenso.
Respingere infatti la proposta che la General administration for quality supervision, inspection and quarantine of the People’s Republic of China (Aqsiq), l’ente statale che – con una rete di circa 200mila dipendenti e sedi operative in tutta la Cina – si occupa degli aspetti igienico sanitari e della certificazione dei prodotti alimentari e del vino, potrebbe suonare come un no alla semplificazione.
Invece, da quanto hanno sollevato i delegati europei, si tratterebbe di una scelta non conforme a quanto previsto dalle più accreditate norme internazionali che regolano i commerci fra Paesi. Soprattutto perché la proposta di Pechino sarebbe quella di prevedere una sorta di certificato unico – frutto però di analisi complesse e molto accurate, da svolgere nei laboratori accreditati dall’Aqsiq in Europa e da ripetersi anche in territorio cinese – ma senza concedere alcuna contropartita per le importazioni di cibo e vino in ingresso nell’Unione europea. Una disparità di trattamento che, avvertono gli europei, difficilmente potrebbe passare inosservata dall’Organizzazione mondiale del commercio.
Il seminario ha visto, tra i protagonisti delle delegazioni, Jerome Lepeintre, consigliere del ministro della Salute e Food per la delegazione Ue in Cina e Mongolia; Wolf Martin Maier, senior expert della Direzione generale del Commercio; Xu Liyan, general manager di Aqsiq China; Jao Yang, area legislativa di Aqsiq.
Francesco Paganelli, che rappresenta la prima realtà vinicola italiana per export entro i confini della Grande Muraglia con la previsione di raggiungere i 2,4 milioni di bottiglie nel 2016, si tiene fuori da aspetti politici.
“I negoziati si svolgono fra attori diversi e non sta a me fare commenti – taglia corto -. Quello che mi preme tuttavia sottolineare è un aspetto che, da operatore del mondo del vino, ritengo debba essere rimarcato con forza, e cioè che una certificazione unica per cibi e bevande non risponde alla logica della natura dei prodotti. Un conto è esportare un vino, un’acquavite o un whisky, un altro dei latticini o dei salumi, con ben altre caratteristiche di stabilità microbiologica”.
Altro elemento che Paganelli sbandiera con orgoglio è stata la totale condivisione di posizioni tra Italia e Francia, chiamate di fatto a rappresentare al seminario l’Europa del vino.
“Tinelli di Uiv ed io eravamo in totale sintonia con Nicolas Ozanam, delegato generale della Fédération des exportateur de vins & spiriteux de France – puntualizza l’export manager di Cevico – e abbiamo sostenuto che il vino non è prodotto a rischio sul piano alimentare e che non dovrebbe essere incluso in questa certificazione armonizzata, anche perché già emettiamo certificati a garanzia del consumatore cinese e gli standard europei della produzione vitivinicola sono i più elevati al mondo. La richiesta cinese è dunque del tutto superflua e non necessaria”.
La fase negoziale dirà quale soluzione verrà adottata fra Unione europea e Cina.