Se si pensa che per sfamare il crescente numero di persone nel mondo occorre produrre di più, non è questa la soluzione. In realtà attualmente sprechiamo un terzo della produzione globale di alimenti, che equivale a quattro volte la quantità necessaria a dare da mangiare a 795 milioni di persone denutrite nel mondo, oltre ad avere una forte ricaduta sull’ambiente perché mentre il cibo si decompone rilascia gas metano, un gas serra venti volte più potente dell’anidride carbonica.
Ecco allora che l’adozione di una dieta sostenibile secondo il modello della Doppia piramide alimentare e ambientale (che promuove la dieta mediterranea con benefici per la salute dell’uomo e dell’ambiente) di pari passo con la lotta allo spreco di cibo per ridurlo del 50% entro il 2020, diventano i passi fondamentali da compiere per intraprendere uno stile di vita sano e sostenibile.
Queste sono due tra le principali soluzioni proposte dalla Fondazione barilla center for food & nutrition confermate anche nella seconda edizione di Eating Planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro. Un libro che rivela come le nostre scelte alimentari giochino un ruolo fondamentale nella salvaguardia del pianeta e che si inserisce nel cammino intrapreso dalla Fondazione Bcfn passato dall’Expo 2015 e alla vigilia della ratifica da parte degli Stati dell’Accordo di Parigi, occasione mancata per riportare il cibo e l’impatto ambientale che ne deriva, al centro del dibattito politico, sotto l’egida della Giornata mondiale della terra.
Si fa sempre più forte, inoltre, la necessità di ridurre le emissioni di gas serra dovute all’utilizzo dei combustibili fossili, deforestazione tropicale e intensificazione dell’agricoltura.
La deforestazione tropicale legata all’espansione di nuove terre agricole, infatti, produce emissioni pari a 3,6 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, ma è l’attività agricola quella che ha un impatto senza precedenti sulle emissioni di gas serra, con circa 6,2 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti, e che si conferma come il primo settore per emissioni di gas serra prima di energia e trasporti.
Come sottolineato anche dal Wwf Italia, è l’agricoltura a sfruttare maggiormente la superficie globale delle terre emerse: quasi il 40% della superficie terrestre, infatti, è sottoposto alle attività agricole e zootecniche, provocando il 70% dell’utilizzo di acqua dolce a livello mondiale per l’irrigazione dei campi coltivati e causando la più grande perdita di biodiversità.
“L’Esposizione universale di Milano e Cop21 hanno avuto il grande merito di portare all’attenzione di media e opinione pubblica i grandi temi legati al paradigma cibo, uomo, pianeta, ma se da un lato Expo 2015 non ha pienamente esploso i paradossi legati al cibo, dall’altro durante la Conferenza di Parigi non si è discusso del suo impatto sui cambiamenti climatici, soprattutto in vista degli Obiettivi di sviluppo sostenibili del millennio” dichiara Paolo Barilla vicepresidente della Fondazione Bcfn.
“L’impatto maggiore sull’ambiente è causato da quello che mangiamo, stiamo letteralmente divorando il nostro pianeta. Eppure durante Cop21 si è parlato troppo poco di diete sostenibili. Il cibo deve tornare al centro delle agende di tutti i protagonisti: dalla comunità scientifica alle aziende, dalle istituzioni ai cittadini, ciascuno nel suo ambito può e deve avere un ruolo determinante. E' quello che cerchiamo di fare con le attività della Fondazione Bcfn, promuovendo un’informazione che permetta alle persone di compiere scelte alimentari quotidiane consapevoli” conclude Paolo Barilla.
Adottare una dieta sostenibile, infatti, permette di mantenere un basso impatto ambientale concorrendo alla protezione ed al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi e, allo stesso tempo, di conservare un alto livello di sicurezza alimentare e nutrizionale oltre ad essere economicamente accessibile.
“Alla vigilia della Giornata mondiale della terra, dobbiamo mantenere alta l’attenzione sulle sfide che ci attendono” dichiara il vice ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Andrea Olivero.
“Occorre un salto di qualità che ci consenta di mantenere gli impegni assunti in Cop21, coniugando adeguati modelli di sviluppo economico, sociale e culturale, il diritto al cibo sano, la promozione della dieta mediterranea e la lotta allo spreco alimentare in un'univoca visione strategica. Tale impegno comporta necessariamente un più efficiente utilizzo delle risorse naturali, una riduzione degli impatti ambientali e un modello produttivo che sia sostenibile anche dal punto di vista sociale; il cibo diventa il fattore che collega la salute dell’uomo alla salute del pianeta”.
Il 20 e il 21 aprile, durante la seconda edizione del summit annuale di Food tank a Washington Dc realizzato in partnership con l’American University, in rappresentanza degli Alumni, i giovani ricercatori del Barilla center for food and nutrition, ha partecipato Behtash Bahador che, a partire dallo Youth manifesto fino ad Eating planet, ha presentato le iniziative dei giovani ricercatori Bcfn per costruire un futuro più sostenibile.
Il summit ha visto la partecipazione di 70 relatori dei settori dell’alimentare e dell’agricoltura. Ricercatori, agricoltori, cuochi, responsabili politici, funzionari governativi, e studenti si sono riuniti sulle scommesse future come: nutrire il pianeta, gli investimenti nel movimento agroalimentare, il cambiamento della legislazione nel sistema alimentare, e altro ancora.
L'evento è stato caratterizzato da pannel interattivi moderati dai migliori giornalisti alimentari, networking e cibo. Questo è il primo di una serie di quattro summit di due giorni del 2016 che riunirà i più importanti leader del mondo del sistema alimentare.
L'anno scorso, il summit del Food tank ha registrato il tutto esaurito in pochi minuti e ha attirato più di 15.500 spettatori.
Tutela del suolo, agricoltura sostenibile ed evoluzione delle Smart cities
Il tema dell’alimentazione non può prescindere da quello di supportare l’agricoltura sostenibile. In quest’ottica, il primo problema da affrontare è quello della tutela del suolo. Secondo la Fao (Food and agriculture organization), il 25% dei suoli del pianeta è gravemente danneggiato e solo il 10% mostra qualche cenno di miglioramento, negli ultimi quarant'anni è diventato improduttivo il 30% dei terreni coltivabili.
E se guardiamo all’Europa, uno dei continenti il cui territorio è utilizzato in modo estremamente intensivo, tra insediamenti abitativi, sistemi di produzione (incluse l'agricoltura e la silvicoltura) e infrastrutture, la percentuale di suolo sfruttato raggiunge l’80%. Eppure, al tempo stesso, l’agricoltura sostenibile e la pratica di quella urbana si stanno configurando come una delle vie percorribili per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, ridurre le patologie legate all’alimentazione e i costi connessi e per rendere le città più vivibili.
Un esempio di approccio integrato che tiene conto delle diverse sfide riguardanti la sicurezza alimentare e i cambiamenti climatici è la cosiddetta Climate smart agriculture che si pone l’obiettivo di migliorare la sostenibilità economica offrendo supporto allo sviluppo delle entrate economiche del settore agricolo e sociale, sviluppando la resilienza del sistema alimentare ai diversi effetti del cambiamento climatico e ambientale fino a ridurre o eliminare le emissioni di gas serra.
Lotta allo spreco di cibo. Obiettivo, ridurlo del 50% entro il 2020
Se gli sprechi alimentari fossero rappresentati da un Paese, questo sarebbe il terzo principale produttore di anidride carbonica, dopo Stati Uniti e Cina. Solamente in Italia si spreca, ad oggi, il 35% dei prodotti freschi (latticini, carne, pesce), il 19% del pane e il 16% di frutta e verdura prodotti, determinando una perdita di 1.226 milioni di m3 l’anno di acqua, pari al 2,5% dell’intera portata annua del fiume Po e produce l’immissione nell’ambiente di 24,5 milioni di tonnellate CO2 l’anno.
Ma lo spreco di cibo non è soltanto quello che si verifica nella parte finale della catena alimentare, durante la distribuzione, la vendita e il consumo, ma è anche la perdita che avviene nella fase di produzione agricola, dopo la raccolta e con la trasformazione degli alimenti. Sprechi e perdite sono profondamente influenzati dalle condizioni locali specifiche dei diversi Paesi. Lo spreco di cibo da parte dei consumatori è in media tra i 95 e i 115 kg pro capite all'anno in Europa e nel Nord America mentre i consumatori di Africa sub-sahariana, Sud e Sud-Est asiatico, ne buttano via circa 6-11 kg all'anno.
Nei Paesi in via di sviluppo il 40% delle perdite avviene dopo la raccolta o durante la lavorazione, mentre nei Paesi industrializzati più del 40% delle perdite si verifica nelle fasi di vendita al dettaglio e consumo finale.
Complessivamente, tuttavia, i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo tendono a dissipare all'incirca la stessa quantità di cibo, rispettivamente 670 e 630 milioni di tonnellate.