E' straniero quasi un lavoratore su dieci impegnato nelle campagne, al punto che la presenza degli immigrati viene definita dalla Coldiretti "indispensabile" per le grandi produzioni di qualità del Made in Italy. Esempi? C'è solo l'imbarazzo della scelta. Alla raccolta delle mele in Trentino collaborano i ghanesi, le uve per il Prosecco veneto sono raccolte dai polacchi e la mungitura del latte nelle stalle del Grana Padano è affidata agli indiani. 

Secondo i dati Istat sulla presenza degli immigrati in quindici anni il numero di immigrati occupati nel settore primario è quasi quadruplicato, passando dalle 52 mila unità del 1995 alle 197 mila unità del 2010.

Nel commentare i dati Istat sulla presenza degli immigrati la Coldiretti sottolinea che questi lavoratori sono impegnati soprattutto nello svolgimento della generalità delle lavorazioni stagionali e per le grandi campagne di raccolta delle principali produzioni Made in Italy.

"La vendemmia 2011 in Italia è ad esempio salva - spiega la Coldiretti - anche grazie all'impegno di 30mila lavoratori stranieri che garantiscono la raccolta delle uve destinate ai più pregiati vini di qualità, dal Brunello di Montalcino al Barbaresco fino al Prosecco". Quest'ultimo in particolare è un caso eclatante: nel distretto del Prosecco, rende noto Coldiretti, lavorano addirittura immigrati di ben 53 differenti nazionalità, provenienti da 4 diversi continenti. "Se nelle vigne destinate alla produzione del Prosecco a prevalere è la presenza di lavoratori polacchi, in quelle destinate alla produzione del Barolo - conclude la Coldiretti - si affermano i macedoni mentre in Lombardia per la Bonarda dell'Oltrepò pavese la leadership è dei romeni, che insieme ai polacchi operano in maggioranza anche nei vigneti delle 'bollicine' del Franciacorta. In Toscana per il Brunello di Montalcino sono i maghrebini, in particolare i tunisini, a dare il contributo nel garantire l'integrità delle uve".

Le nazionalità di extracomunitari più presenti sono nell'ordine Albania (15792), Marocco (15591) e India (15374), nazione dalla quale si sono registrati i tassi di crescita più elevati. 

Poco più della metà degli immigrati (53,8%) - ricorda la Cia, Confagricoltura italiana agricoltori - è impiegato nella raccolta della frutta e nella vendemmia; un terzo (29,9%) nella preparazione e raccolta di pomodoro, ortaggi e tabacco; il 10,6% nelle attività di allevamento; il 3,2% al florovivaismo e il restante 3,5% in altre attività come l'agriturismo o la vendita dei prodotti.

Per tunisini, indiani, marocchini, albanesi e pachistani il lavoro nei campi è ancora e soprattutto al Nord Italia - continua la Cia - in particolare in Trentino (27%), Emilia-Romagna (12,7%) e Veneto (10%). Percentuali elevate si registrano comunque anche nel Sud, prima di tutto in Campania (10%), Puglia (9%) e Calabria (7,5%).

Ma il dato forse più rilevante, che rende chiaro l'altissimo livello di qualificazione e di specializzazione raggiunto, è la costante crescita del numero di imprese agricole gestite da persone extracomunitarie: oggi sono circa 7 mila, in pratica l'1,5% del totale delle aziende del settore.

Purtroppo, nota la Cia, ancora adesso la risorsa immigrazione non è pienamente valorizzata: colpa di quei meccanismi istituzionali - legislativi e amministrativi - che rendono farraginoso il processo di inserimento degli stranieri nel mercato del lavoro italiano. I dati, elaborati dal ministero dell'Interno, parlano chiaro: nel 2010, su ben 103.473 domande di nulla osta presentate allo Sportello unico per l'immigrazione, i nulla osta rilasciati sono stati soltanto 32.355. L'enorme divario tra domanda presentate e domande evase è, secondo la Cia, in gran parte addebitabile all'eccessiva lunghezza del procedimento amministrativo (dai 4 agli 8 mesi) che, molto di frequente, fa decadere l'interesse dell'azienda, oggettivamente impossibilitata a effettuare l'assunzione nel periodo stagionale necessario. 

"Un problema non di poco conto - conclude la Cia - visto che si tratta di lavoratori immigrati fondamentali per l'agricoltura nazionale, che non si sostituiscono a quelli italiani ma vanno a coprire proprio quei fabbisogni di manodopera altrimenti lasciati scoperti".