Nemmeno la qualità, tante volte invocata a baluardo della nostra agricoltura, è capace di fermare la frana dei mercati che sta travolgendo un po’ tutte le produzioni agricole. Vanno male i cereali, con il grano che viene pagato al prezzo di 10 anni fa. Va male l'uva, pagata poco e male anche se i grappoli promettono vini straordinari. Frutta e ortaggi non sono da meno, anche loro alle prese con la caduta verticale dei prezzi. Per non parlare del latte, versato nei campi piuttosto che consegnato alle industrie per una miseria. Languono le vendite di carne, ancora attanagliate dalla crisi quelle suine, sempre malpagate quelle bovine.
Scenari apocalittici
Che succede, dunque, nei campi? Le responsabilità vengono attribuite ora alla globalizzazione, ora alla crisi mondiale, ora ai mutati equilibri nei consumi. Poco importa la causa, assai di più preoccupa invece la tenuta del "sistema" agricolo italiano. Nel volgere di pochi anni hanno chiuso i battenti migliaia di stalle (erano quasi 200mila, ne sono sopravvissute nemmeno 40mila) e ora la stessa cosa succede alle aziende agricole. Ma non chiudono solo le aziende marginali, spazzate via dalle rigide regole del mercato per lasciare il posto alle aziende più grandi e più efficienti. Qui stanno soffrendo tutti, bravi e meno bravi, imprenditori capaci e accorti, imprese strutturate e al passo con le innovazioni. Strette nella morsa del mercato, ma ancor più sacrificate dalla mancanza di una adeguata politica agricola, soffocate da un eccesso di burocrazia, mai sazia di carte e documenti, trascurati nella distribuzione delle risorse economiche e degli incentivi.
Arrivano i “nostri”
Le Organizzazioni professionali sono uscite allo scoperto per denunciare le difficoltà del settore. Confagricoltura si è affidata ai numeri, ricordando che rispetto ad un anno fa la frutta viene pagata il 30% in meno e gli ortaggi il 16% in meno. Crollati di oltre il 31% i prezzi dei cerali e con loro è sceso il valore aggiunto dell’agricoltura, in flessione del 2,4% nel secondo trimestre dell’anno (l’industria, invece, si ferma ad un meno 1,6%). Dalla Cia arrivano fosche previsioni per il futuro dei campi, con oltre 100mila aziende che nel 2010 potrebbero non sopravvivere alla crisi, per un totale di 2 milioni di ettari che potrebbero essere sottratti alle coltivazioni. Spingendo lo sguardo più avanti, le previsioni della Cia indicano che nell’arco di 4 o 5 anni potrebbero sparire 250mila aziende.
Le proteste...
Insomma, un’ecatombe, di fronte alla quale Confagricoltura, Cia e Copagri hanno ritenuto necessario un’azione di protesta, che nei giorni scorsi si è tradotta in Emilia Romagna nella organizzazione di due presidi ai caselli autostradali di Faenza e Modena dove fra bandiere, trattori e cartelli di protesta hanno fatto bella mostra cesti di frutta regalati agli automobilisti di passaggio. A sottolineare che la frutta viene pagata così poco che tanto vale regalarla. Più “rumorosa” la protesta degli allevatori che rispolverando le vecchie bandiere dei cobas del latte hanno annaffiato i campi con migliaia di litri di latte “sparati” dai carri spandiliquame. Scende in campo, ma un po’ defilata, anche Coldiretti, che affida ad un comunicato stampa il compito di denunciare come scandaloso l’aumento di pane e pasta quando il prezzo del grano, invece, è crollato del 28%. Niente di più, quasi a sottolineare il distacco con le iniziative delle “consorelle”. Ma ormai siamo abituati a questa “dicotomia” fra le organizzazioni professionali, che di lavorare all’unisono non sono proprio capaci. Peccato (per l’agricoltura).
...e le proposte
Intanto le proteste danno la misura del disagio vissuto dagli imprenditori agricoli ed hanno lo scopo di accendere l’attenzione del “palazzo” su questi problemi. Ma più che proteste, qui servono delle proposte sul “come”. Vediamo allora quali sono le principali richieste che dai “palazzi” dell’agricoltura sono indirizzate ai “palazzi” della politica. Più voci si sono levate a rimarcare quanto sia grave il mancato finanziamento del Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali. Dito puntato anche contro l’applicazione dei Piani di sviluppo rurale che registrano squilibri e ritardi. Anche l’accordo sull’articolo 68 è giudicato insufficiente per rispondere alle esigenze della aziende agricole. Queste alcune delle richieste di carattere generale. Più precise e mirate alcune proposte come l’applicazione della accise zero sul gasolio per tutte le attività agricole e zootecniche. Poi la riduzione delle aliquote Iva per l’acquisto di beni e servizi, aliquote da fermare al 4% per le nuove strutture realizzare nell’ambito dei Psr.
Per intervenire sul mercato arriva anche la richiesta di modificare ed estendere a tutto il territorio nazionale i contratti di filiera, con una adeguata dotazione finanziaria. E poi la fiscalizzazione degli oneri sociali per le aree montane e svantaggiate.
Queste alcune delle proposte e delle richieste che arrivano dai campi, certamente utili, ma non si sa quanto risolutive di una situazione difficile e complessa. In tutte queste richieste e nelle proteste “urlate” o solo “sussurrate” si percepisce la difficoltà del mondo agricolo di farsi ascoltare dal “Palazzo”, tanto che si rinnovano le richieste, inascoltate, per indire una Conferenza nazionale dell’agricoltura. Forse utile a ricompattare i ranghi di un’agricoltura sempre troppo divisa, ma non basta certo una conferenza per risolvere i gravi problemi oggi sul tappeto. Servono idee e proposte che possano essere presto trasformate in fatti concreti. Dagli stessi agricoltori potrebbero arrivare consigli utili proprio in questa direzione. E chi ha suggerimenti può utilizzare lo spazio di Agri-forum, che può essere un megafono per far conoscere il proprio pensiero e farlo arrivare, perché no, alle orecchie di chi decide.