Il divieto che l'Italia propone sulla produzione e distribuzione di carne prodotta in laboratorio è in discussione in Parlamento proprio in questi giorni.

Nel frattempo l'Esecutivo ha deciso di rinviare la comunicazione del progetto legislativo, peraltro obbligatoria, alle autorità comunitarie.

Il rinvio ha raccolto il plauso di Essere Animali, associazione animalista impegnata nella tutela dei diritti degli animali. Almeno per questa occasione mi trovo d'accordo con Essere Animali, sebbene per motivi assai distanti da quelli da loro esternati.

 

Non serve infatti vietare la produzione di carne artificiale, ci penserà il consumatore a prenderne le distanze.

Non solo per il costo, al momento esorbitante, ma per le implicazioni di carattere salutistico, economico e sociale.

Vietarla, per di più, serve solo a sollevare polemiche su presunti ostacoli a scienza e ricerca, offrendo al contempo visibilità alle lobby che sulla carne artificiale (la chiamano coltivata…) stanno investendo forti somme e prestando il fianco a quanti hanno disamore per la carne (quella vera).

 

Le verità nascoste

Partiamo dalla salubrità. Essere Animali spende parole di elogio per la carne sintetica affermando che per produrla non servono antibiotici e che al contrario degli allevamenti intensivi (che sarebbe preferibile definirli protetti) non impatta sull'ambiente.

Affermazioni non corrette, visto che nei bioreattori dove le cellule si moltiplicano si impiegano non solo antibiotici, ma anche ormoni.

A proposito, le recenti verifiche di Efsa (Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare), confermate dal Pnr (Piano Nazionale Residui) hanno dimostrato la totale assenza di ormoni nella carne che esce dalle stalle e una costante riduzione dell'uso di antibiotici.

Questi ultimi da anni non vengono impiegati per aumentare la produttività, ma solo per curare, quando serve, gli animali ammalati e tutelarne così anche il loro benessere e non solo la salute.

 

L'impatto ambientale

Nemmeno il tema ambientale sembra promuovere la carne sintetica. L'impatto ambientale della carne prodotta in laboratorio, lo dicono alcune ricerche, sarebbe da 25 a 50 volte superiore a quello della carne naturale.

Parlando di numeri, va ricordato che nel caso dell'Italia il contributo dell'agricoltura alla produzione di gas climalteranti si ferma intorno al 7%.

Di questo solo poco più del 5% è ascrivibile alla zootecnia, come conferma Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale).

 

Negli allevamenti peraltro si moltiplica l'impegno, con risultati lusinghieri, nel ridurre in particolare le emissioni di metano da parte dei ruminanti. Metano che deriva, va ricordato, da una produzione biogenica, che nulla aggiunge in termini di CO2 a quella già presente, contrariamente a quanto accade ad esempio con l'impiego di energia fossile.

Talmente vero che alcune ricerche hanno dimostrato che l'impronta carbonio degli allevamenti è negativa, in altre parole è più la CO2 sottratta che quella emessa.

 

La fertilità dei suoli

Si potrebbe obiettare, infine, che la carne sintetica risolve "definitivamente" il problema delle deiezioni animali. Peccato che senza deiezioni animali il terreno è destinato a impoverirsi, a perdere quel prezioso humus alla base della sua fertilità.

 

Non è un caso se il processo di inaridimento che coinvolge fasce importanti dell'Italia avvengano proprio laddove l'allevamento, in particolare dei bovini, è meno diffuso.

Semmai il problema è altrove, nella eccessiva concentrazione e uso di deiezioni animali in alcune aree.

Ma la colpa non è delle stalle, ma della cattiva gestione di un bene prezioso, il concime naturale.

 

Non facciamoci del male

È tempo di cambiare visione sul ruolo degli allevamenti. Criminalizzarli inutilmente, demonizzare la carne (quella vera) o il latte (quello vero) è un esercizio autolesionista.

A trarne vantaggio sono solo pochi produttori di alimenti iperprocessati e venduti a caro prezzo, con margini di guadagno assai più ampi di quelli che si realizzano con gli alimenti convenzionali.

Una "trappola" nella quale il consumatore informato non cade. Purché l'informazione sia corretta.

 

Al ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che esprime soddisfazione in merito al divieto sulla carne artificiale, suggeriamo di rivedere le sue posizioni.

Via libera, ma obbligo di etichette chiare, sul piano salutistico e ambientale.

Poi se qualcuno sarà incuriosito dalla carne artificiale e vorrà assaggiarla, libero di farlo. I più, ne sono convinto, si asterranno.