Confagricoltura Caserta nei giorni scorsi ha denunciato pubblicamente l'immobilismo e la leggerezza di enti e istituzioni di fronte alle zoonosi - in special modo la brucellosi - che stanno decimando intere mandrie di bufale nel territorio. AgroNotizie ha sentito il presidente di Confagricoltura Caserta, Raffaele Puoti, che in questa intervista torna ad alzare il tiro: serve un nuovo piano, che preveda non solo misure sanitarie stringenti e partecipate, ma anche l'aiuto per l'ammodernamento delle aziende zootecniche, anche perché occorre ormai affrontare il problema dell'ampliamento a tutta la piana campana delle Zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola.

Il tutto mentre per brucellosi e tubercolosi l'unica cura fino ad oggi è stata ed è il macello. Ad oggi, le aziende attualmente focolaio di infezione in Provincia di Caserta sono 67 per un totale di 22.370 capi presenti e oggetto di osservazione sanitaria. Una macchia sul 60% del bestiame bufalino nazionale che viene allevato proprio nel casertano, l'80% in tutta la Campania. In gioco vi sono i destini di oltre 40mila addetti della filiera bufalina nella sola provincia di Caserta, al di là dell'indotto. E i numeri degli abbattimenti di questi ultimi anni sono considerevoli.

Capi bufalini abbattuti per provvedimenti sanitari
Anno Capi bufalini abbattuti
2017 5.062
2018 13.221
2019 14.478
2020 12.969
(dato al 30 novembre)
Fonte: Anagrafe nazionale zootecnica

Presidente Puoti la situazione è certamente critica, ma perché parla di immobilismo e di leggerezza degli enti preposti?
"Nel maggio del 2019, la Regione Campania pubblica un Piano straordinario per l'eradicazione delle malattie infettive della bufala mediterranea, predisposto, sostanzialmente, dall'Istituto zooprofilattico sperimentale per il Mezzogiorno di Portici.
Il Piano prevede, come per legge, l'abbattimento degli animali infetti e norme di sicurezza sanitaria e di buona pratica agricola per impedire il contagio e lo sviluppo delle malattie tra gli animali senza, però, alcuna concreta azione preventiva e, a nostro avviso, risolutiva. Oggi, a circa due anni dall'adozione del Piano, le azioni previste non hanno eradicato le malattie, anzi, le infezioni si sono sviluppate senza alcun controllo e, di conseguenza, gli animali sono stati e vengono abbattuti, decimando intere mandrie e chiudendo allevamenti".


Da quanto dice sembrerebbe che le norme di sicurezza sanitaria e di buona pratica agricola adottate non siano state risolutive?
"Sono disposizioni che prevedono il controllo delle malattie soltanto attraverso azioni che regolano la gestione dell'allevamento e dei processi produttivi. Sono previsti controlli sanitari sugli animali attraverso veterinari delle Asl che, purtroppo, vengono praticati sempre in ritardo rispetto ai tempi dovuti e gli stessi risultati vengono refertati con notevole ritardo, anche 15, 20 giorni rispetto ai sette giorni previsti a fronte dei tre necessari. Sono tutti ritardi e inadempienze che favoriscono e determinano lo sviluppo delle malattie. Il Piano è risultato inefficace perché le misure previste potevano risultare utili solo in tempi tranquilli, ma all'aggravarsi della situazione è stato chiaro fin da subito che tali misure non avrebbero contribuito a limitare la circolazione della brucellosi nell'area maggiormente interessata. Oggi, nessuna parte coinvolta vuole ammettere l'inefficacia delle misure adottate e invece di prendere strade alternative si continua a tergiversare".

Ma che cosa pensa si debba fare? Ritenete come organizzazione di ricorrere nuovamente al vaccino?
"Prima di ogni cosa bisogna ristabilire un clima di reciproca fiducia tra le istituzioni, deputate all'indirizzo e al controllo, e l'allevatore. Bisogna mettere in campo un nuovo modello di relazione. L'istituzione sovraordinata non deve essere solo un mero organo di controllo ma deve anche mettere in atto azioni di sostegno e di affiancamento alle aziende bufaline. Più volte abbiamo presentato le nostre proposte di cui, allo stato, ancora non abbiamo ricevuto risposta. Siamo consapevoli che il vaccino è uno strumento molto complesso e delicato che deve essere gestito in maniera ottimale, eventualmente con l'ausilio di una task force dedicata. È necessario definire un piano di medio lungo periodo che metta in sicurezza il giovane bestiame e ponga in atto una sperimentazione che testi anche la potenziale efficacia del vaccino sugli animali adulti. Noi riteniamo che questo sia indispensabile nelle aree dove la diffusione del batterio non è più contenibile, dove l'attuale immobilismo sta portando alla scomparsa della bufala mediterranea. A rafforzare tale nostra posizione c'è quanto esposto dal sottosegretario di Stato per le Politiche agricole Giuseppe L'Abbate, che in data 13 gennaio 2021, ha in tal senso risposto all'interrogazione scritta n 4-02671 al Senato della Repubblica Italiana".

Bene il vaccino nei giovani animali e la sperimentazione sugli adulti e poi? Vi basta?
"No, non basta, perché nel contempo servono specifiche risorse per la riqualificazione e l'ammodernamento degli allevamenti. Probabilmente se nel 2008, quando, in analoghe situazioni si diede seguito alla vaccinazione, si fossero impiegate risorse per le strutture degli allevamenti, oggi non avremmo tale condizione, che ripeto, in alcune zone è incontrollabile. Abbiamo, inoltre, chiesto l'istituzione di un veterinario aziendale che in maniera preventiva, ma non ufficiale, possa individuare gli animali sospetti con prove e prelievi svolti in maniera autonoma da far analizzare in strutture pubbliche autorizzate. È necessario e indispensabile attivare un sistema di controllo delle malattie infettive efficiente ed efficace, rispettoso dei modi e, soprattutto, dei tempi, fondamentali per arginare la diffusione delle malattie.
Sarà altresì necessario mettere in campo efficaci controlli del numero dei capi animali degli allevamenti per effettiva area di sedime dell'allevamento stesso. Questo sarà utile sia per contrastare gli effetti negativi delle zoonosi che per il contenimento dei nitrati da sovraffollamento nelle stalle".


A tal proposito, tra poco meno di un mese scatteranno le nuove regole dettate dalla Regione Campania per l'utilizzazione nei campi dei reflui zootecnici e con particolare attenzione per le zone sensibili all'inquinamento dei nitrati. Tale ulteriore normativa determinerà conseguentemente una riduzione progressiva, nell'arco dei due anni, del numero di capi per superficie aziendale o l'acquisizione dell'equivalente terreno necessario. Come si pone Confagricoltura Caserta?
"L'attuale norma, dettata con Delibera di Giunta regionale della Campania n 585 del 16 dicembre 2020, fa seguito ad una precedente delibera regionale, la n 762 del 5 dicembre 2017, che non ha avuto applicazione perché alcuni allevatori e Confagricoltura fecero ricorso al Tar Campania. Entrambe le delibere fondano le disposizioni adottate su una campagna di rilevazioni effettuate dall'Agenzia regionale per l'Ambiente della Campania nel quadriennio 2012-2015 da cui sono state definite le nuove aree vulnerabili. Noi riteniamo che il monitoraggio effettuato dall'Arpac non risponda alla realtà. L'Arpac ritiene che il temuto inquinamento dei nitrati all'interno delle falde acquifere sia provocato solo ed esclusivamente da scarichi di origine agricola e zootecnica. Noi, oltre ad eccepire la metodologia di realizzazione delle campionature, riteniamo, invece, che l'inquinamento sia attribuibile, nella maggior parte, ai reflui urbani. Condizione che l'Arpac non prende affatto in considerazione nelle sue risultanze. Eppure, la maggior parte dei Comuni del casertano non sono dotati di propri impianti di depurazione e molti dei canali emissari delle pubbliche fognature si sviluppano anche a cielo aperto o sversano lungo il percorso in canali di bonifica".

Quindi, ritenete come organizzazione di procedere con un nuovo ricorso?
"Lo stiamo valutando anche perché l'amministrazione regionale nel promulgare la nuova Delibera non ha considerato le nostre osservazioni presentate in sede di ricorso alla Delibera del 2017".

In relazione all'inquinamento da nitrati, molto spesso, durante il periodo invernale, vengono ritrovati, per effetto delle piogge, reflui zootecnici all'interno dei canali di bonifica o, comunque, in canali di scolo delle acque. Come pensa che si possa arginare questa pratica?
"I reflui zootecnici sono una spina nel fianco della gestione aziendale degli allevamenti bufalini. La legge ne prevede, dopo un giusto periodo di 'stagionatura', la possibilità dello spandimento nei campi per la relativa concimazione. Tutti sanno che il letame è un ottimo concime organico per le coltivazioni di seminativi e non solo. Lo spandimento del liquame non è previsto però, come è giusto che sia, durante i periodi di pioggia e vige un divieto assoluto dal 1° dicembre all'ultimo giorno di febbraio, periodo in cui il franco di coltivazione risulta maggiormente interessato dall'acqua di percolazione delle piogge. Per evitare l'accumulo durante tale periodo, bisognerebbe concedere giorni straordinari in cui sarebbe possibile spandere liquame nei campi, recuperando in tal modo anche quei giorni di pioggia durante i periodi liberi per lo spandimento. Nel contempo, nell'ottica di riqualificazione delle strutture aziendali, di cui si chiedono specifici interventi di sostegno, si dovrà dare particolare attenzione ai sistemi di trattamento e trasformazione dei reflui direttamente in azienda".

In conclusione, cosa chiede oggi Confagricoltura Caserta?
"Noi chiediamo che la politica dia una risposta concreta e fattiva alle necessità della filiera bufalina. La politica dovrà decidere se sostenere e investire risorse importanti nel comparto per riqualificare il sistema produttivo lattiero bufalino dell'areale della Dop, insostituibile per la produzione della Mozzarella di bufala campana Dop. Il prodotto che più degli altri concorre alla formazione del Pil agroalimentare della provincia di Caserta e non solo. La Mozzarella di bufala campana Dop intanto esiste perché esiste il latte proveniente dall'areale di produzione della Dop. Analogamente, il latte di bufala ha un valore aggiunto per l'impiego specifico nella produzione della mozzarella. È l'esempio economicamente più valido di filiera integrata che non può avere alcun elemento di debolezza e non può, assolutamente, andare persa perché rappresenta una storia, una tradizione e una cultura agroalimentare di una vasta area territoriale".