Sono alcuni dei temi affrontati al 4° Dairy Forum di Clal, evento dedicato alla filiera lattiero casearia, che ha visto la partnership di Fieragricola di Verona.
Sulla scena, anche se la questione è tutta europea, ma con possibili rimbalzi sulle dinamiche mondiali, essendo l’Ue fra i primi produttori di latte al mondo, anche la fine delle quote latte.
Il D-Day è per il prossimo 31 marzo. Dal giorno successivo, mercato libero e senza più tetti produttivi, costati cari all’Italia, assai meno in altri Paesi comunitari. Cosa si prevede, dunque? A dare una risposta a una platea iper qualificata di produttori e operatori italiani ci pensa Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo e tra i candidati più autorevoli a ricoprire il ruolo di commissario Ue all’Agricoltura. “Aumenterà indubbiamente la volatilità dei prezzi, che già oggi mostra forti scosse: a Natale il latte spot era quotato 50 centesimi al litro, oggi siamo a 30 centesimi”.
Se gli sbalzi repentini di prezzo rappresentano la diagnosi evidente, la terapia suggerita da De castro va nella direzione di un Pacchetto Latte 2, “da affrontare collegialmente dal prossimo autunno, in modo da dotarsi di strumenti efficaci per gestire il futuro con minori incertezze, alla luce di un primo Pacchetto Latte che ha rappresentato un’opportunità per l’Italia, indubbiamente, meno per gli altri Paesi”.
Servono idee e soluzioni direttamente dagli operatori, per centrare al meglio l’obiettivo. “Non possiamo più attendere che siano altri a decidere per noi e magari lamentarci che non sono state date le risposte attese dal mercato – incalza il numero uno della Commagri al Parlamento europeo -. È da voi addetti ai lavori che devono provenire proposte concrete su come gestire la fase post-quote”.
Anche perché, se è vero che “la produzione dell’Unione europea prevista in aumento dello 0,8 per cento nei primi due anni dall’abolizione del regime contingentato – afferma De Castro – è anche vero che con lo scenario mondiale che si andrà a delineare non ci attendiamo un impatto negativo sui prezzi”.
Le prospettive di scenario, tuttavia, non sembrano drammatiche, almeno sul versante del prezzo. Un argomento piuttosto caldo sul fronte nazionale, essendo previsto per fine mese il rinnovo del contratto. A uno sguardo più ampio, l’attuale prezzo di 44,5 centesimi per chilogrammo di latte non è poi così difforme da quanto viene pagati ai produttori indiani (40 centesimi) e cinesi (addirittura 48 centesimi).
Le dinamiche internazionali, che ormai sempre di più influiscono sulle sorti degli allevatori (anche italiani), rivelano che la domanda mondiale di latte è in aumento in tutto il mondo, eccetto che in Europa.
La Cina intravede una crescita del 10-12% del comparto lattiero caseario nei prossimi 5 anni, l’India punta di passare dalla produzione attuale di 140 milioni di tonnellate di latte all’anno a 500 milioni di tonnellate nel 2061.
L’Europea, nel frattempo, cosa può fare? Il professor Holger Thiele dell’Università do Kiel (Germania) invita, nelle sue riflessioni, a “esportare verso i Paesi emergenti”.
E le previsioni per l’Ue-28 di export di latte nel 2022, calcola, “indicano una crescita di 22 punti percentuali”, anche se non ne è così convinto Michael Griffin, senior policy officer della Fao. Almeno nel breve periodo. “L’Unione europea vedrà il proprio export diminuire un po’ – afferma – mentre assisteremo ad un aumento dei consumi di prodotti lattiero caseari in Asia e nell’area del Pacifico, con intere popolazioni disponibili a modificare la loro dieta”.
Se il nodo di fondo riguarda la volatilità dei prezzi, servono strumenti per mitigarne gli effetti. Quali? Charles Pszczor del Chicago Mercantile Exchange (Cme) individua nei futures “l’opportunità per ridurre la volatilità e assicurare il rischio delle eccessive oscillazioni di prezzo”.
Il Cme Group, che annualmente gestisce contratti per oltre 3 miliardi di dollari in settore dell’agricoltura, energia, metalli, ha da poco aperto una sede londinese, con l’obiettivo di spingere sullo strumento dei futures, anche nel comparto lattiero caseario. “I requisiti necessari sono la trasparenza dei mercati, che non vi siano regimi di monopolio o duopolio, che la burocrazia o i governi non esercitino pressioni – avverte Piszczor – e che, se parliamo di piccole e medie imprese di allevamento, che vengano sottoscritti contratti dai quali è facile entrare o uscire”.
Negli Stati Uniti funzionano, tanto che sono quasi 29mila i contratti futures aperti nel settore del milk, in Italia gli operatori sono piuttosto timidi, forse anche perché il 55 per cento della produzione di latte viene trasformata in formaggi Dop, che hanno una qualità molto elevata.
Altre strategie, indubbiamente più calibrate sullo scenario italiano, le ha avanzate Francesco Pugliese, direttore generale di Conad, e riguardano i consorzi di tutela dei formaggi Dop. “Bisogna uscire dalla logica di campanile e ragionare per dare risposte ai mercati in crescita, come India e Cina – dice – è finito il tempo delle divisioni: nell’agroalimentare riusciamo a dare il 3% del valore aggiunto alle nostre produzioni, senza un progetto più ampio non si va da nessuna parte. E la responsabilità è anche degli operatori della filiera, inutile negarlo”.