L'export dei prodotti della salumeria italiana vale 1,4 miliardi di euro. Lo dicono i dati dell'Istat che per il 2011 calcolano in 138mila le tonnellate di salumi, insaccati e prosciutti che l'Italia ha esportato, facendo segnare un più sette percento rispetto all'anno precedente. Esportazioni indirizzate per la maggior parte (109mila tonnellate) verso i paesi della Ue e in particolare Germania e Gran Bretagna. Quote importanti sono poi assorbite da Usa e Giappone dove le esportazioni della salumeria italiana sono cresciute nel 2011 rispettivamente dell'8,6% e del 13,8%.

Pur se riguardano quantità limitate, un certo interesse raccolgono poi le esportazioni verso l'America Latina, dove si registrano aumenti dei quantitativi importati. Ma a sorpresa ecco arrivare dall'Argentina la decisione di chiudere le frontiere all'importazione di prosciutti e salumi, di qualunque provenienza. Italia compresa. Una scelta dettata dalla volontà di sostenere la produzione interna e che prende le mosse dalla politica che l'Argentina si è data per “aggiustare” la propria bilancia commerciale. Un impegno che il governo di Cristina Fernandez de Kirchner ha deciso di affrontare di petto, con l'obiettivo che ad ogni dollaro speso per l'import corrisponda un dollaro di export. Allevatori e industrie della carne hanno accettato la sfida a produrre di più, ma hanno chiesto ed ottenuto da Gyldenfeldt Martin, il presidente della Camera argentina per i salumi, l'impegno a bloccare le importazioni di prodotti a base di carni suine, impegno poi messo nero su bianco da Guillermo Moreno nella sua veste di segretario al Commercio interno, cui spetta il compito di controllare le importazioni argentine.

 

Dal Mercosur alla Ue

Il blocco deciso dall'Argentina, ha sollevato le preoccupazioni dei paesi del Mercosur. Le prime reazioni sono arrivate dal Brasile che ha reagito alla decisione argentina bloccando a sua volta le importazioni dall'Argentina di alcuni prodotti, come mele, vino e grano. Anche a Bruxelles la vicenda è seguita con attenzione per i suoi riflessi sugli accordi nell'ambito del Wto, dove si decidono gli accordi internazionali sul commercio, accordi che l'Argentina ha disatteso con questa decisione. Alle rimostranze mosse dalla Ue, l'argentino Gyldenfeldt ha risposto ricordando i vincoli che la Ue impone alle importazioni dall'Argentina adducendo motivazioni di carattere sanitario definite “prive di senso”.

 

A colpi di salume

Quella che si apre è una sorta di guerra commerciale tutta incentrata sui prodotti della suinicoltura. Una guerra che pur non destando particolari preoccupazioni per l'esiguità delle nostre esportazioni in quel paese (solo 264 tonnellate), può riservare qualche problema in prospettiva. Argentina e paesi del Mercosur offrono infatti interessanti prospettive di crescita nei prodotti agroalimentari e trovarsi preclusa questa via non è certo una cosa positiva. Specie di fronte ad una crisi internazionale che trascina verso il basso i consumi interni, e che impone la costante ricerca di nuovi sbocchi commerciali nell'export. In campo sono scese le organizzazioni professionali che hanno stigmatizzato la decisione dell'Argentina. Misure del tutto ingiustificate e in contrasto con gli accordi del Wto, ha ricordato Coldiretti, mentre Cia e Confagricoltura hanno sollecitato il Governo italiano a intervenire presso la Ue per valutare l'applicazione di adeguate contromisure.

 

Opportunità da cogliere

Appelli che saranno ascoltati da Bruxelles? Ne dubitiamo. Lo stop argentino alle importazioni coinvolge in pratica solo due paesi, Spagna e Italia, per di più per quote tutto sommato modeste. Immaginare che Bruxelles lasci cadere queste richieste nel vuoto è facile previsione. Al momento è meglio puntare, come hanno fatto i nostri produttori, verso altri paesi. Il più 80% che si è avuto per il nostro export in Australia, ma è solo un esempio, è significativo e dimostra quante opportunità nel mondo siano ancora da cogliere per il made in Italy. L'Argentina può aspettare.