Evviva l'aumento delle quote latte. Abbasso l'aumento delle quote latte. Da Bruxelles il ministro dell'Agricoltura è tornato a casa con una maggiorazione della quota latte italiana di 600mila e passa tonnellate (che significa un +6% dell'intera quota nazionale) e subito si sono creati gli schieramenti dei favorevoli e dei contrari, nel solco della miglior tradizione della nostra politica agricola, divisa, confusa e soprattutto litigiosa. Fra i favorevoli (anzi, euforici) ci sono gli splafonatori di professione, etichettati come cobas del latte, anche se di quel movimento che fece le barricate a Linate è rimasto ben poco, diviso fra altre mille sigle, più o meno tutte con la stessa intenzione di non pagare una lira (meglio, un euro) di multa. Dall'altra parte gli allevatori “in regola” o perchè avevano ridotto il numero di vacche oppure, e sono la maggior parte, perché hanno speso fior di euro per comprare quote e rispettare la legge. E che oggi temono che i loro investimenti siano carta straccia.

 

Il torto e la ragione

Forse hanno ragioni da vendere entrambi gli schieramenti (gli allevatori che hanno venduto le quote e continuato a produrre quanto e più di prima, di ragioni però ne hanno poche...), e prima di accapigliarsi gli uni contro gli altri, sarebbe quanto meno opportuno conoscere quale sarà il destino di questo aumento e quali le conseguenze. Non solo sulle multe, ma anche sul prezzo del latte e su quello delle quote e poi sui flussi di mercato.

Punto fermo, perchè dichiarato a più riprese dallo stesso ministro, è che non ci sarà alcun colpo di spugna. Chi non ha pagato le multe per il passato dovrà pagarle. Magari rateizzate, ma senza sconti. Alla fine avranno speso quanto e di più che se avessero acquistato le quote che loro mancavano per mettersi in regola. E come gli altri “regolari” potranno far di conto sull'aumento di quota che di fatto evita all'Italia di essere in debito con la Ue per milioni di euro a causa degli splafonamenti (l'ultimo ci è costato oltre 160 miloni). Le 600mila tonnellate che si vanno ad aggiungere ai 10 milioni e passa di tonnellate della quota italiana rappresentano infatti l'esubero che ogni anno, tonnellata più o meno, l'Italia registra rispetto alla sua quota.

 

Attenti ai furbi

Difficile, ma bisognerà pur riuscirci, sarà evitare che dell'aumento della quota possano approfittarne i soliti furbi, chi ad esempio ha venduto le quote che possedeva ed ha continuato a produrre latte, chi si è dato al “latte in nero”, chi ha nascosto la produzione dentro le mille scatole cinesi di una falsa cooperazione e via di questo passo.

Tutto, dunque, deve muoversi nel solco della legalità e nel rispetto delle leggi (la 119 in primis) in vigore. Ciò non toglie che l'aumento possa avere delle ripercussioni sul mercato. Su quello delle quote anzitutto. Che però già erano scese di valore con l'avvicinarsi del 2015, anno in cui le quote non ci saranno più. Ma i maggiori timori sono per il prezzo del latte. Alcuni commentatori hanno visto nell'aumento della quota italiana la molla per una caduta del prezzo del latte alla stalla. Può esere, ma in un mercato che risente sempre più delle tensioni internazionali e per di più in un Paese, come l'Italia, che importa quasi la metà del suo fabbisogno, 600mila tonnellate di latte non sembrano poi tante. Inoltre non si tratta di un aumento del latte prodotto, ma solo di latte sul quale (viene da aggiungere finalmente) non si pagherà più alcuna multa. E forse riemergerà dall'illegalità anche quel latte che veniva commercializzato in nero (quello sì, a prezzo basso). I quantitativi reali non si conoscono, ma è inevitabile che queste vendite sotto banco e a prezzi stracciati abbiano contribuito a frenare il prezzo del latte. Meno latte in nero porterà beneficio alle casse dello Stato, ma anche al prezzo del latte e dunque alle tasche degli allevatori.

 

I vantaggi non mancano

Di questo aumento della quota italiana sembrano essere più i pro che i contro. E non è la prima volta che l'Italia beneficia di un trattamento di riguardo da parte della Ue. Anche il precedente ministro, il prodiano Paolo De Castro, era riuscito a strappare un aumento, anche se più modesto, della nostra quota e anche in quel caso si è parlato solo di vantaggi. Poi non dimentchiamo che l'aumento concesso oggi all'Italia è solo un'anticipazione di quanto comunque le sarebbe giunto con l'aumento dell'1% annuale di qui al 2015, come accordato invece agli altri Paesi della Ue. E a ben guardare è su questo aumento generalizzato che bisogna riflettere. Come reagiranno i Paesi già forti produttori? Mungeranno più latte? Aumenteranno le scorte di burro? E i magazzini si riempiranno ancora di latte in polvere? Forse. Ma non serve la sfera di cristallo per ipotizzare anche per il latte un'ulteriore spinta verso la globalizzazione dei mercati, con il prezzo europeo sempre più vicino a quello mondiale e sempre più influenzato dagli andamenti produttivi e dai consumi che si avranno ai quattro angoli del globo. Insomma è meglio sapere che tempo fa in Nuova Zelanda piuttosto che far ruotare a vuoto i neuroni sulle quote italiane. Perchè basta un po' di pioggia in più o in meno (è già successo) in un Paese dall'altra parte del mondo per far precipitare i prezzi oppure per farli schizzare verso l'alto. Anche la nostra agricoltura deve abituarsi a questi nuovi scenari, dove non c'è spazio per litigiosità e divisioni senza costrutto. E per chi vuole esprimere su questi temi la propria opinione un invito a partecipare al nostro forum. Cosa ne pensate? Basta un clic.