La suinicoltura italiana è ormai al tracollo. Molti allevamenti, oberati da pesantissimi costi di produzioni e alle prese con prezzi in caduta libera, sono a rischio chiusura, mentre il nostro Paese è sempre più invaso da prosciutti e salami stranieri (875 mila tonnellate per un valore di oltre 1 miliardo e 700 milioni di euro l'import del 2007, con oltre 60 milioni di cosce fresche di maiale). Una crisi profonda e traumatica che sta gettando nella disperazione un'intera categoria. Servono, quindi, immediate misure di carattere fiscale, tributario e creditizio.
Da qui l'esigenza di un'immediata convocazione da parte del ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Luca Zaia di un Tavolo di confronto dove affrontare in maniera concreta i gravi problemi del settore. E' quanto sollecita il presidente della la Cia (Confederazione italiana agricoltori) Giuseppe Politi, fortemente preoccupato per una situazione che ha provocato pesanti sconvolgimenti nelle aziende e un taglio radicale dei redditi dei produttori.
'Gli allevatori', ricorda la Cia, 'sono allo stremo e non possono più operare in queste particolari condizioni. Basti pensare che nello scorso anno il prezzo medio dei suini è diminuito dell’8% rispetto al 2006, mentre il costo dei cereali e dei semi oleosi indispensabili per l'allevamento ha fatto registrare impennate vertiginose: il mais nazionale è cresciuto del 33,6 %, l’orzo estero del 44,6%, la farina di soia estera del 30,7%, la crusca di frumento tenero del 55%. Anche i prezzi rilevati dagli ultimi mercati di Milano e Mantova', afferma la Cia, 'continuano, di fatto, a confermare vecchie quotazioni, mentre quello di Modena ha fatto registrare in questi giorni, addirittura, un’ulteriore diminuzione.Per comprendere le difficoltà degli allevatori, basta rilevare che, fatto cento il valore del suino pagato dal consumatore, solo il 14,8% va all’allevatore. Nel 2001 il suinicoltore incideva per il 21,1%. In sette anni un 'taglio' del 6,3%. Per quanto concerne le misure da adottare in tempi rapidi, la Cia sottolinea l’esigenza di alleggerire il 'peso' del credito bancario nei confronti delle imprese suinicole. Va, inoltre, attuata una riduzione dell’onere fiscale e tributario, prevedendo strumenti già utilizzati in altre situazioni di settori in crisi. Non solo. Segnali negativi arrivano anche dalle vendite'.
Gli stessi consumi domestici di carne suina fresca, secondo i dati del Panel Ismea-ACNielsen, sono scesi, sempre nello scorso anno, del 4,6% e quelli di salumi dell'1,1% (meno 0,6% quelli Dop). Dati che fotografano uno scenario carico di nubi oscure che, se non si interviene in modo realmente incisivo, c’è il fondato pericolo di avere pesanti contraccolpi, non solo in termini economici ma anche occupazionali. E su tutto incombe, inoltre, la minaccia straniera. Ormai tre prosciutti (cotti e crudi) su quattro sono stranieri.
E con nomi di fantasia si cerca anche di confondere il consumatore spacciandoli per Made in Italy: 'prosciutto del contadino', 'prosciutto nostrano', 'prosciutto di montagna', 'dolce di Langhirano'. 'L'importanza del settore suinicolo italiano', conclude la Cia, 'viene da numeri che sono significativi. Sono oltre 100 mila le aziende, con oltre 9 milioni di capi suini. Il valore al consumo della carne suina è di 1,2 miliardi, quello dei salumi di 3,6 miliardi (460 milioni per le Dop). Solo nello scorso anno sono stati prodotti 9 milioni 900 mila prosciutti di Parma (con un giro d’affari di 1,7 miliardi di euro), mentre quelli di San Daniele sono stati circa 2 milioni e 700 mila'.