I lupini sono un genere di piante composto da almeno 626 specie [i], appartenenti alla famiglia delle Fabacee, dette anche Leguminose. Tre sono le specie commestibili più coltivate in Europa, che prendono i loro nomi comuni dal colore dei fiori: il lupino blu (Lupinus angustifolius) coltivato nel Nord per la sua tolleranza alle ghiacciate fino a -10°C,  il lupino giallo (Lupinus luteus), coltivato in Germania e moderatamente tollerante la siccità e le ghiacciate, e il lupino bianco (Lupinus albus), nativo dell'area del Mediterraneo, tollerante a ghiacciate fino a -6°C e variazioni di pH del terreno.

L'etimologia del nome Lupinus è incerta. Deriva dal latino lupus, lupo, ma non è chiaro se si riferisca alla forte competitività della pianta, che la converte in un vero "killer" di malerbe, oppure al sapore amaro e alla tossicità del seme crudo, che sarebbe "cibo da lupi".
 
Tutte le specie di lupini si caratterizzano per la bassa produttività - 2-6 tonnellate/ettaro, dipendendo dalla specie - e questo spiega perché siano meno diffusi di altre colture, come ad esempio la soia. In compenso, l'inserimento dei lupini nelle rotazioni agricole migliora la fertilità del suolo per la loro capacità - comune a tutte le Fabacee - di fissare l'azoto atmosferico. Inoltre, essi sembrano avere un potenziale ancora inesplorato come materia prima per le bioraffinerie.

Il progetto di ricerca Libbio (Lupin bioeconomy development) cerca di colmare le lacune che ancora esistono sulla biologia di questa interessante famiglia di piante. Oltre alla ricerca genetica per migliorare le rese delle specie già coltivate in Europa, il progetto pretende di esplorare la coltivazione e la potenzialità di una specie quasi sconosciuta fuori dalla sua area di origine: il lupino andino (Lupinus mutabilis). Si tratta di una pianta coltivata dalle popolazioni indigene del Perù e dell'Ecuador sin dalla preistoria.

Vediamo di seguito le sue più interessanti proprietà (Rif. [ii] e [iii]).
  • Più proteina della soia. Il contenuto di proteina del seme crudo è mediamente del 47,7% su base secca e arriva al 65,3% nel caso di semi disoliati con alcol. La digeribilità è buona, compresa fra 80-85,8%, comparabile con quella della caseina del latte.
  • Olio ricco di acidi grassi polinsaturi. I semi cotti in acqua contengono fino al 26,9% di olio ed il rapporto fra grassi polinsaturi e saturi è pari a 5,3. L'olio di lupino andino è anche ricco di antiossidanti, in particolare vitamina E.
  • Minore tossicità dei lupini nostrani. Il lupino andino contiene il 3,3% di alcaloidi, ma questi si possono eliminare mediante cottura in acqua ed estrazione con alcol - caratteristica che possiedono anche i lupini europei. L'aspetto interessante è che il lupino andino sembra avere maggiore biodiversità, per cui esistono varietà semi-dolci con basso contenuto di alcaloidi.
  • Radici fittonanti. Il lupino andino è particolarmente interessante come coltura industriale per la sua capacità di crescere su terreni marginali, molto compatti e poveri di materia organica, dove le colture tradizionali stenterebbero a crescere. Rispetto ai lupini nostrani, il lupino andino tollera maggiori concentrazioni di calcio e terreni argillosi. Le sue radici migliorano la testura del terreno, ne incrementano il contenuto di materia organica e quindi la capacità di ritenzione idrica. Oltre a migliorare la biodiversità microbiologica e fissare azoto, come tutti i lupini, quello andino sembra mobilitare anche i fosfati, rendendoli biodisponibili per la coltura successiva.
  • Crescita veloce. Nel clima mediterraneo il lupino andino arriva alla completa maturazione in 140-170 giorni. La coltivazione non richiede diserbo perché la pianta raggiunge rapidamente un'altezza di circa un metro, producendo un'ombra molto fitta che impedisce alle malerbe di svilupparsi.

Buono per le api? Non è chiaro se i lupini siano melliferi o meno. Sicuramente forniscono polline e vengono impollinati dalle api, ma sembra che la loro produzione di nettare vari da una specie all'altra [iv]. Ad ogni modo, l'inserimento dei lupini (andini e nostrani) negli avvicendamenti è benefico per migliorare la biodiversità agricola perché favorisce la sopravvivenza degli insetti pronubi, api comprese. La fioritura del lupino andino è più precoce rispetto a quella del lupino bianco.

Allo stato attuale, in cui non esistono ancora cultivar selezionate, il lupino andino rende fra 2,5 e 3 tonnellate/ettaro ed è suscettibile all'antracnosi (Syngenta ha un prodotto per proteggere i lupini dall'antracnosi) ed alle ghiacciate (-3°C, con un limite di -5°C).


Le bioraffinerie basate sulla coltura del lupino andino

Le direttive europee sulla conservazione dei suoli spingono a concentrare tutte le produzioni agricole non alimentari nei terreni marginali. Il lupino andino è dunque il candidato ideale per migliorare i profitti delle aziende agricole perché, sebbene la sua produttività sia bassa, è un'ottima materia prima per produrre una serie di sostanze ad elevato valore aggiunto:
  • Alcaloidi. Le sostanze che rendono tossici i lupini crudi possono essere separate mediante estrazione con acqua o con solvente (alcol). Gli alcaloidi possono trovare impiego come fitofarmaci, medicinali, e biostimolatori. Gli alcaloidi rilasciati durante la crescita del lupino andino proteggono le colture di patate in successione dall'attacco dei nematodi (Rif. [v]).
  • Olio ricco di vitamina E, omega-3 e omega-6. Il progetto Libbio analizzerà specificatamente l'utilizzo dell'olio di lupino andino per la produzione di rossetti, creme per il viso e altri prodotti cosmetici.
  • Proteine. Una volta eliminati gli alcaloidi ed estratto l'olio, il pannello è utilizzabile direttamente come ingrediente per l'alimentazione animale, oppure si possono estrarre proteine specifiche per la produzione di integratori alimentati umani.
  • Prebiotici e fitochimici. I residui dell'estrazione delle proteine sono fonti di sostanze prebiotiche - tipicamente oligosaccaridi - e fitochimiche con potenziale applicazione in agricoltura biologica.


Conclusioni

Il progetto Libbio include anche la sperimentazione dell'insilaggio dell'intera pianta di lupino andino, sia come foraggio che come biomassa per digestione anaerobica. Tale applicazione preclude però gli utilizzi precedentemente ipotizzati. Tralasciando le logiche proprie della ricerca, da un punto di vista pratico appare poco saggio coltivare il lupino andino per produrre solo biomassa dallo scarso valore economico.

Allo stato attuale delle ricerche, e considerando la capacità della pianta di crescere su terreni marginali, l'opzione più logica sembra massimizzare i profitti mediante la tecnica della bioraffineria. I residui colturali andrebbero lasciati come pacciamatura, precisamente per restituire carbonio e azoto al suolo e  migliorarne la fertilità. In linea con i principi dell'economia circolare, l'utilizzo bioenergetico delle biomasse deve essere sempre l'ultima opzione di sfruttamento. L'antico cibo degli Incas è decisamente una miniera di molecole di altro valore, e chiede solo un terreno marginale per crescere.


Riferimenti bibliografici

[i] The plant list.
[ii] Schoeneberger H, Gross R, Cremer HD, Elmadfa I. Composition and protein quality of Lupinus mutabilis. J Nutr. 1982 Jan;112(1):70-6.
[iii] Udo Prins, Rob van Haren; Andean lupin (Lupinus mutabilis) Cropping and its opportunities for Europe; manuale del progetto Libbio, Hanzehogeschool Groningen Kenniscentrum Kunst & Samenleving, Groningen (NL) 2019.
[iv] George Ayers, Introduction to genus Lupinus, American Bee Journal - October 1, 2016 - (riassunto).
[v] Ad hoc panel of the advisory committee on technology innovation; Board on science and technology for international development; National research council (1989). Lost crops of the Incas: little-known plants of the Andes with promise for worldwide cultivation. Washington, D.C.: National academy press. pp. 180–9. ISBN 9780309074612.


Ulteriori informazioni

Coltivazione lupino bianco in Italia (sito esterno ad AgroNotizie).
Semi di lupino andino.
Articolo di Mimmo Pelagalli di AgroNotizie.