Che il mondo sia di tutti è fatto noto. Che se si butta in terra una carta di caramella si sporca il mondo anche degli altri, questo però si percepisce molto meno. La sicurezza, come il mondo e le carte delle caramelle, è interesse di tutti, e non solo di alcuni. Per questo si è trovato utile porre sul tavolo i punti di vista dei giocatori più importanti della filiera in materia di agrofarmaci. Agrofarma, Compag e Coldiretti hanno portato la voce di chi gli agrofarmaci li produce, di chi li commercializza e di chi li utilizza. Con un occhio, ovviamente, ai risvolti sulla sicurezza di chi i prodotti agricoli poi consuma.

Introdotto e moderato da Donatello Sandroni, di Agronotizie, il convegno si è quindi snodato attraverso interventi fortemente settoriali, ma che hanno trovato un solido filo conduttore comune.
Il primo intervento spetta ovviamente ai produttori, nella persona di Marco Rosso, direttore di Agrofarma (in foto). All’associazione preme sottolineare l’impegno e il contributo dell’industria  per la sicurezza e l’agricoltura sostenibile in Italia. In un mondo in crescita di popolazione, e in calo di ettarati, l’uso delle tecnologie è fattore indispensabile per la sostenibilità non solo della crescita mondiale, ma anche della preservazione dell’ambiente nel pieno rispetto della salute del consumatore.
 
Mentre la popolazione stimata per il 2020 sarà intorno ai 7,7 miliardi di esseri umani, gli ettari pro capite scenderanno dagli attuali 2.200 ai 1.900 mq. Se pensiamo che nel vicino 1960 eravamo solo 3 miliardi e che potevamo contare su ben 4.300 mq coltivabili a testa, non possiamo che restare impressionati. Solo in Italia si stima una perdita di PLV di ben 12 dei 31 miliardi di euro attuali, in caso venisse a mancare l’uso degli agrofarmaci. Molecole importanti quindi, che devono non solo funzionare ma essere al contempo anche sicure. Per questo il 6% del fatturato complessivo delle aziende è reinvestito in ricerca (45 miliardi € su 750 fatturati) e sono oltre 300 i laboratori di ricerca che operano in Italia su questo tema. In media, sviluppare e registrare una nuova molecola costa a un’azienda sui 200 milioni €, di cui circa 80 sono investiti in ricerca su tossicologia ed eco-compatibilità della nuova sostanza attiva. In altre parole, in sicurezza.
La ricerca ha fatto si che le molecole nuove rimpiazzassero quelle vecchie riducendo drasticamente l’impatto ambientale. Basti pensare che oggi basta l’equivalente di un cucchiaino da caffé per diserbare un ettaro di coltura, contro i molti kg/ha di solo 20 anni fa.
Come pure il packaging odierno è molto più evoluto e sicuro di quello precedente. Ma non solo sulla ricerca si fonda la sicurezza: Agrofarma accoglie con favore la proposta del Parlamento Europeo di incrementare la sicurezza nell’uso, anche attraverso iniziative specifiche di sensibilizzazione e formazione. Agrofarma si è impegnata fortemente nel contrastare la diffusione di agrofarmaci illegali, importati seppur non registrati o addirittura falsificati. Come pure ha sostenuto investimenti per la diffusione dell’informazione e delle schede di sicurezza attraverso l’implementazione del sito www.sds-agrofarma.it.
Anche in materia di residui sulle colture gli effetti benefici di tale impegno si sono fatti sentire: nel 2009 solo l’1% dei campioni analizzati mostrava residui fuori norma, mentre il 32% era all’interno dei parametri di legge. Due campioni su tre, infine, addirittura non mostravano traccia di alcun tipo di residuo. Anche su questi dati si basa la pubblicazione “Mangia più sicuro”, giunta ormai alla quarta edizione e prodotta in collaborazione con Coldiretti e le associazioni di consumatori.

Di fronte a questo scenario, si resta quindi perplessi nel constatare come in Italia siano necessari molti più anni rispetto ad altri Paesi Eu per registrare nuove molecole. E non perché all’estero i procedimenti siano meno solerti dei nostri, ma perché sui processi registrativi italiani gravano tempi morti inspiegabili e derive burocratiche spesso asfittiche. Sicuramente, non appare più tollerabile che in Inghilterra i tempi siano stati a volte inferiori all’anno, mentre in Italia si raggiungano con grande disinvoltura anche i 3-5 anni. Anni in cui le pratiche restano per lo più ammucchiate senza essere processate, tra commissioni che non si riuniscono e passaggi di mano farraginosi.
 

 Sicurezza e agrofarmaci, la filiera si confronta
 
Il testimone passa da Agrofarma a Compag, l’associazione che rappresenta i rivenditori italiani di mezzi tecnici, raccogliendone circa 2.000 e avendone oltre 300 come soci sostenitori. Vittorio Ticchiati lamenta una forte frammentazione del mercato, con oltre 4.000 rivendite operanti sul territorio.
Di queste, solo le prime 1.000 riescono a fatturare più di 300.000 €/anno, mentre oltre 2.500 stanno sotto i 25.000 €/anno. L’abusivismo appare una piaga alquanto deleteria, ragione per la quale Compag da molto tempo chiede la pubblicazione degli elenchi delle rivendite regolarmente iscritte ai registri, in modo che gli acquirenti possano orientarsi più facilmente nel mercato.
 
Il quadro normativo sulla sicurezza è molto stringente, sia in materia di prevenzione degli incidenti che degli incendi. Il DPR 290/01, come il Dlgs 81/2008 e il Dlgs 344/99 (Seveso 2) normano in modo preciso i requisiti delle strutture, le misure di sicurezza da adottare e le precauzioni da rispettare all’interno della rivendita. Inoltre, le rivendite devono fornire annualmente agli organi di controllo i dati di vendita. Gestire una rivendita in modo corretto non è cosa semplice: il proprietario deve fornire ogni informazione utile ai dipendenti e dare istruzioni precise e dotazioni di sicurezza idonee, come pure tenere periodicamente esercitazioni atte fronteggiare situazioni di emergenza dovute a eventuali incidenti. Anche per il trasporto vi sono norme precise, perfino sul livello di preparazione del conducente, il quale deve aver partecipato a corsi di formazione specifici per il trasporto di merci pericolose. Per rendere più agevole il lavoro dei propri associati Compag ha predisposto un apposito manuale, realizzato in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, visualizzabile anche sul sito www.compag.org.
 
Giunti all’ultimo intervento, prende la parola Aldo Mattia, direttore della Coldiretti Lazio. Mattia tiene a precisare che l’ultimo anello della catena non è l’agricoltore, bensì il consumatore. Ogni pratica adottata a monte, infatti, si ripercuote sul consumatore finale. Compito degli agricoltori fornire prodotti sani, sicuri, tracciati e certificati. Per fare questo è necessario che in agricoltura si passi dal ruolo del “contadino” a quello dell’”imprenditore agricolo”, evolvendosi soprattutto nella mentalità tipica di filiera.
Un deterrente a questo tipo di sviluppo è la bassa redditività che ancora grava sulle imprese. Una redditività che spesso penalizza proprio chi le derrate alimentari produce. Per produrre meglio, e non solo di più, è necessario che anche la ridistribuzione della ricchezza prodotta sia più spostata verso il comparto produttivo. Tenendo i piedi per terra, Aldo Mattia ricorda come il Bio non possa di per sé rappresentare la panacea di tutti i mali, rappresentando solo il 6% del totale prodotto.
 
L’etichettatura e l’attestazione di origine invece possono fare la differenza tra un prodotto di qualità italiano e un altro di origine incerta, magari addirittura un prodotto farlocco di origine truffaldina. L’agricoltura – secondo Mattia – merita di essere posta nuovamente al centro del dibattito politico, come pure gli investimenti in formazione dovrebbero moltiplicarsi. Si conclude infine con una strizzatine d’occhio al mercato: sempre più sono gli agricoltori che si organizzano per vendere direttamente le proprie produzioni, senza dover passare attraverso l’intermediazione di grossisti e commercianti. Specialmente la GDO.
Ad oggi sono già 364 i farmer market (mercati dell’agricoltore) nei quali si possono trovare sia ortofrutta che altri prodotti agricoli. Con una catena quindi cortissima. Con beneficio quindi anche della tasca: sia del produttore (che vende meglio) che del consumatore (che compra a meno).