Il 2009 passerà alla storia come l’ “Anno horribilis” per i cereali “made in Italy”: crollo dei prezzi (anche del 40% per il grano duro rispetto al 2008), pesante caduta degli ettari seminati (-25%), mentre le rese dei raccolti evidenziano una flessione tra il 15 e il 20%. Una vera e propria “dabacle” che rischia di avere pesanti conseguenze per l’intero settore e per la produzione di pane e pasta “tricolore”, che dovrebbe registrare un calo superiore al 20%. Questo il quadro delineato dal Gruppo di interesse economico (Gie) cerealico della Cia - Confederazione italiana agricoltori che si è riunito a Roma.
I produttori cerealicoli della Cia hanno manifestato grande preoccupazione per la difficile situazione che, dopo la decisa contrazione delle semine, registra pesanti cali produttivi e una caduta dei prezzi di mercato per quasi tutte le colture: dal grano duro al quello tenero, al mais.
 
La crescente volatilità dei prezzi, gli insostenibili aumenti dei costi di produzione, le avversità atmosferiche, l’inefficacia dell’azione del governo, stanno mettendo a dura prova i produttori cerealicoli, con rischi concreti di ulteriori contrazioni -è stato sottolineato dal Gie della Cia- per le prossime semine con conseguenze preoccupanti dal punto di vista sociale, culturale, nonché di tenuta idrogeologia del terreno, soprattutto nelle aree marginali.
Una situazione resa ancora più complessa dal comportamento assunto dalle industrie molitorie e della pasta che -è stato rilevato dai cerealicoltori della Cia- continuano a pagare assai poco prodotti come il grano (sia tenero che duro), rincorrendo, invece, a produzioni provenienti da ogni parte del mondo. Un atteggiamento che rileva la scarsa considerazione degli sforzi fatti dai produttori italiani, specialmente in termini di miglioramento qualitativo.
 
Il Gie della Cia ha lanciato un appello al governo e al ministro delle Politiche agricole Luca Zaia per un deciso impegno a valorizzare le produzioni locali qualitativamente interessanti per ricostituire delle scorte di cereali anche nel nostro Paese. Non basta, però, migliorare la qualità se non si è in grado di conservare al meglio le produzioni.