Continuiamo la disamina del position paper dell'International Society of Doctors for Environment (Isde) sugli ipotetici effetti degli impianti di biogas sulla salute pubblica (Prima parte e Seconda parte). La Sezione 3, "Emissioni di inquinanti in atmosfera", è quella più corposa e densa di citazioni bibliografiche da analizzare. Le prime tre righe sventolano il solito allarmismo sui possibili cattivi odori e rischi sanitari, citando uno studio cinese su uno specifico impianto di trattamento di Forsu, difficilmente estrapolabile alla situazione italiana. Per norma, in Italia detti impianti tengono in depressione l'area di pre processamento dei rifiuti e l'aria esausta passa attraverso una serie di biofiltri - talvolta anche scrubber chimici - che abbattono completamente i Voc, Composti Organici Volatili.
Va detto che i famigerati Voc si formano nei bidoni di raccolta durante la fermentazione della materia facilmente putrescibile, quindi, nell'ipotetico caso in cui ci fossero tali emissioni, queste si troveranno a prescindere dal fatto che l'impianto sia di digestione anaerobica, compostaggio o incenerimento. L'argomento delle emissioni di Voc è dunque tendenzioso e di stampo allarmistico.
Il secondo rischio paventato dagli autori dell'Isde è quello microbiologico. Come in altre sezioni del documento, la "prova" sarebbe la solita meta analisi, in questo caso di sole diciannove pubblicazioni: "Secondo questa analisi assolutamente non trascurabile sarebbe anche l'esposizione microbiologica a batteri, funghi ed endotossine, caratterizzati da elevata attività biologica e resistenza termica. Nell'analisi citata si sottolinea come risiedere in prossimità di impianti a biogas sia associato alla comparsa di malattie respiratorie croniche, allergie, irritazioni delle mucose [20]. Tamburini M, Pernetti R, Anelli M, Oddone E, Morandi A, Osuchowski A, et al. Analysing the Impact on Health and Environment from Biogas Production Process and Biomass Combustion: A Scoping Review. International journal of environmental research and public health. 2023;20" (per chi fosse interessato, il testo completo è accessible in questa pagina.
L'approccio statistico di tale meta analisi lascia un po' desiderare in quanto odora di cherry picking: sono stati analizzati diciannove studi su un totale di oltre 2mila disponibili in letteratura. Alcuni sono di tipo epidemiologico, altri meramente ambientali. Secondo il paper, l'analisi indicherebbe (senza però dimostrare) la possibilità di effetti nocivi per i lavoratori e i residenti "vicini" agli impianti di biogas.
Dei diciannove paper presi in considerazione, solo tre riguardano impianti in Italia e non sono studi epidemiologici, quindi non dimostrano affatto alcun effetto sulla salute; si tratta solo di misurazioni puntuali di alcuni parametri. Da sottolineare che poiché nel database utilizzato per la meta analisi c'erano pochi studi specifici di impianti di biogas, gli autori hanno incluso studi simili condotti su impianti di combustione di biomasse e bioraffinerie, quindi il campione è stato analizzato "per analogia" e questo mina ulteriormente la credibilità di un tale studio.
Sorge inoltre spontaneo domandarsi: è ammissibile considerare applicabili all'Italia gli studi epidemiologici di impianti "vicini" a popolazioni in Paesi come la Thailandia, dove le epidemie sono frequenti anche laddove non ci sono impianti? E poi, cosa vuol dire "impianti vicini"? Vicini quanto? Per la legislazione italiana, gli impianti di biogas non possono trovarsi "vicini" alle abitazioni, ma non è stabilita una distanza minima, bensì dei criteri generali per la determinazione caso per caso delle aree idonee (allegato 3 del Decreto 10 settembre 2010, Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. (10A11230) (GU Serie Generale n. 219 del 18-09-2010).
La Corte Costituzionale ha bocciato un tentativo della Regione Veneto di introdurre distanze "a forfait", compresse fra 150-500 metri (sentenza n. 69/2018). Il fatto che gli autori dell'Isde sembrano ignorare - o volutamente sorvolare - è che in Italia è obbligatorio realizzare, di concerto con l'Istituto Superiore di Sanità, una Valutazione di Impatto Sanitario, ai sensi dell'articolo 23 del D.Lgs. 152/06 (Testo Unico Ambientale, testo attualmente in vigore in questa pagina), quando le tipologie degli impianti ricadano tra quelle elencate al punto 1 dell'allegato II alla parte seconda del suddetto D.Lgs. (centrali termiche o impianti di combustione superiori a 300 MW, e una lunga lista di tipologie impiantistiche, fra le quali non vengono menzionai né gli impianti di biogas né quelli a biomasse). Il legislatore non ha dunque ritenuto rilevante il rischio sanitario degli impianti di biogas, mentre invece ha definito dei criteri specifici per impianti eolici e fotovoltaici oltre certe taglie.
Da un punto di vista logico formale, ammesso e non concesso che in diciannove impianti di biogas o "assimilati" ci siano stati episodi di malattie fra i lavoratori e abitanti "vicini", bisogna considerare che nel mondo sono oltre 200mila gli impianti industriali di biogas in operazione, in cui non sono stati provati effetti di nessun tipo sulla salute. In termini statistici, il rischio per la salute pubblica degli impianti di biogas sarebbe dello 0,001%. Sembra alquanto curioso che un gruppo di medici cada nello stesso errore logico (o ricorra allo stesso argomento fallace) utilizzato dai no vax per "dimostrare" la pericolosità dei vaccini anti covid: "sono morte X persone dopo di aver ricevuto il vaccino", senza considerare i miliardi di persone vaccinate che non hanno riscontrato alcun problema.
Leggiamo nei paragrafi successivi della sezione in esame: "Una recente analisi condotta in impianti italiani ha registrato emissioni di formaldeide comprese tra 0.50 e 0.88 mg/Nm3 [30]. Queste concentrazioni sono di assoluto rilievo alla luce della classificazione della formaldeide come 'cancerogeno certo' (classe 1IARC), del valore guida stabilito dall'Oms già nel 1987 per la popolazione generale, pari nel breve termine a 0.1mg/m3 (media 30 minuti) [31] ed al valore guida proposto per esposizione cronica, pari a 0.21 mg/m3. Dunque i possibili sforamenti dei limiti di legge per la maggiore parte delle emissioni e la presenza della formaldeide dovrebbero costituire motivo sufficiente a spingere il legislatore a vietare la combustione del biogas in loco".
Il primo riferimento bibliografico citato è "[30] Benato A, Macor A, Rossetti A. Biogas engine emissions: standards and on-site measurements. Energy Procedia. 2017; 126:398-405". Il lettore interessato può verificare che lo studio, oltre ad essere un po' datato, è limitato al monitoraggio di dieci impianti, ovvero rappresenta solo lo 0,5% del parco nazionale, e inoltre tutti e dieci sono motori marchio GE entrati in servizio cinque anni prima della pubblicazione del paper. Quindi tale studio non si può considerare statisticamente rappresentativo del parco italiano di cogeneratori a biogas, dove ci sono diversi alti marchi oltre alla GE. Contrariamente a quanto suggerito dall'Isde, lo studio in questione mette bene in chiaro che tutti gli impianti presentavano emissioni (sottinteso, misurate al camino!) ben al di sotto dei limiti di legge. Gli autori dell'Isde si sono soffermati sulle emissioni di formaldeide, sottolineando che si tratta di "cancerogeno certo" (vero), senza però riportare il dato più importante, ovvero che le emissioni sono state misurate al camino dell'impianto, ben lontano dalle persone.
I limiti di esposizione, che a dir loro vengono superati dagli impianti, si applicano invece per l'aria negli ambienti abitati. Di certo nessuno andrà a respirare una boccata d'aria vicino al tubo di scarico di un motore endotermico. Per poter parlare di pericolosità per la popolazione, i medici anti biogas dovrebbero dimostrare che, nelle abitazioni vicine agli impianti, la concentrazione di formaldeide supera i limiti di norma, cosa matematicamente impossibile perché tale concentrazione, che è appena di poche parti per milione all'uscita del camino, diminuisce col quadrato della distanza dal punto di emissione. Già a 100 metri dal camino la concentrazione sarebbe quasi impossibile da rilevare. Possiamo dunque ragionevolmente concludere che il pericolo paventato dai medici anti biogas è del tutto inesistente.
Il secondo riferimento bibliografico è: "[31] Binetti R, Costamagna FM, Marcello I. Development of carcinogenicity classifications and evaluations: the case of formaldehyde. Annali dell'Istituto Superiore di Sanità. 2006; 42:132-43". Il paper in questione non c'entra niente con le emissioni degli impianti di biogas. Si riferisce al rischio per le persone esposte alle esalazioni di formaldeide nella loro attività professionale (ad esempio, l'utilizzo di colle alla formaldeide in processi produttivi industriali). Senza entrare nel merito della validità degli studi epidemiologici, che lo stesso studio sottolinea molto variabili, è ragionevole ammettere come validi i limiti di sicurezza proposti. Bisogna però dimostrare che tali limiti vengano raggiunti nelle aree abitate nelle vicinanze degli impianti. E inoltre, un ipotetico studio sull'argomento dovrebbe anche accertare l'assenza di mobili e pavimenti in legno lavorato con colle alla formaldeide, fonte di gran lunga più rilevante di quanto non lo sia un impianto posto a centinaia di metri.
Il riferimento a "possibili sforamenti" dei limiti di legge è il solito processo alle intenzioni, di stampo complottista, al quale ormai ci hanno abituato i "comitati del no" in tutti gli ambiti delle attività produttive, non solo gli impianti di biogas. Che logica ha vietare a priori la costruzione di un impianto per ipotetiche emissioni delle quali non si ha certezza assoluta, e la cui probabilità è facile dimostrare che sia praticamente nulla?
Una consistente sezione del capitolo sulle emissioni è dedicata agli NOx. Sebbene la maggior parte dei concetti espressi sia vera, il problema è stato magnificato un po' troppo. Nella Pianura padana, gli episodi di superamento dei limiti di NOx hanno origine nella elevata densità del traffico veicolare, elevata densità abitativa con le caldaie di riscaldamento associate ad essa, combinate con particolari condizioni orografiche che ne limitano la dispersione degli inquinanti. Il contributo degli impianti di biogas è una goccia in un mare. Il fatto che due impianti su un campione di sei nella provincia di Padova abbiano sforato i limiti legali durante una verifica puntuale non significa che la stessa proporzione di impianti fuori norma si applichi ai 2mila in operazione sul territorio nazionale.
Analizzando il contenuto del riferimento bibliografico citato dall'Isde, il testo dice che le emissioni dei motori alimentati a biogas sono come quelle di qualsiasi altro impianto alimentato a gas naturale. Nella pratica, però, i motori a biogas moderni sono dotati di centraline che regolano la carburazione in modo da limitare la formazione di NOx (si veda ad esempio la scheda tecnica di un modello di un noto costruttore, depositata presso il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica). Il limite legale per le emissioni di NOx è di 500 mg/Nm3 di fumo secco con 5% di O2 (Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, detto Testo Unico Ambientale già citato prima).
Secondo un articolo del Consorzio Monviso, sebbene la maggior parte dei motori moderni emetta valori minori, tale limite potrebbe essere superato in impianti vecchi o con manutenzione carente. Nei casi estremi è comunque possibile abbattere completamente le emissioni di NOx installando dei sistemi di trattamento dei fumi a base di urea.
Come si può apprezzare dalla Foto 1, i dati ufficiali indicano che le emissioni di NOx sono attualmente al di sotto degli obiettivi imposti dall'Unione Europea per il 2020 e non siamo distanti dagli obiettivi per il 2030. Le affermazioni dell'Isde su questo argomento, sebbene parzialmente vere, sono esagerate ed allarmistiche, in quanto il problema non è imputabile agli impianti di biogas.
Spunto di riflessione: il numero degli impianti di biogas è passato da duecentosettantatré nel 2010 a circa 2mila nel 2024. Eppure, secondo i dati l'Ispra, le emissioni di NOx sono calate di circa il 40% nello stesso periodo.
L'andamento delle emissioni di NOx in Italia
(Fonte foto: Dati ufficiali dell'Ispra)