Come accade per una sbronza, è passata anche l’euforia dell’anno scorso per l’incremento dei prezzi cereali. Lasciando pure un brutto mal di testa: dopo l’impennata del 2008 i prezzi sono infatti ritornati a livelli non lontani da quelli degli anni precedenti. Ass.In.Cer. (Associazione Intersettoriale Cereali e altri seminativi) mette quindi sul tavolo il crudo scenario che grava sul mercato cerealicolo mondiale e nazionale. Non è certo la prima volta che tali argomenti vengono sviscerati: ciclicamente l’urlo di dolore dei cerealicoltori si leva alto lungo la filiera, una filiera che spesso fa figli e figliastri. Una filiera che spesso sembra venga nominata solo perché “suona bene”, ma che nella realtà premia in modo alquanto dispari le differenti componenti. I produttori cioè, come spesso accade anche in altri settori agricoli, sono il fanalino di coda della catena di trasporto del valore, mentre trasformatori, industria e GDO spartiscono fette ben più ricche di una torta che a tratti sembra essere venuta un po’ male.
 
Nel convegno, moderato da Giovanni Rizzotti dell'Informatore Agrario, si sono susseguiti numerosi qualificati interventi (vedi file allegati). Interventi che hanno fornito panoramiche sull'andamento delle produzioni nei Paesi del centro Europa, degli USA e dell'ex-blocco dell'Est. Con un occhio anche alle soglie dei prezzi d'intervento che la Commissione UE ha fissato per la prossima campagna. Restando focalizzati sul Bel Paese, i dati salienti sono stati forniti da Ismea.
Carla Corticelli, presidente di Ass.In.Cer., presenta l’intervento di Cosimo Montanaro di Ismea, purtroppo assente. Lo fa iniziando proprio dai prezzi ottenuti in Italia per il cereali nel IV trimestre 2008: 225 €/t per il duro , 173 per tenero e 143 per il mais, con una diminuzione verso il 2007 del -48% per il duro e del -36% per tenero e mais. Avversità climatiche e parassitiche hanno abbattuto anche le rese, le quali sono state mediamente basse. Il segno meno va in quasi tutte le Regioni, ma per la Sardegna ci sono addirittura un -52% per la resa media e un -21,8% per gli ettari coltivati. A livello nazionale si stima quindi per il 2009 una superficie a tenero di 694.000 ha, con 4,6 t/ha di produzione media. In tal caso la produzione complessiva sarebbe di 3,19 MM Tons. Per il duro si prevedono invece 1,24 MM ha, con rese intorno alle 2,5 Tons/ha (3,145 MM Tons prodotte). Mentre la diminuzione degli ettarati appare quindi contenuta per il tenero (-1,1%) quella per il duro spicca per il suo -21,8%. Anche per l’orzo è prevista una diminuzione del 7,2% della superficie, con 2,8 t/ha di rese e produzioni pari a 858.000 tons. Per il Mais, infine, siamo scesi ormai sotto il milione di ettari (995.000 ha), e la resa è di 8,6 t/ha. Complessivamente, nel 2009 produrremo circa 8,5 MM di tons. Un calo del -13% rispetto al 2008, a fronte di una riduzione minima di superfici. La paura di avversità naturali appare quindi molto alta.
 
Aperto il dibattito, lancia subito il guanto Bruna Saviotti, di Apsov Sementi: i dati sono per la Saviotti sempre troppo diversi gli uni dall’altri, dal momento che Istat e Ismea danno sempre numeri differenti. L’Agea, sempre secondo la Saviotti, fornirebbe inoltre dati diversi sulle semine rispetto a Istat. All’estero vengono invece forniti dati univoci. Gli operatori italiani fanno quindi fatica a lavorare in queste condizioni. Inoltre, i tempi consentiti alle coop francesi per mantenere il prezzo fissato sono più ridotti: in Italia esiste invece un conto deposito che tende all’infinito. Bruna Saviotti, circa i Paesi ex-PECO, appare scettica sul raggiungimento dei livelli produttivi ipotizzati. Gregorio Matteucci è invece un agricoltore: lamenta anch’egli dati troppo ballerini, dati sui quali le borse operano in modo a volte non vantaggioso per i produttori. “Di investire non me la sento” - rincara Matteucci - “Puntare sulla qualità è impossibile: non si sa quali parametri verranno premiati l’anno dopo. Punto quindi tutto sul contenimento dei costi, adoperando meno fertilizzanti e agrofarmaci. Sono 20 anni che si parla: o facciamo, oppure smettiamo di fare chiacchiere”. Gliene diamo atto.

Grandi sfoghi contrapposti fra confagricoltura e industria molitoria. Vergati Vs. Pandolfi quindi: per il primo è soprattutto la politica che dovrebbe tutelare di più il cittadino e il produttore italiano. Per il secondo sono le esigenze quantitative e qualitative che costringono a ingenti importazioni dall’estero.

Conclude la sessione Giorgio Stupazzoni, professore emerito dell'Università di Agraria di Bologna: “I fossi hanno sempre due sponde” - ricorda - “e le colpe non stanno mai da una parte sola”. “Da tredici anni si parla di qualità e di stoccaggio differenziato” - prosegue - “come pure si è parlato sempre di pezzi del sistema, ma non di sistema”. Per Stupazzoni la parte agricola non ha la forza contrattuale, come invece ce l’ha la GDO. E il patto diventa perciò “leonino”. La saggezza distillata nel tempo, fa concludere a Stupazzoni come il pessimista sia solo un’ottimista che però sa già come va a finire.
Quindi, molti numeri e molte parole al convegno Ass.In.Cer. Parole e numeri, il tutto avvolto in una spirale perversa per la quale finché non cambieranno i numeri non potranno cambiare le parole, come pure finché non si muteranno le parole in azioni non potranno cambiare i numeri.