L'agricoltura di precisione stenta a decollare in Italia. Le superfici gestite in un'ottica 4.0, di integrazione cioè tra dati e macchine, riguarda solo una minima parte della superficie coltivata, meno dell'1%. E le aziende più innovative sono una esigua minoranza e si concentrano molto sul settore vitivinicolo.

Eppure lo smart farming offre vantaggi su molteplici fronti. Si ha una razionalizzazione delle risorse che si traduce in una riduzione dei costi e in un aumento della qualità. Meno sprechi in azienda, quindi maggiori risparmi e più sostenibilità delle produzioni. Eppure per la maggior parte delle imprese investire in innovazione rimane un tabù. Da un lato c'è il timore di fare investimenti, soprattutto in una fase di mercato che vede prezzi bassi per le materie prime, dall'altro si è restii a cambiare modo di lavoro.

In questo quadro il contoterzista gioca un ruolo importante, anche in un'ottica di riforma della Pac che vede una contrazione degli aiuti diretti e spinge le aziende ad essere più efficienti. Le imprese che offrono servizi agromeccanici hanno infatti spesso le dimensioni per poter acquistare macchinari innovativi e offrire servizi di agricoltura di precisione alle piccole e medie aziende agricole, riuscendo ad ammortizzare i costi lavorando superfici elevate.

"Il problema è che molti agricoltori non ne vogliono sentire di sensori, mappe di prescrizione e agricoltura di precisione", spiega ad AgroNotizie Rossano Remagni Buoli, agricoltore e contoterzista nonché vicepresidente dei contoterzisti di Cremona (Apima). "Ogni anno c'è sempre qualche innovazione che viene lanciata sul mercato. Noi vorremmo offrirle agli agricoltori, ma spesso ci troviamo davanti dei muri".

Quali sono gli ostacoli alla diffusione dell'agricoltura di precisione?
"Da una parte il reddito, che cala costantemente. Oggi per chi fa seminativi è difficile andare avanti e quindi, solitamente, l'agricoltore cerca di ridurre le spese tagliando quello che pensa essere superfluo. Anche se così si entra in un circolo vizioso che abbassa la qualità del prodotto".

E poi?
"L'altra questione è l'età e la mentalità di molti agricoltori, che non vogliono sentir parlare di innovazione. Non tutte le persone avanti con gli anni sono refrattarie al cambiamento, questo è importante dirlo. Come non tutti i ragazzi sono pro-tecnologia. In generale serve un cambio di approccio all'agricoltura e la voglia di fare sistema per essere più forti sul mercato".

Che cosa fate nella vostra azienda agricola?
"Abbiamo 85 ettari nel Casalasco, tra Cremona e Mantova. Facciamo mais, frumento, pomodoro e altre colture minori".

Quali sono le tecnologie che avete adottato nel corso degli anni?
"Nel 2005 abbiamo implementato il satellitare sulle trebbie per mappare la produzione. Abbiamo poi allestito le due botti del diserbo con il sistema di guida satellitare in modo da evitare le sovrapposizioni. Da due anni abbiamo introdotto la guida RTK per le semine di precisione e quest'anno abbiamo comprato il drone per la lotta biologica alla piralide del mais".

Come viene usato?
"Lo utilizziamo per il lancio del Trichogramma brassicae, il parassitoide che attacca le uova della piralide, abbattendone la popolazione".

 


Il drone usato per la lotta biologica alla piralide del mais
(Fonte foto: Rossano Remagni Buoli)

Lo offrite anche come servizio?
"Sì, ma gli agricoltori sono scettici e preferiscono affidarsi alla chimica, che è certamente più semplice e immediata. Ma se si vuole innovare bisogna anche provare strade nuove e soprattutto applicarsi, studiare".

L'innovazione non dovrebbe semplificare la vita dell'agricoltore?
"Per imparare ad usare le nuove tecnologie serve studio e voglia di mettersi in gioco. La lotta biologica alla piralide è efficace se si fanno i lanci nel momento giusto. Per questo bisogna mettere le trappole in campo, seguire l'andamento meteo, fare dei sopralluoghi... è più complicato, ma ti permette di fare meno trattamenti".

Come si può incentivare la diffusione dell'agricoltura di precisione?
"Da un lato sicuramente serve ridare valore all'agricoltura italiana. Se il reddito cala è difficile che le aziende investano in innovazione. Ma la situazione non si risolve neppure sovvenzionando l'acquisto di tecnologie innovative. Il rischio è di avere bellissimi strumenti che però poi rimangono in rimessa perché non si sanno usare".

Serve anche formazione?
"Assolutamente sì e un cambio di mentalità, magari attraverso la promozione di esempi virtuosi. Conosco agricoltori che per trent'anni hanno trapiantato il pomodoro senza l'ausilio della guida parallela, pur conoscendone l'esistenza, e che l'hanno introdotta vedendola in azione nei miei campi".

La nuova Pac prevede un taglio delle risorse per quanto riguarda i trasferimenti diretti e invece, attraverso Horizon 2020, si ha un aumento dei fondi destinati all'innovazione. E' una cosa utile?
"La Pac è una delle ragioni di questa situazione. Da Bruxelles non incentivano un miglioramento agronomico e gestionale dei terreni. Gli aiuti dovrebbero essere dati a chi innova, a chi fa qualità e sostenibilità, a chi riscopre varietà antiche, di nicchia. Non possiamo pensare di fare agricoltura come si faceva nel Dopoguerra".

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