Ma poi si rischierebbe di far percepire l'articolo come una piccata difesa d'ufficio del proprio settore. Cosa che non è, anche se gli argomenti a favore delle tesi difensive sarebbero solide e numerose.
Oggi alcune parole vanno invece spese a porte chiuse, cercando di lavare i panni sporchi in casa. Un lavaggio che, guarda caso, richiede proprio l'uso di acqua.
Può capitare infatti di vedere irrigare i campi e restare basiti.
Irrigare è pratica normale, si potrebbe dire. Normale se non ci fossero spettacoli come quelli offerti dalla foto d'apertura, scattata lungo la ciclabile che costeggia il Po a mo' di confine fra le province di Piacenza e Lodi. Un "cannone" spara acqua sulla strada e sulla costa della ciclabile. Senza un motivo, se non l'incompetenza e la cialtronaggine dell'agricoltore cui pare che l'acqua la regalino.
Nel frattempo, si possono scattare altre immagini emblematiche, come quella del fiume Adda, a pochi chilometri dal luogo del misfatto idrico di cui sopra. Una larga e lunga lingua di sabbia campeggia nel bel mezzo del fiume, sotto al ponte che divide Crotta d'Adda da Maccastorna. Nello stesso punto, in autunno, l'acqua era esondata fino a invadere non solo le casse di espansione, ma anche i campi.
E per un centinaio di metri buoni, peraltro. Un dislivello fra il massimo autunnale e il minimo estivo di quasi otto metri.
Escursioni di questo tipo fanno pensare a due cose: la prima, relativa al massimo livello toccato, fa ripensare a tutti coloro che attaccano in modo sguaiato gli allevamenti, colpevoli a parer loro di consumare troppa acqua. La seconda, indotta dal minimo di luglio, fa pensare invece a quanto gli agricoltori debbano responsabilizzarsi al fine di tutelare fiumi e canali, disarmando proprio i demagoghi ideologizzati che immancabilmente sputano sul lavoro di chi riempie gli scaffali di salumi, carni, latte e formaggi.
17 luglio 2015: desolanti i livelli di acqua bassa del fiume Adda in corrispondenza di Crotta d'Adda (Cr)
I livelli del fiume Adda sono quasi otto metri al di sotto dei massimi toccati durante le esondazioni d'autunno 2014, quando i campi sullo sfondo erano completamente sommersi dalle acque
Una serie di domande va quindi posta al settore tutto: ha ancora senso, oggi, usare pompe e turbine per allagare i campi con irrigazioni a scorrimento che sprecano più della metà dell'acqua immessa in campo? Probabilmente no, anche pensando che a causa di tali inondazioni artificiali una parte cospicua di erbicidi e di nitrati viene dilavata dal suolo, finendo poi nelle falde e nei fiumi e gonfiando le polemiche, tanto per cambiare, contro la chimica agraria.
Ha ancora senso, oggi, usare cannoni e rotoloni, specialmente in modo barbaro, come visto, quando vi sono installazioni ad ala gocciolante, capaci di erogare solo l'acqua che serve, dove serve e nei minimi quantitativi che servono? La risposta è probabilmente ancora no. Perché quando una tecnologia c'è, logica vorrebbe che si utilizzasse e s'incentivasse. Soprattutto sapendo che in Italia si spendono più di 13 miliardi di euro all'anno per sussidiare pannelli solari et similia.
Vero che l'atmosfera va preservata dalle emissioni di anidride carbonica, ma è anche vero che l'acqua non è meno importante dell'aria e preservarne quantità e qualità non può esser visto come obiettivo figlio di un Dio minore. Parole e allarmi sulle acque, infatti, sono sempre tanti. Investimenti concreti, invece, pochi. Per lo meno, languono su livelli ampiamente inferiori a quelli che dovrebbero essere erogati in funzione del clamore mediatico che a tale problema viene dedicato.
Con un decimo dei sussidi erogati per le fonti rinnovabili di energia si potrebbe infatti incentivare gli agricoltori all'acquisizione di impianti irrigui tecnologicamente evoluti, con grande beneficio per l'ambiente e per le colture. Il taglio agli emungimenti idrici da laghi e fiumi sarebbe sensibile, come pure il taglio dei fenomeni di leaching e di run-off di agrofarmaci e fertilizzanti. Perché questi nelle falde non ci arrivano mica da soli, ma perché trascinati proprio dalle acque in eccesso. Contro quelle piovane nulla si può fare, mentre ampi sono i margini di miglioramento nel limitare gli effetti delle acque irrigue sulle contaminazioni ambientali da agrochimici. E ciò forse renderebbe molto meno pressanti anche le limitazioni d'uso che le recenti normative europee hanno deciso a carico dei mezzi di difesa e di nutrizione, visti troppo spesso come unici bersagli da colpire con bandi e veti.
Si mediti quindi sull'approccio con cui gli incentivi agli agricoltori vengono attualmente strutturati, perché a volte i risultati migliori si ottengono investendo su fronti diversi da quelli abituali, tendenzialmente castranti, incentrati solo sul taglio delle molecole chimiche. Tagli che spesso paiono concepiti più per placare le istanze ambientaliste che per ottenere risultati concreti.
Nel frattempo, non resta che confidare in Giove Pluvio, perché doni alle campagne e ai fiumi quell'acqua di cui entrambi così tanto necessitano.
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Fonte: Agronotizie