Allarmismo sprecato

Che da tempo ci sia tensione sui mercati mondiali per l'approvvigionamento di soia e cereali è cosa nota.
I prezzi di grano, mais e soia sono schizzati verso l'alto e il conflitto fra Russia e Ucraina ha accentuato i rincari.
L'argomento è così finito al centro della rubrica Dataroom firmata da Milena Gabanelli e Michelangelo Borrillo per le pagine de ll Corriere della Sera del 21 marzo.
Peccato che i toni usati per descrivere il tema siano stati, questo il mio parere, inutilmente allarmistici.

 

Il timore di rimanere senza pane e pasta è, per fortuna, ancora assai lontano.
Semmai siamo di fronte a un problema di carattere economico.
Le derrate agricole costano di più e inevitabilmente il loro maggior costo, come pure l'aumento della bolletta energetica, finirà per pesare sulle tasche dei consumatori, questo sì.
Preoccuparsi che il mais possa prendere il posto del pomodoro, aprendo le porte all'"oro rosso" prodotto in Cina appare pretestuoso.

Se in Italia la produzione di mais è crollata, è solo perché la concorrenza del prodotto di importazione ha messo fuori gioco la produzione nazionale, che ora può riprendersi i suoi spazi.
I pomodori del Belpaese non corrono rischi.
E il glifosate, citato nell'articolo come un futuro pericolo per l'aumento delle importazioni di grano da Oltreoceano, c'entra davvero poco.
Come poco c'entrano gli Ogm.
E ancor meno i timori per l'impiego di letame e digestato al posto dei concimi, che forse verranno a mancare. Insomma, un allarmismo sprecato.


Manca l'acqua

Il 22 marzo si è celebrata la giornata mondiale dell'acqua, argomento al quale QN ha dedicato un ampio articolo firmato da Achille Perego, che ha puntato l'attenzione sulle conseguenze per l'agricoltura di questo periodo siccitoso.
I danni, secondo alcune stime, assommano a un miliardo di euro, senza contare le conseguenze dell'acqua salata che risale nell'entroterra per la scarsa portata dei fiumi.
Un pericolo particolarmente sentito nell'area del Delta del Po, a forte concentrazione di colture ortofrutticole e cereali.

 

Per orzo e frumento si rischia sia compromessa la fase di accrescimento mentre per il mais si avvicina la stagione di semina, ma le lavorazioni sono complicate dall'eccessiva aridità dei terreni. 
Questo della siccità è un problema con il quale occorre misurarsi anche in futuro, come conseguenza dei cambiamenti climatici.
Motivo per il quale si rende pressante la richiesta di predisporre bacini di accumulo.
A questo proposito l'articolo ricorda il progetto ideato e ingegnerizzato con Anbi, Terna, Enel, Eni e Cdp per la realizzazione di una serie di piccoli invasi a basso impatto paesaggistico. 


Rischio povertà 

Se i mercati delle materie prime erano già da tempo in fibrillazione, con aumenti continui delle principali commodity agricole, il conflitto in corso ha accentuato a dismisura queste tensioni di mercato.
Le forniture sui mercati mondiali non sembrano a rischio, ma le conseguenze sui prezzi sono enormi e si rifletteranno sui costi che i consumatori dovranno sostenere.

Più che una scarsa disponibilità di alimenti, il timore è quello di un aumento della povertà.
Un rischio che è stato al centro del dibattito da parte della Commissione europea, sul quale si sofferma l'articolo di Marco Bresolin su La Stampa del 23 marzo.

 

Per evitare che la crisi dei prezzi si trasformi in una crisi delle forniture, si legge nell'articolo, la Commissione chiederà agli Stati membri di comunicare ogni mese i dati sulle scorte di materie prime.
Al contempo ci saranno deroghe, ma solo temporanee, per allentare i vincoli previsti dagli obiettivi del Green Deal.
Intanto si cercheranno vie alternative per ridurre la dipendenza dai fertilizzanti provenienti dalla Russia, in particolare potassio e fosfati.


Rimedi inadeguati

L'Europa cerca di correre ai ripari per fronteggiare le conseguenze che il conflitto genera sui mercati delle materie prime.
Secondo quanto scrive Carlo Cambi sulle pagine de La Verità del 24 marzo, le scelte della Commissione europea sono però del tutto inadeguate.
Colpa di una visione ideologica, dettata dalle lobby ambientaliste, che hanno come punto di riferimento il ministro tedesco all'Agricoltura Cem Ozdemir, definito come un "ultras del veganismo ambientalista".
Sua l'idea di consumare meno carne perché il grano finisce nelle mangiatoie degli animali.
Cosa non vera, ma utile a sostegno della "causa verde".

 

Dall'Italia, per voce del ministro per le Politiche agricole, Stefano Patuanelli, giunge invece la richiesta di mettere a coltura i terreni ora a riposo e che sia sospesa la rotazione, oltre alla possibilità di utilizzare come concimi i digestati derivanti dalla produzione di biogas.
Richieste accolte solo in parte e temporaneamente.

Severo il giudizio espresso da Luigi Scordamaglia di Filiera Italia, secondo il quale questa risposta mostra come la Commissione abbia scarsa consapevolezza della gravità della situazione, che si abbatterà sulle fasce più deboli della popolazione.
Interventi inefficaci anche per colpa della mancata rimozione dell'obbligo del numero minimo di colture per azienda.
Nemmeno lo sblocco dei terreni a riposo, circa 200mila ettari, sarà di aiuto, almeno per questo anno, visto che per il grano la stagione delle semine è stata abbondantemente superata.


Chi pagherà la crisi

Nove miliardi di euro, quasi 16mila euro per ogni azienda agricola. 
E 'il costo che graverà sulle aziende agricole in conseguenza dell'aumento dei prezzi dei principali fattori produttivi.
Sono queste le conclusioni alle quali è giunto il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura) citato da Annamaria Capparelli su Il Quotidiano del Sud del 25 marzo.
Come precisato nell'articolo, per questi conteggi sono state prese in considerazione solo sei voci di costo: fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi, fitosanitari e noleggi.

 

Le aziende più penalizzate risulterebbero quelle specializzate in seminativi e poi le imprese zootecniche, in particolare della filiera del latte.

In conseguenza di questi aumenti dei costi l'11% delle aziende potrebbe essere costretta alla chiusura.
Una situazione resa ancor più grave dalle conseguenze del conflitto fra Russia e Ucraina, che ha fatto "impazzire" i prezzi delle materie prime.
Le conseguenze, insieme al minore raccolto che si prevede in Ucraina, porterà a forti tensioni non solo in Europa e in Italia, ma anche nel continente africano, generando derive di fame e carestie
Anche in Italia, conclude l'articolo, la situazione potrebbe portare a un aumento delle persone in difficoltà per l'acquisto di beni essenziali come il cibo. 


Nodi cruciali

Per fare fronte all'impennata dei prezzi dei cereali, l'Unione europea ha dato il via libera a coltivare i terreni, circa nove milioni ettari, 200mila dei quali in Italia, altrimenti obbligati a "riposo" come previsto dalla riforma della Pac (politica agricola comunitaria).
Misure che saranno sufficienti a risolvere il problema?
Tenta una risposta a questa difficile domanda Micaela Cappellini dalle pagine de Il Sole 24 Ore del 26 marzo, interpellando vari protagonisti della filiera cerealicola.

 

Per Emilio Pellizzari, di Agriberica, cooperativa del basso vicentino, piantare altro mais ora è rischioso, i costi sono alti e a settembre i prezzi potrebbe essere scesi dall'attuale picco.

L'articolo prosegue ricordando che non c'è nemmeno certezza sulla reale disponibilità di terreni resi liberi per la coltivazione di cereali.
Per Coldiretti si tratta di 200mila ettari, che salgono a 300mila per Confagricoltura, ma altri parlano di appena 60-70mila.
Per di più il mais, ricorda Vincenzo Lenci di Confagricoltura, non si può coltivare ovunque, serve acqua e disponibilità irrigue.
In Friuli Venezia Giulia, racconta Daniele Castagnaviz di Granaio Friulano, nelle zone con minori disponibilità di acqua si prevede per il mais un calo del 20%.
Torna sul tema della convenienza il presidente della Cia, Dino Scanavino, mettendo in evidenza che oggi coltivare mais può costare 300 euro per tonnellata.
Se i prezzi torneranno ai valori medi di 190-200 euro, per gli agricoltori sarebbe una perdita insostenibile.


Il latte nella bufera

Quella che si sta delineando sui mercati assomiglia sempre più a una tempesta perfetta che sta per abbattersi sulle stalle italiane.
Lo afferma Gianpiero Calzolari, presidente del gruppo Granarolo, intervistato da Isidoro Trovato per le colonne del Corriere della Sera del 27 marzo.
Colpa degli aumenti dei costi dei mangimi, unito a quello dei fertilizzanti e dell'esplosione della bolletta energetica.
I costi di produzione aumentano di conseguenza, mentre la distribuzione organizzata continua a lanciare messaggi dove si annunciano sconti e prezzi fissi, due condizioni incompatibili.

Nessuno sembra rendersi conto, afferma Calzolari, che siamo già dentro a un'economia di guerra, che non ammette proposte di 3x2.
Sono tempi difficili e tutti devono prenderne atto.

 

Intanto il gruppo Granarolo ha deciso di riconoscere agli allevatori un prezzo minimo alla stalla di 48 centesimi per ogni litro di latte, al quale aggiungere Iva e premi qualità.
Grazie a forti investimenti le stalle italiane hanno ottimizzato la produzione di latte portando l'Italia vicina all'autosufficienza, ma proprio le stalle che più hanno investito in miglioramenti sono quelle che oggi rischiano di più e sono in crisi di liquidità.
Per questo, conclude l'articolo, per il mondo del latte diventano determinanti moratorie sui mutui per chi in questi anni ha investito per renderci autonomi dal latte estero.


"Di cosa parlano i giornali quando scrivono di agricoltura?"
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