Comoda, duttile, adatta a una molteplicità di usi, ma praticamente eterna. Per tale ragione, nonché per gli usi moltiplicatisi negli ultimi decenni a livello globale, la plastica è diventata uno dei problemi ambientali più preoccupanti al fianco del riscaldamento globale.
Non solo per le isole di plastica negli oceani, però. Scenari di cui ormai da tempo si parla. Poiché gran parte di quella plastica non è mica stata usata in mare e ivi gettata. Si calcola infatti che il 90% della plastica che oggi impesta i mari provenga da soli dieci grandi fiumi concentrati soprattutto nel Sudest asiatico. Ma anche in questo caso, i fiumi hanno solo fatto da tramite, perché la plastica è stata usata sulla terraferma da una molteplicità di individui.
Certamente, i volumi di bottiglie, sacchetti e oggetti vari prodotti dalle città è preponderante sul totale, però anche l'agricoltura contribuisce in modo significativo, sottovalutando spesso il proprio ruolo di inquinatore più o meno inconsapevole.
In tal senso, il grido d'allarme lo ha lanciato la Fao, con un report dal titolo "Assessment of agricultural plastics and their sustainability: A call for action".
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In sintesi, vengono presentati i risultati di uno studio elaborato sui prodotti di plastica impiegati in agricoltura a livello globale. Il report abbraccia un'ampia gamma di differenti catene del valore, valutando le tipologie e le quantità di prodotti e identificando le alternative supposte maggiormente sostenibili al fine di ridurre il potenziale inquinante di questi materiali a danno della salute umana e dell'ecosistema.
Il rapporto si basa su dati derivati da articoli scientifici sottoposti a revisione paritaria (peer review), ma anche da rapporti di ricerca di organizzazioni governative e non governative, nonché su pareri di esperti del settore, compresi gli organismi commerciali competenti. Le raccomandazioni del rapporto sono state verificate tramite un'ampia consultazione e revisione con la Fao e con esperti esterni. Gli autori del report sperano che ciò possa ampliare e rafforzare la discussione sull'uso della plastica in agricoltura.
La plastica agricola in cifre
Per l'anno 2019 ammonterebbero a 12,6 milioni di tonnellate i prodotti plastici utilizzati dalle varie filiere agricole e zootecniche, inclusive delle attività di pesca. Il triplo di questa cifra, però, cioè 37,3 milioni di tonnellate, è rappresentato dagli imballaggi alimentari. Soluzioni, queste, rese necessarie dalla catena di distribuzione del cibo basata soprattutto sui supermercati ove i prodotti vengono venduti confezionati su plateau di plastica o polistirolo, avvolti da film plastici atti a prolungarne la freschezza. Un punto sul quale sarebbe quindi bene investire al fine di individuare soluzioni sostitutive.
Relativamente alla sola agricoltura, in testa alla classifica per gli usi di plastica si posizionano le serre, con un impiego di 3,5 milioni di tonnellate. Subito dopo i film per la pacciamatura, con 2,5. Terzo gradino del podio ai film di protezione delle balle di foraggio che rappresentano comunque 1,4 milioni di tonnellate.
Gli imballaggi degli agrofarmaci ammonterebbero a 300mila tonnellate, mentre quelli dei fertilizzanti si fermerebbero a 100mila. Sulle 200mila tonnellate invece le strutture a sostegno e protezione degli alberi. Infine, fra le varie ed eventuali compaiono le tubazioni degli impianti di irrigazione, più quelle per il drenaggio o similari, nonché le reti e gli spaghi di varia natura. Messi tutti insieme rappresentano comunque 2,5 milioni di tonnellate.
Il totale è quindi di 10,5 milioni di tonnellate per l'agricoltura, contro i 2,1 milioni di tonnellate rappresentate dalle reti da pesca e da altre soluzioni impiegate in questa attività primaria. Va però segnalato come le differenti plastiche abbiano anche un impatto diverso sull'ambiente. Se gli imballaggi degli agrofarmaci vengono ampiamente riciclati, per esempio, le reti da pesca abbandonate in mare causano veri e propri disastri alla fauna marina.
Una proiezione al 2030
Purtroppo le cose non sembrano volgere al meglio. Sempre secondo gli esperti Fao, per esempio, entro il 2030 gli impieghi di film plastici come quelli per le serre, pacciamature e insilati potrebbero aumentare fino al 50%, trainati soprattutto dai Paesi asiatici in pieno sviluppo economico e agricolo. Un problema non da poco, visto che come detto già oggi l'input nei mari di rifiuti plastici deriverebbe in buona parte dalle medesime aree geografiche.
Piccolo non è meglio
A preoccupare ulteriormente gli esperti Fao sono le microplastiche, ovvero quei frammenti dalle dimensioni inferiori ai cinque millimetri che vengono prodotti dal disfacimento meccanico dei rifiuti plastici di grandi dimensioni. Secondo però un'indagine svolta dal Galway-Mayo Institute of Technology, in Irlanda, il 94% di questi apporti ai mari deriverebbe soprattutto dalle lavatrici e dal consumo dei pneumatici sull'asfalto.
Circa le prime, esse le estrarrebbero dai capi sintetici di polietilene e di nylon. L'attrito durante il lavaggio asporterebbe infatti migliaia di piccoli frammenti a ogni ciclo, talmente piccoli da non essere trattenuti dai filtri. Abbastanza intuitivo il contributo stradale, pensando ai milioni di tonnellate di gomma che ogni anno passano dalle ruote dei veicoli all'ambiente. Alcuni di essi divengono polveri sottili e diffonderebbero in aria, altri, di maggior diametro, contribuirebbero invece all'inquinamento delle acque.
Bioplastiche come alternative
Oltre ovviamente a migliorare i vari processi di riciclo di tali materiali, al fine di mitigarne gli impatti sull'ambiente nel report della Fao si auspica l'espansione dell'uso di film e di altri materiali realizzati con bioplastiche, cioè biodegradabili. Un auspicio ovviamente condivisibile, magari creando di concerto anche dei parametri oggettivi di valutazione della biodegradabilità di ogni singolo prodotto proposto. Se infatti per una sostanza organica di sintesi, come per esempio un erbicida, esiste il DT50, ovvero il tempo di dimezzamento, bene sarebbe che qualcosa di simile venisse reso necessario anche per tutti quei prodotti che avessero l'ambizione di sostituire le plastiche convenzionali.
Pure una valutazione circa il loro destino ambientale sarebbe gradita, perché se il 50% di quanto utilizzato è sì sparito, magari anche in pochi mesi, ma solo perché si è frantumato fino al livello di microplastiche, il gioco non vale decisamente la candela.
Poiché dal trovare una soluzione a far finta di trovarla, la differenza è decisamente notevole.