In atmosfera la concentrazione di anidride carbonica è in costante aumento e questo, secondo la maggioranza degli scienziati, sta causando un surriscaldamento dell'atmosfera e uno stravolgimento del clima. Per fermare il processo è necessario smettere di immettere CO2 nell'aria e sottrarre anidride carbonica, ad esempio "sequestrandola" nel terreno.

Gli agricoltori possono giocare un ruolo fondamentale nel processo poiché alcune pratiche colturali (come la semina su sodo o l'iniezione nel terreno dei reflui zootecnici) contribuiscono a diminuire la carbon footprint del settore e a sottrarre CO2 libera nell'aria.
 
Si tratta di un business potenzialmente molto lucrativo per gli agricoltori, che potrebbero vedersi riconosciuti dei carbon credits per i propri servizi ecosistemici. Crediti vendibili sul mercato ad esempio alle aziende energivore, che per legge devono compensare le proprie emissioni.


Cinque barriere tra gli agricoltori e i carbon credits

Quello dei carbon credits di derivazione agricola è un mercato nascente, che dunque deve affrontare una serie di ostacoli prima di affermarsi e di scalare. Di questo si è discusso durante il World Agri-Tech Innovation Summit, l'evento che due volte l'anno (a Londra e a San Francisco), riunisce aziende, investitori, policy maker, farmer e ricercatori per immaginare il futuro dell'agricoltura.

Durante l'evento (9-10 marzo scorsi), di cui AgroNotizie è partner, una sessione è stata dedicata proprio alla carbon sequestration. Ne hanno discusso Sarah Nolet di Tenacious Ventures, Jenette Ashtekar di Cibo Technologies, Niall Mottram di Cambridge Consultants, Jim Thomason di Planet e Aldyen Donnelly di Nori.
 
Un momento della discussione durante il World Agri-Tech 2021
Un momento della discussione durante il World Agri-Tech 2021

Dalla discussione è emerso che ci sono cinque ostacoli che dovranno essere superati affinché il settore agricolo possa pienamente beneficiare dell'accesso al mercato del carbonio.

Trust chain. I mercati si basano sulla fiducia e anche quello del carbonio non fa eccezione. Chi compra dei crediti deve potersi fidare che il carbonio è stato effettivamente sequestrato nel terreno. In caso contrario non sarà disposto ad aprire il portafogli per acquistare crediti di dubbia origine. Per cementare la fiducia occorre sviluppare modelli per stimare in maniera precisa il sequestro di carbonio e sensori in grado di fornire dati certi ai modelli stessi.

La modellistica. E' irrealistico pensare di fare analisi del suolo ogni anno, al fine di stimare la CO2 sottratta all'atmosfera nei campi che adottano pratiche agronomiche utili al sequestro del carbonio. Bisogna dunque sviluppare dei modelli che sulla base di input quali il tipo di suolo, la coltura, le pratiche agronomiche, l'andamento climatico, gli input produttivi impiegati e tanto altro siano in grado di stimare il carbonio sequestrato nel terreno.

I dati. Per alimentare tali modelli servono dati certi. Alcuni possono essere immessi una tantum, come ad esempio le analisi del terreno, altri potranno essere forniti dall'agricoltore, ad esempio se impiega piattaforme digitali per la gestione del suo business. Altri potranno essere forniti da sensori. E in questo frangente lo strumento che si posiziona in pole position è il satellite in quanto riesce a mappare ampie superfici in poco tempo.

Ci sono attualmente diversi filoni di ricerca che provano a mettere in correlazione lo spettro elettromagnetico riflesso dal terreno (in particolare l'infrarosso) e la quantità di carbonio presente nel suolo.

Stabilità dei prezzi. Quando un'azienda agricola modifica il proprio business per inserirsi nel mercato dei carbon credits ha bisogno di avere delle sicurezze sul fronte del ritorno degli investimenti. E le fluttuazioni dei prezzi dei crediti di carbonio negli ultimi anni non aiutano. Si è passati dai pochi dollari alla tonnellata di CO2 a cifre molto maggiori e c'è chi pronostica che in poco tempo si arriverà a oltre 100 dollari. Risulta quindi difficile per un agricoltore prendere decisioni sulla base di prezzi così altalenanti.

Di chi è il carbonio? Bisogna poi capire se i crediti di carbonio vanno a chi possiede la terra o a chi la lavora. Da un lato si potrebbe pensare che i crediti siano di chi lavora il terreno, in quanto banalmente le pratiche conservative hanno dei costi di adozione e dunque l'affittuario deve essere remunerato per i maggior costi che affronta.

Ma se si vuole che la catena di fiducia si consolidi occorre che l'agricoltore si impegni a mantenere il carbonio sequestrato nel terreno nel tempo. Per capire la motivazione è bene fare un esempio. Se per dieci anni non si ara un terreno ci sarà della CO2 di derivazione atmosferica sequestrata sotto la superficie, ma se all'undicesimo anno si effettua un'aratura profonda tutto il carbonio ritorna in atmosfera.

Ergo, perché il sequestro sia effettivo deve durare nel tempo. E dunque è giusto che le pratiche di un affittuario vincolino il proprietario per un lasso di tempo potenzialmente molto maggiore rispetto al periodo di affitto?

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