Che sia scura o bionda, amara o aromatizzata al caramello, la birra sta entrando sempre di più nelle abitudini di consumo degli italiani.

Ad affermarlo è Assobirra monitor, il report quadrimestrale sull'andamento delle vendite in Italia registrate dalle imprese aderenti all'associazione dei birrai e dei maltatori. Il primo semestre 2018, che si è chiuso con una crescita del 4% rispetto all'anno precedente, conferma quindi un trend positivo per il settore.

Ad ampliare maggiormente il boom della birra sul suolo italiano anche la nascita di numerosi micro birrifici, come invece riporta l'annual report 2017 di Assobirra.

La definizione di piccolo birrificio indipendente viene fornita dall'articolo 35, comma 4 bis, della Legge 28 luglio 2016, n. 154, che riporta: "Si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200mila ettolitri".

Consulta la legge completa

A normare ulteriormente il settore, sempre nella stessa legge, viene fornita anche la spiegazione di birra artigianale, ovvero "la birra prodotta dai piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione".


Birra artigianale, tutela e abusi

A maggiore controllo del comparto, recentemente, è stato siglato un accordo tra Icqrf, l'ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Mipaaft, e Unionbirrai, l'associazione di categoria nazionale dei piccoli birrifici indipendenti italiani.

Tra gli obiettivi di questa collaborazione c'è, in primis, la tutela del prodotto.
Riprendendo in mano la definizione fornita dalla legge, il direttore generale di Unionbirrai Vittorio Ferraris spiega: "La microfiltrazione, il processo che elimina la carica batterica del prodotto, e la pastorizzazione cancellano le caratteristiche organolettiche del prodotto non rendendola più artigianale".

"Per tutelare maggiormente la birra – prosegue Ferraris – nel 2018 Unionbirrai ha introdotto il marchio di tutela, un logo che apparirà sulle etichette e sulla comunicazione dei veri birrifici artigianali indipendenti. Tra i punti di questo accordo siglato c'è anche la possibilità di segnalare all'ispettorato gli abusi nell'uso della denominazione birra artigianale".
Abusi che spesso vengono fatti dalle grandi aziende usando frasi o immagini fuorvianti.
 
Birre unionbirrai
(fonte: © Unionbirrai)


Birreria vs grande distribuzione

La partenza lascia presagire una strada in discesa, "grazie anche alla riduzione delle accise per i piccoli birrifici artigianali e l'introduzione di una tassazione agevolata per i birrifici la cui produzione non supera i 10mila ettolitri annui, previste nell'ultima legge di Bilancio" continua Ferraris; ma nonostante questo, la birra artigianale si trova davanti il colosso della grande distribuzione organizzata.

I prezzi, il marketing, la facile reperibilità e le lunghe scadenze permettono alle birre industriali di vincere a mani basse.
Infatti, ad oggi, la birra artigianale rappresenta solo il 3% dei consumi italiani; una breve shelf life e il rischio di deperimento a causa degli sbalzi di temperatura durante i trasporti influiscono nel grosso gap che si crea con le birre industriali per quanto riguarda l'asporto.

"Le birre artigianali sono rivolte ad un consumatore che va dai 30 ai 50 anni, con una buona capacità di spesa – afferma Ferraris – Se consumato in birreria o in un pub, il prodotto ha il suo riscatto in quanto spesso i prezzi sono simili alle birre prodotte da grandi aziende. Il vero problema è che in Italia manca proprio la cultura della birra e una filiera completa".


Dal campo alla bottiglia

Avvicendamento, semina, concimazione, diserbo e raccolta. Ma esattamente l'orzo come e quando diventa birra?
E' a questo punto che la filiera italiana si interrompe poichè, prima di diventare birra, l'orzo ha bisogno della maltazione
"Una fase che in Italia, se non in alcune rare eccezioni - continua Ferraris - non viene mai eseguita all'interno dell'azienda stessa in cui si produce l'orzo ma viene affidata a terzi, a volte anche all'estero".

"La maltazione è un processo di germinazione del malto" afferma il titolare Andrea Soncini del birrificio Oldo a Cadelbosco Sopra (Re).
Durante questa lavorazione il cereale subisce la trasformazione dell'amido contenuto nel chicco in zuccheri semplici. Una volta sviluppati questi enzimi, il chicco viene essiccato in modo da avere sia gli amidi che gli enzimi al suo interno.

"A seguito di questa trasformazione i malti possono essere trasformati in speciali - continua Soncini - A renderli tali sono dei trattamenti quali la tostatura, la torbatura e la cottura a fuoco che regalano al malto toni più scuri e aromi particolari".

Ma quali sono le sementi più adatte? 
"Presso il birrificio Oldo abbiamo sempre utilizzato due varietà di sementi: Concerto e Planet. Inoltre grazie al terreno collinare e molto argilloso sul quale coltiviamo non abbiamo bisogno di applicare tecniche di diserbo. L'unica caratteristica per la coltivazione dell'orzo è che questo sia di tipo distico" prosegue Soncini.

"Per quanto riguarda il tempo che ci vuole dalla semina al prodotto finale, in un clima freddo come può essere quello del Nord Italia si parte con una semina autunnale e, dopo tutte le fasi fino alla raccolta, solitamente il malto nuovo è pronto dopo un anno. Per le regioni con un clima più caldo invece si semina in primavera, la crescita più veloce anticipa quindi di qualche mese l'arrivo al malto nuovo" conclude il titolare.