C'è la Carta di Milano, l'eredità culturale di Expo a tutta l'umanità. Un documento che vuole fare il punto sul tema dell'alimentazione e delineare gli obiettivi da raggiungere su questioni fondamentali come l'accesso al cibo, la sicurezza alimentare e la sostenibilità. Ma al di là dei documenti, che una piccolissima minoranza dei 21,5 milioni di visitatori avrà letto, quello che rimane è la consapevolezza che l'Italia, nonostante tutto, ce la può fare e che il cibo non deve essere dato per scontato.
Alcuni hanno definito Expo un luogo a metà strada tra Disneyland e un centro commerciale.
In parte è vero: Expo è stato spettacolo, luci e fuochi d'artificio, padiglioni dalle architetture avveniristiche con all'interno il nulla. Ma è stato anche il teatro di migliaia incontri e dibattiti scientifici. Da soli Crea e Cnr hanno fatto miracoli, senza contare l'apporto di associazioni di categoria, centri di ricerca, aziende e Regioni. Ogni padiglione ha organizzato dibattiti, convegni e mostre. L'auditorium di Palazzo Italia non è mai stato vuoto.
E poi ci sono stati i giovani: oltre due milioni.
Ragazzi venuti con le scuole o con i genitori, la cui percezione del cibo è cambiata per sempre. Lo ha ricordato Oscar Farinetti, durante il lancio di Fico Eataly World (il parco che aprirà a Bologna e che dovrebbe raccogliere il testimone di Expo): “L'entusiasmo che ho visto è lo stesso che provai andando con mio padre a Italia ‘61 a Torino. A 7 anni, per la prima volta sentii che potevo far parte del futuro”.
Per chi di agricoltura ci campa Expo è stata l'occasione per capire dove sta andando il settore. Le parole chiave sono state innovazione, sostenibilità, accesso al cibo, qualità ed export.
Forse un po' abusata, ma fondamentale per il futuro del settore, l'innovazione ha pervaso tutta Expo. Partendo dall'agricoltura di precisione, fino ad arrivare alle biotecnologie, innovano quegli agricoltori che provano nuove sementi e tecniche agronomiche, che fanno crescere le piante in verticale (nelle vertical farm) o che abbracciano la multifunzionalità. L'innovazione, hanno detto tutti ad Expo, è necessaria se si vuole vincere la sfida contro i grandi produttori mondiali.
C'è poi il tema della sostenibilità. Se è vero che nell'arco di trent'anni dovremo sfamare nove miliardi di persone, è anche vero che il nostro Pianeta si regge su un precario equilibrio. Bisogna produrre di più, tutelando però il terreno, i mari e l'aria. C'è chi trova nel biologico la risposta a tutti i problemi, chi invece si appella alla chimica. Ci sono quelli che sperano in una umanità di vegetariani e altri che ripongono la loro fiducia nelle biotecnologie. L'eredità di Expo è la consapevolezza che tutti questi approcci sono necessari alla conservazione della Terra.
Il documentario prodotto da Rai, Hungry and Foolish, mette l'accento sulle disuguaglianze. L'attuale produzione di cibo basterebbe per tutti, se ci fosse una corretta distribuzione. Negli Stati Uniti il 25% della popolazione è obesa, in Africa il 24% dei bambini è malnutrito.
E l'Italia, come sistema-Paese, di quale eredità si può giovare? Prima di tutto della consapevolezza di aver fatto bene e di aver dimostrato ai visitatori stranieri e al mondo che il declino non è inarrestabile. In secondo luogo che la vera forza del nostro Paese non è nei grandi numeri, nella produzione di massa, ma nella qualità. La tradizione italiana di prodotti tipici e varietà locali deve essere il prodotto da esportare in tutto il mondo. "Made in Italy" il brand che lo deve accompagnare. L'Italia ha un patrimonio unico di biodiversità e tradizioni, che se sposate con innovazione e orgoglio possono davvero “nutrire il pianeta”.